QUASI NIENTE @Teatro Point du Jour (Lione): la silenziosa ed assordante resilienza dell’antieroe

Dopo il successo riscontrato in terra patria (candidatura UBU 2019 come spettacolo dell’anno), dove tornerà a maggio al Teatro India di Roma, sbarca in terra d’Oltralpe al Teatro Point du Jour di Lione QUASI NIENTE, recente lavoro firmato dalla inossidabile coppia Deflorian/Tagliarini che durante il Festival d’autunno a Parigi nel 2018 ha riscontrato un meritato ma inatteso successo. A partire da Deserto rosso, la pellicola diretta da Michelangelo Antonioni, si dipana una riflessione sulle solitudini e sull’atavica ed impellente necessità di trovare a tutti i costi la propria dimensione, indipendentemente dal mondo intorno.

Una poltrona rossa. Un armadio a due ante. Un cassettone. 5 attori in scena. 5 attori che non stanno pirandellianamente cercando un autore che scriva la loro storia bensì un “architetto” capace di costruire una scenografia intorno. Gli interpreti ci sono già ma manca da plasmare lo spazio, manca di conferirgli quell’umanità che li renda sicuri, in cui l’uomo è costruttore e metro di se stesso. In una contemporaneità irrefrenabile l’immobilismo diventa inevitabilmente escludente e una fragilità può essere letale. Un silenzio fatto di imbarazzo, di insicurezza, di malattia resta soverchiato e inascoltato. Non rimane allora che un’ultima carta: forgiare il proprio spazio per renderlo vitale in un ribaltamento della realtà che vede l’uomo tradizionalmente in viaggio alla ricerca del proprio posto nel mondo. Un Luogo dell’anima e del corpo che non è Itaca e non è Trieste, che non è porto sicuro ma provvisorio simulacro di un istante. Ed ogni istante lascia così solo la consapevolezza del vuoto dell’istante precedente.

Così come Monica Vitti nella cinematografia di Antonioni si muoveva in particolar modo in spazi asettici e alieni, Monica Piseddu (con le sue alter ego Daria Deflorian e Francesca Cuttica) orbita intorno alla sua poltrona rossa, dove la serenità e il coraggio di raccontarsi si alternano al senso di estraniazione quando la malattia e il disagio non lasciano scampo e un altro spazio ha da esser costruito. E allora gli arredi si spostano: fisicamente sul palco e idealmente nella testa della protagonista, finché non torna consciamente chiaro che gli elementi sono gli stessi e la poltrona rossa non può diventare altro da sé.

Solo laddove la psiche concede una tregua e le nebbie si diradano per lasciare spazio ad una visione nitida, tersa, inequivocabile del circostante è però possibile comprendere l’inadeguatezza e la futilità di questo certosino lavoro di costruzione. Perché quindi non spingere all’estremo questo ribaltamento della realtà, continuando ostinatamente a cercare una via oltre l’ostacolo dietro l’ostacolo stesso? Perché non credere che la malattia sia proprio quella dimensione bramata, capace di renderci adeguati perché attrae un’attenzione e ci realizza come persone?

Più età a confronto sul palco, dalla trentenne alla sessantenne, in cui la spensieratezza della più giovane si contrappone al peso dell’esperienza della più anziana passando per la fisicità del quarantenne (interpretato da Benno Steinegger) e la consapevolezza del cinquantenne (nei suoi panni Antonio Tagliarini). Ognuno con la propria peculiarità ammantata da una gravità che aleggia, che quasi annebbia in uno spettacolo in cui le luci restano perlopiù soffuse e tenui e una parete traslucida sullo sfondo (funzionale per la proiezione dei sottotitoli, mediamente ben tradotti, in lingua francese) isola i protagonisti che in apertura ed in chiusura restano seminascosti dietro il pannello come arresi alla loro mediocrità.

