Nuova produzione firmata Teatro Metastasio (in collaborazione con Kataklisma teatro e Teatro di Roma – Teatro Nazionale) e nuova PRIMA ASSOLUTA per il Fabbricone di Prato. In scena per la stagione di ripresa “Esserci di nuovo” l’inossidabile coppia Daniele Timpano/Elvira Frosini (tornata a Prato dopo 3 anni dal focus d’autore al Magnolfi), coadiuvata da Marco Cavalcoli per OTTANTANOVE, originariamente previsto in cartellone nell’autunno 2020. Dal 1789, presa della Bastiglia, al 1989, caduta del Muro di Berlino, gli attori in scena hanno vestito i panni di archeologi che risollevano dalla polvere del tempo e delle convenzioni, aneddoti, contributi audio, letteratura e principii di una Rivoluzione che, per quanto studiata e talvolta celebrata, forse non è ancora davvero realizzata.
OTTANTANOVE E I CONTENUTI DEL “VARIETA'”
Silenzio in platea e anche sulla scena. Ai lati dello spazio enormi brandelli di tricolore d’Oltralpe, cadenti e decadenti, delimitano un vuoto per gli occhi e per le orecchie. E poi l’intervento che accende la drammaturgia così come uno sparo accende la rivolta. Marco Cavalcoli, dal pubblico, con in braccio il bonsai della Rivoluzione, apre così un Varietà fatto di aneddoti, contributi audio, coreografie e citazioni che, all’ombra di quel piccolo alberello, ci intrattiene e ci diverte. Non ci sono velleità didattiche, anche se il didascalismo è pronto dietro l’angolo a fare capolino a momenti, e gli attori in scena sembrano giocare a recuperare i reperti di un passato oramai abbondantemente mitizzato. Mitizzato come quella lontana infanzia fatta di foto in bianco e nero, come gli abiti in scena della coppia Frosini/Timpano, di giocosità e di grandi speranze nel futuro. Gli attori pertanto diventano per noi archeologi-giocolieri che fanno roteare tra le mani le immagini di una Rivoluzione, quella francese come quella luterana o sessantottina, che ha i contorni spesso sfumati di un dagherrotipo.
In un continuo passaggio dal serio al faceto, pur sempre storicamente inappellabile, il corpo del Varietà si arricchisce senza soluzione di continuità. Come il genere richiede. La melodia dell’italianissimo Viotti, musicista di corte, poi confluita, destino beffardo, nella celebre Marsigliese, inno rivoluzionario prima e repubblicano poi, è solo il primo di una serie di ingredienti che si susseguono e si mescolano in un disordine sistematico che scardina i rapporti di causa-effetto ma non impedisce di ripercorrere alcuni passaggi fondamentali della storia oramai ufficializzata, dalle fasi salienti della presa della Bastiglia al calendario napoleonico. Neanche i media nazionali sono passati indenni dalla portata dell’evento, a partire dallo sceneggiato televisivo RAI I giacobini del 1962, oggi di nuovo ascoltabile, dopo la scomparsa delle bobine originali, grazie alla registrazione di un telespettatore riemersa soltanto nel 2012. Gli ideali della Rivoluzione non hanno tempo e non hanno luogo, universali ed eterni. Al contrario l’acredine è continuamente rimbalzata da un lato all’altro delle Alpi tra i popoli cosiddetti cugini se perfino il romantico Vittorio Alfieri componeva nel 1799 Il misogallo, opera smaccatamente antifrancese a dimostrazione delle aspettative deluse da Napoleone e dalla sua presunta forza liberatrice, frutto della rivoluzione e, per sua forma, contraria agli ideali rivoluzionari.
