Otello – scritto da William Shakespeare (Stratford-upon-Avon, 1564 – 1616) intorno al 1603 e messo in scena per la prima volta nel 1604 – è una delle opere di maggiore fascino del Bardo tanto da essere rappresentata in infinite versioni fra teatro, lirica e cinema subendo adattamenti e trasformazioni dettati da gusto e sensibilità delle varie epoche e dalla necessità di contenerne la lunghezza originale (cinque atti) improponibile allo spettatore odierno.
Già rivisitato da Corrado d’Elia, attore sensibile e regista eclettico e originale cui è molto caro Shakespeare, è da lui riproposto in una versione foncé, o meglio in stile dark, che ben rende l’anima nera, tenebrosa e torbida di Iago interpretato in modo straordinario da d’Elia che cura anche la regia e che ha scelto attori di ottimo livello. È, infatti, l’infido, perfido e diabolico alfiere il fulcro della vicenda e il protagonista mefistofelico che con il suo seminare dubbi e costruire false prove distrugge una coppia serena e innamoratissima, ancorché contestata e ostacolata all’epoca – costituita da Otello (generale questa volta ‘non moro’ al servizio della Repubblica Veneta e vincitore contro i Turchi) e dalla dolcissima e arguta Desdemona – e la grande amicizia tra il generale e il suo luogotenente Cassio.
Gli attori si muovono in un’atmosfera onirica e surreale, quasi noir, data da una scenografia essenziale – con due enormi pozze d’acqua così usata da divenire quasi coprotagonista e un trono ‘medievaleggiante’ a forma di pseudo-mannaia – in cui si muovono figure in bianco e nero in un crescendo di sadica e malvagia costruzione del male così convincente da temere di essere coinvolti nella sua spirale che inghiotte lentamente, ma inesorabilmente come sabbie mobili Otello, vittima sacrificale che immola sull’altare del male le persone a lui più care oltre a se stesso.
Una trama tanto perversamente convincente da creare una reazione quasi di saturazione nei confronti di una sorte così ingiusta delle vittime e in particolare di Desdemona, segno di una mentalità non così mutata nei secoli: una disuguaglianza tra i sessi soprattutto in alcune zone del mondo, una cupidigia avida oggi più universale che mai e un’ingenuità profonda di quel mondo maschile che ancor oggi tenta di ergersi di qualche gradino rispetto alla donna costituiscono segni perduranti e palesi di un’inciviltà diffusa.
Un fluire di viscerale amoralità così contemporanea da indurre riflessioni profonde su come in un batter d’ali si possa passare dall’altare alla polvere scivolando da quel crinale sottilissimo che divide il bene dal male in una pièce che troncando il finale lascia impuniti i colpevoli come succede quasi normalmente oggi.