I giorni 27 e 28 marzo 2018 al teatro OutOff di Milano è andato in scena lo spettacolo NEVERENDING. Un progetto di Barbara Altissimo per LiberamenteUnico, centro di formazione artistica da lei stessa fondato nel 1998; la drammaturgia dello spettacolo è affidata ad Emanuela Currao mentre il progetto musicale è della stessa Altissimo in collaborazione con Ivana Messina che avremo la possibilità di apprezzare anche in scena.
NEVERENDING è uno spettacolo che riporta in primo piano il rapporto padre-figlia spesso conflittuale, fatto di distanze e di riavvicinamenti, un rapporto che spesso si è costretti a risolvere sul punto di morte di uno dei due. Il momento in cui sboccia nuovamente quel legame indissolubile che a volte nella vita ci si è negati per esaltare o far primeggiare quel senso di libertà apparente dell'individuo. Uno spettacolo che gioca su differenti corde e registri, dalla leggerezza e spensieratezza, ai guizzi brillanti a tratti comici, fino alla disperazione e paura di quel mostro che è la Morte, per concludersi con quella vana speranza di incontrarsi.
La particolarità di questo spettacolo è che Barbara non è una figlia qualunque perché suo padre, Renato, non è un padre qualunque. Chi ha vissuto appieno la vita del Paese negli anni '80 e '90 non può non ricordare una delle figure politiche di spicco di quegli anni. Renato Altissimo è stato Ministro della Sanità per due mandati consecutivi, Ministro dell'Industria e Commercio, ma soprattutto è stato un esponente di spicco del Partito Liberale dal 1986 al 1993, anno in cui si trova costretto a rassegnare le dimissioni dall'incarico di segretario di partito dopo l'esplosione di Tangentopoli. Uno scandalo che lo coinvolge in prima persona e che lo costringe ad assumersi le sue responsabilità ammettendo di aver incassato circa 200 milioni di lire da finanziamenti illeciti. Una vita di grandi successi politici, arricchiti da elementi di gossip riguardanti la sua fama di tombeur-de-femmes fino ad arrivare a quelle dichiarazioni che inesorabilmente lo porteranno lentamente sulla strada del declino fino alla sua morte avvenuta il 17 aprile 2015.
Barbara Altissimo ci accompagna per mano nella sua storia e in quella della sua famiglia presentandoci, con tanto di nomi e cognomi, i suoi nonni e la loro ascesa nell'imprenditoria, i suoi genitori e in modo particolare suo padre Renato. Ripercorriamo insieme alla protagonista le tappe fondamentali della sua vita dalla sua adolescenza dietro i banchi di scuola durante la quale prende sempre più consapevolezza di portare un cognome scomodo e 'superlativo', agli anni trascorsi negli Stati Uniti accompagnati costantemente dalla sua ipocondria, raccontata con incisivi slanci comici. È proprio durante il suo soggiorno americano che Barbara riceve la notizia dello scandalo Tangentopoli che ha coinvolto suo padre ed è proprio in questa occasione che la figlia conferma la sua decisione di non essere coinvolta emotivamente dagli eventi. Il distacco emotivo di Barbara nei confronti delle vicende che investivano il padre viene sottolineato da un sarcastico commento fatto in seguito alla pubblicazione del libro 'La Verità' ("…e hai scritto un libro: 'La verità'… la tua verità!").
La notizia della polmonite fulminante che colpisce il padre mette Barbara in condizione di riavvicinarsi agli affetti familiari e di ritrovarsi, suo malgrado, circondata dalla presenza di una famiglia che oggi definiremmo "allargata". Sulla stessa panchina, nella sala d'aspetto dell'ospedale, siedono la madre con le due sorelle di Barbara, zia Renata, Zia Susi, la nipote prediletta Camilla e una serie di donne che hanno caratterizzato la vita adulterina del padre. Ne parla quasi con distacco, con ironia probabilmente per esorcizzare quei momenti di disagio, di dolore e forse anche un po' di rabbia nei confronti di quel brutto mostro che è la morte che si sta affacciando prepotentemente nella sua vita.
Sopraggiunge la morte di Renato e Barbara, una figlia come tutti noi, si trova a fare i conti con il lutto più importante e pesante da dover elaborare. Un percorso difficile, complesso e lungo, durante il quale si alternano momenti di totale accettazione ad altri in cui si aggrappa a quella vana speranza che la persona passata a miglior vita in realà si sia solo allontanata momentaneamente, ma che presto ritornerà a bussare alla sua porta. Ed è proprio con questa scena che ci catapulta nel mondo televisivo di una trasmissione sulla falsa riga di "Chi l'ha visto?" che si conclude lo spettacolo.
