Può uno spettacolo come ‘Pinocchio’ messo in scena fino al 12 febbraio 2017 da un regista serio e innovativo come Antonio Latella, che si va sempre più affermando per le sue qualità, mettere in crisi il subconscio di spettatori che ricordano di avere letto il testo di Collodi come primo libro quando nelle classi elementari si imparava a leggere e a scrivere con l’inchiostro?
Al di là dei ricordi edulcorati di un’infanzia lontana, la pièce di Latella crea il bisogno imperioso di riprendere in mano quell’antico testo, mai più aperto, per vedere e capire com’è: può anche capitare di accorgersi che, se è vero che con la sua travolgente fantasia espressa attraverso un linguaggio vivace, accattivante e semplice può colpire i bambini e gli adulti (soprattutto del passato), è tuttavia in linea con quell’aura di melanconia, disumanità e crudeltà che connotano tra romanticismo e verismo la letteratura ottocentesca per bambini non ancora considerati con la loro psicologia, ma in funzione di una valenza pedagogica calata da una mentalità adulta.
Carlo Collodi, pseudonimo di Carlo Lorenzini (Firenze 1826-1890), quindi, pur sapendo di scrivere per un pubblico di bambini si lascia trasportare dal ‘pennello’ e ritrae se stesso e la società dell’epoca con le sue contraddizioni vissute sulla propria pelle di giornalista di ceto sociale non abbastanza alto, anche se accettato per il valore della sua ‘penna’: persona di grande sensibilità, reagisce ai disagi e alle delusioni con alcool, assenzio, giochi d’azzardo…
Lo scrittore e giornalista è primogenito di una famiglia al servizio dei marchesi Ginori: cuoco il padre e la madre sarta (pur se diplomata maestra elementare) prima dei Garzoni Venturi e poi dei Ginori. Molto importante nella vita del nostro la figura materna, bella, forte e originaria di Veneri – vicino a Collodi dove si trova la tenuta che ispira al nostro lo pseudonimo con cui è conosciuto a livello planetario – molto legata al proprio figlio su cui esercita notevole influsso e alla marchesa che ospita il giovane e non facile Carlo nel suo palazzo fiorentino sostenendolo negli studi dopo che trascorsi cinque anni in seminario segue lezioni di filosofia e retorica nel capoluogo toscano.
Nel 1844, Collodi lascia gli studi e va a lavorare come commesso nella libreria Piatti dove entra in contatto con l’affascinante mondo dei libri, scrive, diviene redattore e collabora con diverse riviste. Mazziniano, partecipa alle rivolte risorgimentali del 1848-49 e alla Seconda Guerra d’indipendenza. Divenuto censore teatrale, si occupa insieme ad altri della redazione di un vocabolario di lingua parlata e ancora della traduzione di fiabe francesi.
Scrive un po’ per gioco, ma con scarso entusiasmo verso il suo ipotetico pubblico di bambini la prima puntata (pubblicata poi insieme alle successive in un volume nel 1883) de Le avventure di Pinocchio Storia di un burattino che compare nel 1881 sul Giornale per i bambini, pioniere dei periodici del genere e supplemento settimanale del quotidiano Il Fanfulla.
Pinocchio inizialmente si conclude con l’impiccagione e la morte del burattino appeso a una quercia dal Gatto e dalla Volpe e saranno le proteste dei piccoli lettori a persuadere l’autore a proseguire la narrazione fino alla metamorfosi del burattino in bambino.
Il romanzo, malgrado sia visto con sospetto dagli educatori dell’epoca che lo considerano sconveniente per i piccoli di un certo ceto sociale, in pochissimo tempo complici anche critiche favorevoli raggiunge grandi successi di vendita divenendo nel tempo un classico tradotto in 260 tra lingue e dialetti.
La locandina dello spettacolo di Latella recita da e non di Collodi a indicare analisi, indagini, studi e approfondimenti compiuti dal regista che ha operato sul testo sulla scia delle numerose e diverse interpretazioni di cui è stato soggetto. Dalla dissezione latelliana, che per esigenze teatrali ha eliminato alcuni personaggi, emergono una crudezza e una tristezza ancora più profonde colorate di grottesco per cui lo spettacolo risulta adatto per adulti che vogliano seguire come nascono il ragionamento e la maturità: risulterà sicuramente più godibile se, prima di vederlo, si è riletto con attenzione il testo collodiano.
Tenero e insieme angosciato, ansioso e dolente il Pinocchio – adulto oberato dal ciocco di legno da cui vuole con tutte le proprie forze liberarsi quasi attraverso un processo di purificazione o di crescita – interpretato dal bravissimo Christian La Rosa in continua dialettica consenziente e dissenziente, obbediente e disobbediente con Geppetto, un padre presente e assente come è stato il padre di Collodi e i numerosi padri che sono fuggiti dai propri figli, semplici strumenti del loro ego: dove termina l’egoismo paterno e dove inizia quello dei figli? Non siamo forse tutti Pinocchio?