PERSONE NATURALI E STRAFOTTENTI@Salviamo i Talenti: un sorriso appeso in aria

Elegante e irriverente, il testo di Patroni Griffi “PERSONE NATURALI E STRAFOTTENTI” ha inaugurato la rassegna “Salviamo i Talenti” al Teatro Vittoria l'11 e 12 maggio, con la regia di Giancarlo Nicoletti che, dopo i successi di #SalvoBuonfine e della Trilogia del Contemporaneo, torna con un testo del 1973 diviso in due atti, scarsamente rappresentato e intriso di un sapore antico; eppure ancora così vibrante, così cinicamente attuale, ancora così universale nelle tensioni umane rappresentate al di là della contestualità dei personaggi rappresentati.

Siamo in una Napoli visionaria, superstiziosa e un po’ mistica degli anni ‘60: Violante una vecchia affittacamere (una splendida Cristina Todaro) tratta con la travestita Mariacallas per “un buco” di appartamento che quella a sua volta subaffitterà a due ragazzi omosessuali (uno bianco Fred ricco e scanzonato, ed uno di colore, Byron artista tormentato e intrattabile). I due sono in cerca di un posto dove consumare la passione di una Notte. Ma proprio l’inizio dell’anno sarà il più beffardo per tutti: i due giovani si ritroveranno con uno spiacevole problema “fisico” da risolvere e con un confronto a quattro voci dal quale emergeranno vicende personali, insoddisfazioni, rancori e insofferenze che non possono essere buttati già dal balcone della propria vita quasi fossero oggetti di arredamento di cui sbarazzarsi, come nella migliore tradizione partenopea di fine anno.

Colpisce in questa rappresentazione, una scenografia che, seppur con pochi elementi, è altamente suggestiva, ingannevolmente onirica: una vecchia radio che si accende da sola (quasi la proiezione di una immagine spiritica o registica?), alcune lampade che scendono a vista sul palco, quasi fossero dei lumicini cinesi un po’ kitsch, severe immagini religiose che spiano agli angoli della scena tutto ciò che accade e lo sfondo aperto su una Napoli immaginaria “da cartolina”, mentre sulla scena si agitano figuri che appartengono ad una Napoli “altra”, quella dei bordelli o degli incontri clandestini agli angoli della strada, dove gli occhi si incrociano e anche i destini, e non sempre felicemente.
A sinistra nel primo atto fa capolino una finestra alla quale i personaggi possono affacciarsi, in uno dei momenti, a nostro avviso, più timidamente romantici.
Chiude un gioco di luci molto ben realizzato, musiche spiritose e ironiche, non troppo invadenti ma colorate e appropriate.

Ma soprattutto, come già in “Festa della Repubblica”, anche qui Nicoletti gioca con le inquadrature della scena (e non solo): la prospettiva da cui si guarda la stanza si ribalta nel secondo atto permettendoci così di vedere l’interno dell’appartamento prima dalla parte frontale, poi da quella posteriore, e per di più specularmente. Giusto come artifizio perché alcune vicende vanno rappresentate da una posizione non frontale rispetto al pubblico. Inoltre, si conferisce all’occhio dello spettatore una profondità maggiore non solo sullo spazio scenico (si colgono dettagli nascosti durante il primo atto), ma anche sul vissuto dei personaggi.
E se nel primo atto costoro vengono rappresentati da Patroni Griffi così come sono, nella loro caratterizzazione primaria (la vecchia brontolona e bigotta, la trans eterea e superficiale, i due giovani rispettivamente visionari e scostanti) nel secondo atto cambia anche il punto di vista sui personaggi. Lo stesso testo di Griffi nel secondo atto indaga, scruta e svela del personaggio qualcosa di più, ed ecco che l’occhio dello spettatore, diretto da Nicoletti, corre intorno a quello, lo guarda da un’altra prospettiva più autentica, più vera, con maggiore profondità e considerazione esistenziale.

E nel frattempo, quasi sottesamente, il testo di Griffi ci colpisce e sferza con forza l’anima di questi uomini e donne così imperfetti, così dolorosamente visti nella loro prima dimensione, quella beffarda in cui il Mondo li ha costretti. Li scandaglia nelle loro contraddizioni, ne mostra il lato desolato.
Ce le presenta come quattro destini diversissimi, dominati da una insostenibile fissità esistenziale che vorrebbero cambiare in occasione del nuovo anno, perseguitati come sono da una condizione di sconfitti che proprio non riescono a tollerare, piegati come l’affittacamere Violante, da una sconfortante rassegnazione contro la quale battere i pugni sul tavolo. E tutti pieni di una certa rabbiosa speranza nel futuro, nel fatto che tutto cambi, che si trovi una strada nuova da percorrere che ci permetta di essere diversi e fieri, per affrontare “un anno nuovo, tutto da stuprare” come ammesso da uno dei due giovani.

La violenza del testo di Griffi corre dunque parallela alla insoddisfazione e rabbia crescente dell’animo dei protagonisti, e Nicoletti ha rispettato questo doppio binario, ha lasciato intatti tutti i momenti digressivi di cui è costellato soprattutto il secondo atto, alternandoli alle battute e ai battibecchi più sferzanti dei personaggi, una disarmonia quasi antica dalla quale emerge l’animo del drammaturgo, sottolineato da giochi di luci decisamente appropriati.
 

