Nell’ambito della rassegna Contesti Contemporanei, con la direzione artistica di Federico Vigorito, il Teatro della Visitazione di Roma porta in scena fino a domenica 8 novembre Opinioni di un clown, spettacolo tratto dal celebre romanzo del premio Nobel Einrich Böll, scritto e interpretato da Stefano Skalkotos, per la regia di Roberto Negri.
Opinioni di un clown è un complesso romanzo del 1963, tra i più noti e amati nell’ampia e articolata produzione dello scrittore tedesco Einrich Böll, premio Nobel per la Letteratura nel 1972, pubblicista polemico, feroce critico della Germania postbellica e successivamente consumistica, insofferente delle ipocrisie cattoliche e sociali del suo tempo. A trent’anni dalla sua morte, il Teatro della Visitazione lo celebra, con il Patrocinio dell'Ambasciata della Repubblica Federale Tedesca, portando in scena l’adattamento teatrale del romanzo che divenne alla sua uscita un caso letterario e politico e oggi riconosciuto come un classico contemporaneo.
Hans Schnier è un clown, un attore comico professionista. Ha ventisette anni, un ginocchio rotto, per natura è afflitto da mali – la malinconia, il mal di testa e la monogamia – ai quali non riesce più a trovare rimedio, come sempre, nell’alcol e nella musica liturgica, da quando Maria lo ha lasciato. Il personaggio ben si presta ad essere rappresentato sulla scena, che si trasforma nell’appartamento di Bonn dove Schnier nell’arco di una sola giornata rievoca la propria vita, i componenti di una ricca famiglia borghese dalla distanza della quale si coglie la sua natura profondamente e sinceramente eversiva, incapace di adattarsi al comune ben pensare, di cui invece smaschera con ironia o sarcasmo la mancanza di valori autentici e di una morale degna di questo nome. Emblematici il caso della madre, convinta antisemita in epoca nazista (tanto da mandare sua figlia a morte certa, tra le fila dell’esercito), che si impegna poi in un Comitato per la conciliazione dei contrasti razziali o l’accusa di Hans rivolta ai cattolici di avergli portato via Maria per farla sposare con Züpfner, costringendola così all’adulterio: è solo con lui, Hans, che Maria è legittimamente sposata, pur non avendo mai celebrato nessun matrimonio, perché sinceramente e profondamente innamorati.
L’adattamento teatrale riporta l’impietoso e squallido declino artistico del clown, il dolore acuto e tragico per la perdita di Maria, la distanza incolmabile dai suoi familiari, l’estraneità ai falsi valori della nazione e delle sue religioni. Quando Hans non riesce più a lavorare per via del ginocchio ferito, lo vediamo ugualmente in scena, nel disordine, anch’esso disperato, dell’appartamento color ruggine – un separé che nasconde la tinozza da bagno, bauli pieni degli attrezzi e dei costumi del mestiere, un abbozzo di cucina illuminato da una lampada a braccio – dove troneggia uno dei protagonisti della rappresentazione: il telefono, lo strumento con cui cerca persone alle quali chiedere denaro o di sottrarsi alla propria definitiva solitudine. Oltre alle voci di Zohnerer, suo agente, della madre, del fratello Leo che si immaginano oltre il filo telefonico, compaiono però anche altre figure: Maria, ora in sogno ora nel ricordo, e il padre.
Nel susseguirsi di riflessioni e ricordi – in forma di monologo, pronunciati davanti a un piccolo registratore e ascoltati da un nastro – di conversazioni con cui Hans continua a scagliare le sue accuse e a smascherare ipocrisie, in cui consiste lo spettacolo, è senz’altro da sottolineare, oltre all’allestimento scenico calzante ed esteticamente riuscito, l’ottima interpretazione di Stefano Skalkotos, in grado di restituire l’amara realtà del personaggio e la complessa varietà dei toni espressi, dall’ironia al sarcasmo, dalla felicità al dolore più lacerante, e insieme l’innocenza, la bontà dei sentimenti, l’onestà dei pensieri. Degna di nota è anche l’idea di portare nell’azione scenica Leo come marionetta, dando vita a un episodio emotivamente intenso nella misura in cui permette al protagonista di rivivere ancora una volta un ricordo che apparterrebbe solo al passato, intangibile, e allo stesso tempo lascia emergere la natura innocente di Hans, il suo rifiuto di diventare adulto, che altrove coincide con il rifiuto delle convenzioni.
Lascia invece perplessi la scelta di dare concretezza alla figura di Maria, se non altro per l’occasione persa di rendere omaggio alla grandezza di un romanziere, Heinrich Böll, che ha dato corpo a una struggente storia d’amore in assenza dell’amata, attraverso il solo ricordo dell’amante e dei suoi disperati tentativi di riavere ciò che ha perduto. Non convince neppure, nonostante la bravura di Chiara Condrò, la scena in cui si rievoca “la cosa” fatta per la prima volta da Hans e Maria, con bagno annesso: una strizzata d’occhio a un erotismo di bassa lega, più che alla sensibilità artistica tanto dello scrittore quanto del clown.
Fatta eccezione per gli ultimi, piccoli appunti, le Opinioni di un clown di Roberto Negri restano uno spettacolo da vedere: per ridere, seppur di un riso amaro, e per commuoversi davanti a un irrimediabile, tragico, bohémien e di fronte alla triste solitudine con cui si chiude la sua parabola.