Commuovere, divertire, emozionare, sorprendere sono comuni obiettivi cui la recitazione mediamente punta in una rappresentazione, talvolta con il rischio di risultare sopra le righe nell’espressione di un sentimento. È invece un’impresa titanica ed ambiziosa esaltare la mediocrità, ovvero quella dimensione che per sua stessa definizione è sinonimo di piattezza, di under-statement, di insignificanza. Merito primo di Quasi niente è proprio questo: essere riuscito a rappresentare una dimensione statica, a darle una dignità che solo grandi attori e grandi testi riescono a dare. Se Antonioni si era affidato per questo ad una straordinaria Monica Vitti, allo stesso tempo “mediocre” e sensuale, la coppia Deflorian/Tagliarini ha affidato all’intensa Monica Piseddu il compito di mettere in scena una protagonista fatta più di testa che di corpo, più consapevole e meno sprovveduta dell’attrice cinematografica. Una donna che comprende e che si amareggia associata ad una recitazione straordinariamente monocorde che emoziona senza forzature, che coinvolge senza invadere, che si insinua lentamente per trasmettere un dolore quasi inconscio senza far male (meritato il premio Duse assegnatole nel 2019 proprio per questo ruolo). Accanto a lei le due “alter ego” Daria Deflorian, elegante e intensa senza mai esagerare, come le grandi attrici sanno fare, e Francesca Cuttica, capace di essere l’elemento giovane senza per questo stravolgere l’equilibrio instabile dello spettacolo. Grazie ai suoi interventi musicali contribuisce ad ammorbidire la tensione strisciante proprio come la giovane età sa spesso attenuare le angosce con la speranza di un futuro migliore ancora tutto da vivere. Agli attori sul palco il compito di completare il quadro, con un Antonio Tagliarini che introduce una piacevole nota istrionica con i suoi interventi briosi e dinamici i quali contribuiscono efficacemente a mantenere lo spettacolo sulla giusta tonalità insieme alla più prestante fisicità del quarantenne Bruno Steinegger, per lo più silente manovratore il quale nella parte finale spinge la poltrona rossa in un vortice che è disorientamento di una bussola impazzita.

Una rappresentazione tutta in levare che alla fine lascia la sensazione di aver assistito ad un “quasi niente” di straordinaria potenza. Quei personaggi sul palco che sembrano in realtà muoversi come sospesi in una dimensione aliena gridano il loro disagio senza urlare, senza colpi di scena, senza effetti speciali e comunque riescono ad assordarci con la loro solitudine latente. 5 anime di un antieroe che con ostinata resilienza di fronte al “quasi niente” della sua esistenza supera i confini di una realtà che non lo vuole e che potrebbe schiacciarlo. Solo la malattia gli permette di resistere portandolo fuori laddove finalmente può trovare il suo Luogo dell’anima.

Nota del redattore

In scena al Fabbricone di Prato nel novembre del 2018, con mio grande rammarico non era stato possibile recensire lo spettacolo (co-prodotto proprio dal Metastasio) fino ad oggi. La casualità mi ha visto a Lione per lavoro in occasione della prima del 28 gennaio u.s. e non ho saputo resistere alla tentazione di goderne, prima, e di scriverne, poi. Restare seduti in mezzo ad un pubblico che per la gran parte non può apprezzare la lingua originale del testo rende imbarazzati da una parte (del resto les italiens non passano inosservati, nel bene e nel male) ma orgogliosi dall’altra. Orgogliosi che la creatività italiana possa ancora dispensare Bellezza in giro per il mondo.

Info:
QUASI NIENTE
Progetto Daria Deflorian e Antonio Tagliarini
liberamente ispirato al film Il deserto rosso di Michelangelo Antonioni
Collaborazione alla drammaturgia e aiuto regia Francesco Alberici
con Francesca Cuttica, Daria Deflorian, Monica Piseddu, Benno Steinegger, Antonio Tagliarini
Collaborazione al progetto Francesca Cuttica, Monica Piseddu, Benno Steinegger
Consulenza artistica Attilio Scarpellini
Il testo Buono a nulla è di Mark Fisher Luce
Spazio Gianni Staropoli
Suono Leonardo Cabiddu, Francesca Cuttica
Costumi Metella Raboni
Traduzione e sottotitoli in francese Federica Martucci
Direzione tecnica Giulia Pastore
Organizzazione Anna Damiani
Accompagnamento e distribuzione internazionale Francesca Corona / L’Officina Produzione A.D., Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Teatro Metastasio di Prato, Emila Romagna Teatro Fondazione Coproduzione théâtre Garonne, scène européenne Toulouse, Romaeuropa Festival, Festival d’Automne à Paris / Théâtre de la Bastille – Paris, LuganoInscena LAC, Théâtre de Grütli – Genève, La Filature, Scène nationale – Mulhouse Sostegno Istituto Italiano di Cultura di Parigi, L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino, FIT Festival – Lugano
Foto Luca del Pia e Claudia Pajewski

Teatro Point du Jour, Lione (Francia)
28 gennaio 2020

articolo tradotto in francese per il Theatre Point du Jour

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