Quattro atti unici di Harold Pinter, confluiti in NIGHT BAR di Valerio Binasco e intensamente interpretati Nicola Pannelli, Sergio Romano, Arianna Scommegna, al Teatro Metastasio di Prato, coproduzione con il Teatro Stabile di Genova. Quattro storie che si intrecciano sul palcoscenico, trasformato, per l’occasione, in uno spazio senza tempo, un non luogo notturno, dove anime desolate e sperdute, in un universo vuoto che ha perso le sue coordinate, sembrano gettate a caso da una folata di vento senza direzione.
La scena cambia sotto ai nostri occhi: il bar di un ristorante abbandonato di Calapranzi, dove tutto è in disuso e coperto di cellophane macchiato, scena del crimine per una coppia di sicari, sgangherati e tragici clown; il night impreziosito dalle luci della toilette e del bancone, palcoscenico deserto per il monologo confessione di una donna sola, Tess; il baretto trasandato dove un barista vecchio e stanco spegne le luci, una alla volta, tra una parola sospesa e l’altra dell’ultimo cliente, appunto L’ultimo ad andarsene; Il bar della notte, infine, in Night, dove un barista divertito assiste ai giochi di seduzione tra due innamorati ubriachi, incapaci di ricordare in modo univoco la loro prima volta.
Storie diverse, incapaci di intersecarsi, come impossibile, sembra, per ognuno dei personaggi, aggrapparsi davvero ad altro se non alle proprie parole, prive ormai di senso comune, o ad oggetti, larve di una quotidianità svuotata di senso. Eppure un filo struggente li accomuna, intriso di solitudine, di attesa che qualcosa, un segno, fosse anche incomprensibile, spieghi il senso delle loro vite incomprensibili.
I sicari aspettano una chiamata, che può arrivare da un momento all’altro. Ingannano l’attesa accapigliandosi, tentando disperatamente di concentrarsi a descrivere la realtà nei suoi futili dettagli: la riga che decora una tazzina, una notizia sul giornale, parole, incidenti quotidiani con cui riempire il vuoto che li separa dal finale inesorabile: la missione loro affidata, il loro dovere da compiere per bene. Ripassano meticolosamente le istruzioni, mentre strisciante e ipnotico il ricordo negato dei loro delitti fa breccia nella loro coscienza, incrinandone la sicurezza.
Tess racconta la sua vita perduta, ad un ubriaco dallo sguardo fisso, convinta di riconoscerlo: a lui racconta la sua storia di bambina tradita dagli adulti, la sua discesa agli inferi, orfana di padre, preda dell’abbandono di una madre, costretta a vendersi per sopravvivere, poi vittima lei a sua volta di abuso.
L’ultimo cliente vende giornali e inganna il tempo dell’ultima bevuta, cercando di ricordare il titolo dell’ultima copia e rievocando quel tale che non si vede più, chissà da quanto, e che se non si è più fatto vedere…beh, sarà andato da qualche altra parte.
Infine due amanti ognuno imprigionato nella propria versione dei ricordi, nostalgici di un passato che non vuole coincidere, far collimare il quale con la realtà, sembra meno importante, tuttavia, che cercare riparo al freddo della notte, in un abbraccio appassionato e nel bicchiere della staffa.
In tutte le storie trapela un anello mancante, dalle maglie sfilacciate della memoria, sbiadita e deformata larva della realtà. Lo sottolinea un passaggio di note al pianoforte, un nenia dolce ma incalzante, inquietante nel suo farsi strada tra le parole vuote e apparentemente leggere dei personaggi, come se un rigurgito di verità volesse a tutti i costi palesarsi, quella che l’animo non può sopportare, a meno che non sia notte, non si abbia un bicchiere pieno in mano e un volto sconosciuto davanti, che ci illuda di poter esser ascoltati, senza giudizio.
Unici testimoni di queste schegge impazzite, gettate a caso nella notte, svuotata dai rumori degli esseri umani, i barman, dal volto triste, assente, o leggermente divertito e distaccato, il volto di chi vive nei luoghi del via vai degli altri, di chi resta a riordinare, quando tutti se ne sono andati e non resta che spegnere una ad una tutte le luci.
Ma nessuno ascolta davvero, i racconti annegano nell’assenza di chi potrebbe inviare un segnale, uno qualsiasi, una chiave al rebus dell’ esistenza, gli incontri sono atti mancati, le parole gusci vuoti utili solo a depistare.
Eppure nella voce di ognuno dei personaggi non si può non sentire la ricerca di uno spiraglio, l’esitazione di una mano tesa a bucare la solitudine per toccare l’altro, anche solo per un istante. Viene voglia di abbracciarla l’umanità desolata che abita la notte di NIGHT BAR, come se il regista e gli attori avessero desiderato regalare un alito di calore umano agli allucinati personaggi pinteriani. Ed è questa sottile e dolce commozione che accompagna lo spettatore al riaccendersi delle luci, nonostante tutto il vuoto e l’assurdità dell’Essere, evocata da questi onirici passaggi. Forse almeno la ricerca di un contatto che ci tenga al caldo, quando là fuori è buio e non c’è più nessuno in strada, forse, almeno quella, è ancora possibile.
Info:
NIGHT BAR
Il calapranzi, Tess, L’ultimo ad andarsene, Night
di Harold Pinter
traduzione Alessandra Serra
regia Valerio Binasco
con (in ordine alfabetico) Nicola Pannelli, Sergio Romano, Arianna Scommegna
scene Lorenzo Banci
costumi Sandra Cardini
musiche Arturo Annecchino
luci Roberto innocenti
teaser Duccio Burberi
produzione Teatro Metastasio di Prato / Teatro Stabile di Genova
PRIMA ASSOLUTA
Teatro Metastasio
13 febbraio 2018