Non mancano durante la rappresentazione dei cali di voce e delle lentezze dovute alle digressioni narrative di Griffi, ma almeno queste ultime sono ampiamente perdonate. L’interpretazione della Todaro è la più lampante ed efficace, è lei forse la vera strafottente tragica, l’anima rabbiosa in cui si condensa il riso degli altri e la disperazione tutta per se stessa, la consapevolezza di un’esistenza confinata al ruolo di “serva”, di non riconosciuta e “schernita”, e per questo non troppo diversa dalla detestata Mariacallas. L’attrice controlla il personaggio, non lo lascia andare, lo fa crescere fino all’exploit finale, mantenendo comunque un tono comico realistico che conquista le simpatie del pubblico e che ben si equivale al cinismo filosofico di Mariacallas, interpretato da un Sebastian Gimelli Morosini che sorprende per la leggerezza del portamento ma non nel carattere del travestito rappresentato: sua una ferma recitazione senza troppe sbavature, senza caricamenti eccessivi; è invece sinuoso e appuntito come le mani che tende arcuate verso gli altri personaggi, come a sottolinearne l’altrui distanza da sé. Michele Balducci e Fabio Minicillo sono i due poli opposti, un Fred bianco,romantico e luminoso, brillante e provocatorio, visionario, “dal sorriso appeso” ; Byron è al contrario “scattoso”, intrattabile e sfuggente, forse un po’ troppo in questa interpretazione. La loro intesa sulla scena è buona ma quasi involontariamente nervosa: la tensione sessuale non è massima ma quasi rabbiosa, sfuma in impaccio imbarazzato perchè le due anime sono così, vanno l'una verso l'altra sessualmente ma altrettanto si respingono quando si confrontano sulle rispettive aspirazioni e delusioni.  

Il testo, dove si ride tanto quanto ci si amareggia, è un omaggio inaspettato al nostro tempo, ed una piacevole lezione di stile. Credo sia un piacere vederlo di nuovo respirare nelle stanze di un teatro per via della sua portata universale, per la sua incredibile ferocia realista nel mettere in scena anime dal sorriso malinconico, anime modernissime, anime che vivono in una realtà ancora dominata da sopraffazione, sdegno e sottostima nei loro confronti, anime che rispondono con una naturale strafottenza, guardando ad ogni nuovo anno come ad una occasione da cogliere, instancabilmente, sempre e con gli occhi pieni di luce di Fred, una luce piena di speranza.

Info:

11 maggio ore 21 e 12 maggio ore 17.30

“Persone naturali e strafottenti”

di Giuseppe Patroni Griffi. regia Giancarlo Nicoletti. con Sebastian Gimelli Morosini, Michele Balducci, Cristina Todaro, Fabio Minicillo

Quattro solitudini, una casa d’appuntamenti e una notte di Capodanno a Napoli; la ricerca, a ogni costo, di una felicità che faccia dimenticare la palude in cui si consuma la miseria dell’esistenza. Una tragicommedia dal sapore post-eduardiano e pre-ruccelliano, che, grazie al respiro di una drammaturgia cruda, scandalosa e poetica, verbosa e visionaria, ci dipinge uno squarcio di vita di una generazione senza futuro. Quattro personaggi all’apparenza cinici, superficiali, amorali; in realtà creature inquiete, sole, corpi costretti coattivamente alla ricerca del proprio, illusorio riscatto, entro le mura anguste di uno spazio vitale / non vitale.

Prossimamente al Teatro Vittoria
per il Premio Attilio Corsini 2016 – Salviamo i talenti

15 maggio ore 21 e 16 maggio ore 17.30

“La vera vita del Cavaliere Mascherato”

regia e testi di Alessandro De Feo. con Tiziano Caputo, Alessia Iacopetta, Matteo Cirillo, Fabrizio Milano, Gioele Rotini, Ilenia Sbarufatti, Lorenzo Garufo, Francesco Maruccia

In un tristo albergo di periferia, il cameriere Jacob Geherda conduce un’ esistenza miserabile, con una paga vergognosa, costretto a subire qualsiasi tipo di angherie dalla clientela e dai superiori. Incapace di esprimere la propria rabbia nella vita reale, sogna dI essere l’eroico Cavaliere Mascherato, e tra coriandoli e stelle filanti si fa araldo di pace e bontà, nonché di un certo sense of humor, il quale, si sa, piace molto alle ragazze. Il lieto fine, però, resta solo nel sogno se Geherda non muta il desiderio in coscienza reale, nel suo essere costantemente in bilico tra il dovere di dire la verità sempre e il proprio tornaconto esteriore.

 

31 maggio ore 21 e 1 giugno ore 17.30

“Gabriele”

di Fausto Paravidino e Giampiero Rappa. regia ed interpreti: Marco Bellomo, Andrea Ferri, Alessandro Filosa, Valerio Leoni, Mattia Parrella con Virginia Arveda, Marco Bellomo, Andrea Ferri, Alessandro Filosa, Valerio Leoni, Mattia Parrella

Cinque giovani attori. Una casa. Anzi no: una cucina. Ricavarsi uno spazio.Fronteggiare le difficoltà.Restare uniti. Un giorno, dopo l’ennesima lite, arriva Angela.
Tenterà di dare ai ragazzi le spinte decisive per farli finalmente diventare uomini.

5 giugno ore 21 e 6 giugno ore 17.30

“Elettra”

di Hugo von Hofmannsthal. regia di Giuliano Scarpinato. con Elena Aimone , Anna Charlotte Barbera, Giuliano Scarpinato, Elio D’Alessandro , Raffaele Musella, Giulia Rupi, Daniele Sala, Eleonora Tata, Francesca Turrini, Valentina Virando

La storia di Elettra appartiene al mito. Sfugge al tempo e allo spazio, attraversa indenne i millenni e giunge con forza immutata ai nostri petti, alle nostre orecchie, ai nostri occhi. Pugno nello stomaco, lama che affonda, Hugo von Hofmannsthal la racchiude nel breve tempo di un atto: quasi una travolgente successione di inquadrature cinematografiche, un “thriller dell’anima” dal ritmo incalzante e forsennato.

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