RIVOLUZIONE TRA SERIO E FACETO
Dopo oltre due secoli, immaginando che qui stasera, dal palco, gli attori ci scattino una foto, magari di quelle al fulmicotone, ci rendiamo conto, passo dopo passo, che quegli ideali capaci di accendere gli animi hanno assunto contorni indefiniti e la loro sacralità può essere facilmente derisa (“Liberté, Egalité, tu arrobbe a me, io arrobbo a te!”), sbeffeggiata (“Ci vorrebbe una rivoluzione? Mi fa ridere solo la parola”), financo snobbata (“Scendiamo in piazza a guardare quelli che scendono in piazza”). Se eternizzare valori e bellezza, se ravvivare il fuoco riottoso era affidato al lirismo dei romantici, spesso richiamati in scena, leggasi appunto l’Alfieri, il compito dell’artista oggi è più modesto ma altrettanto importante: rimuovere la polvere da quel passato e catalogare i reperti prima che finiscano dentro a teche da museo, destinati allo sguardo disattento e talvolta scocciato di turisti o scolaresche. La serietà e la deferenza non sono più d’obbligo.
I RAPPORTI TRA GLI ATTORI IN SCENA PER LA RIVOLUZIONE
A tale scopo la inossidabile coppia Timpano/Frosini sembra destreggiarsi con maestria in un habitat oramai naturale per due attori che si sono cimentati più volte in questo gioco di scavo. Il cromatismo e l’analiticità che avevamo già apprezzato in Acqua di colonia e Aldo morto (qui la nostra recensione dopo le repliche al Magnolfi di Prato) si svelano più gradualmente in questo Ottantanove dove a farla da padrone sono le geometrie di luce abilmente progettate da Omar Scala, già apprezzato in Acqua di colonia. In questo spazio scenico per gran parte vuoto, riempito solo di un microfono con asta e di un bonsai facilmente manovrabile, gli artisti si muovono agevolmente come in un continuo dialogo con le luci, supportandosi a vicenda con naturale disinvoltura. Elvira Frosini in scena appare inconsapevolmente, almeno per gli altri, regista, beffarda al punto giusto e discreta negli interventi che si alternano fluentemente con quelli di Daniele Timpano, suo sodale, che invece mostra il suo lato più circense, in una sorta di confronto tra la sua indole comica e l’ironia della compagna. In questo dialogo si inserisce abilmente Marco Cavalcoli che non si limita ad accendere la miccia in apertura ma alimenta la fiamma da coprotagonista, a volte col ruolo di anchorman del varietà.
OTTANTANOVE E I DUBBI IRRISOLTI SULLA RIVOLUZIONE
Nessuna risposta da ricercare in questo continuo gioco con la Rivoluzione che gli attori in scena portano avanti. Una commistione di ingredienti condensati in una torta multistrato dalla forma incerta che alla fine si colora delle tinte sgargianti di parrucche e costumi pacchianamente evocativi di quel passato del quale restano icone da maglietta. Ci resta l’immagine di una Rivoluzione che ha perso la testa, un po’ come è successo ai monarchi borbonici, e che avrebbe bisogno di crescere e rafforzarsi, come quel piccolo bonsai che alla fine, irretito da un velo grigio, è stato protagonista, sotto lo sguardo di ognuno di noi e degli attori stessi, senza però che nessuno sembri disposto a prendersene davvero cura. Attenti però: le sue radici non appaiono affatto ben radicate a terra e dagli ideali alle ideologie il passo è breve. Proprio come un bonsai.
OTTANTANOVE
drammaturgia e regia Elvira Frosini e Daniele Timpano
con la collaborazione artistica di David Lescot
con Marco Cavalcoli, Elvira Frosini, Daniele Timpano
disegno luci Omar Scala
assistenza alla regia e collaborazione artistica Francesca Blancato
scene e costumi Marta Montevecchi
musiche originali e progetto sonoro di Lorenzo Danesin
organizzatori di compagnia Andrea Maltagliati e Laura Belloni
elettricista e fonico Omar Scala
coordinamento tecnico dell’allestimento Marco Serafino Cecchi
assistente all’allestimento Giulia Giardi
cura della produzione Francesca Bettalli e Camilla Borraccino
ufficio stampa Cristina Roncucci
foto Ilaria Scarpa
video documentazione Lorenzo Letizia
immagine del manifesto di Valentina Pastorino
traduzione del testo in inglese Francesca Povoledo
produzione Teatro Metastasio di Prato in collaborazione con Kataklisma teatro e Teatro di Roma – Teatro Nazionale residenze artistiche Istituto Italiano di Cultura Parigi, Città delle 100 Scale Festival
un ringraziamento a Compagnie du Kaïros – France
Teatro Fabbricone, Prato
29 maggio 2021