Lo spazio scenico è stato allestito con pochi elementi, tutti protagonisti e necessari per lo svolgimento della narrazione. In primo piano due paia di scarpe, uno maschile e uno femminile che rappresentano il padre e la figlia. Una scala appoggiata alle quinte che viene utilizzata come appendiabiti, sulla quale sono evidenti una serie di elementi scenici che di volta in volta verranno utilizzati dalla protagonista, vestita con pantalone e casacca neri, per sottolineare i passaggi della storia. Un tulle bianco che ricorda i suoi trascorsi di ballerina di danza classica e contemporanea, una casacca bianca che indosserà per descrivere il suo periodo scolastico e una giacca rossa che simboleggerà l'ultima parte della storia ovvero la presa di coscienza della morte del padre e la sua rinascita. Al centro della scena una cassapanca bianca che si trasformerà, a seconda delle esigenze, da lettino da spiaggia a baule dei ricordi dal quale estrarrà una bandiera americana e una mela per simboleggiare il suo soggiorno a New York. La cassapanca poi diventerà la panchina della sala d'aspetto dell'ospedale che si affollerà di un turbinio di personaggi che hanno ingombrato la vita della sua famiglia. Scopriremo che la cassapanca è corredata di quattro ruote permettendo alla protagonista di creare una serie di movimenti coreografici a simboleggiare il costante altalenare tra le relazioni familiari ed extra-coniugali del padre. Ritornerà quindi per qualche secondo ancora contenitore dal quale estrarrà un cappotto nero per rimandare la memoria al momento del lutto e una pistola con la quale cercherà invano di scacciare quel mostro che sta venendo a prendersi il padre. Nella fase successiva la cassapanca viene portata in proscenio e sistemata sotto una luce arancione emessa da un particolare faro, si trasforma in bara ricolma di rose bianche. Si chiude così il capitolo più intenso e la stessa cassapanca si chiude per sparire nel buio.
Altro elemento scenografico è un microfono con l'asta che verrà utilizzato dalla protagonista in alcuni brevi passaggi introspettivi.
Ultimo elemento, ma non certo fanalino di coda è la postazione a vista dell'impianto audio, illuminato da una fioca luce rossa, composto da un mixer, probabilmente da una tastiera per la riproduzione di effetti sonori, un microfono e una chitarra, il tutto gestito magistralmente da Ivana Messina. Giovane performer con un molteplice ruolo, da compagna di narrazione come voce fuori campo a presenza effettiva in scena con il ruolo di conduttrice di una trasmissione televisiva. Il suo ruolo principale però rimane quello di cantante che con la sua chitarra sottolinea parte dei passaggi del racconto. Una voce calda, avvoglente che riesce a ricreare quelle atmosfere a tinte forti e decise. Peccato sia relegata in un angolo dello spazio senza una sua vera identità scenica.
Uno spettacolo di circa 50 minuti che fa fatica a raggiungere le corde più intime e profonde dell'emotività. Nella prima parte del racconto si ha come l'impressione che non ci si voglia troppo soffermare sulla figura di un padre, che per forza di cose non è un padre come tutti gli altri, ma un personaggio che ha comunque contribuito in parte alla storia del paese dal punto di vista politico; poteva essere un'occasione per far conoscere il lato umano, più vero, più sincero che solo gli occhi di una figlia possono vedere e che solo una figlia può sinceramente raccontare. Nella seconda parte, dove avviene un cambio di registro sottolineato anche dal cambio di luci da calde e vivaci a bianche e fredde, si inizia a raccontare dell'anticamera della morte del padre e dei primi passi della figlia verso una consapevolezza del dolore della perdita. Qui la Altissimo fa fatica a tirar fuori tutto il suo dolore e la sua non-rassegnazione, forse per pudore, forse perché non è riuscita ad elaborare totalmente il lutto e quindi ancora in difficoltà a lasciarsi andare e a darsi completamente al pubblico. Viene da pensare che l'essere stati a tratti troppo didascalici durante la messa in scena sia stato in realtà un pretesto per trincerarsi dietro un'emotività ancora troppo debole. Sicuramente recitare con un microfono ad archetto non aiuta a ricreare fedelmente i suoni più profondi dell'anima, sfuggono le sfumature più lievi e sottili delle emozioni e di conseguenza il suono risulta sempre troppo artefatto. Se la protagonista si fosse data totalmente al suo pubblico raccontandoci fino in fondo il suo essere figlia prima e dopo, sicuramente avremmo anche superato la mancanza di una buona dizione.
Neverending from azuLFilm on Vimeo.
Info:
NEVERENDING – Partitura per un corpo che racconta e un corpo che accompagna
progetto Barbara Altissimo
drammaturgia Emanuela Currao
progetto musicale Barbara Altissimo e Ivana Messina
messa in scena Barbara Altissimo, Emanuela Currao, Ivana Messina
con Barbara Altissimo e Ivana Messina
organizzazione e comunicazione Roberta Cipriani