La Compagnia de I Cavalieri Mascherati continua con successo la rilettura dei classici brechtiani: dopo l’ “Opera da Tre soldi” e “La vera vita del Cavaliere Mascherato” (che abbiamo visto fra gli spettacoli finalisti del Roma Fringe Festival 2015), ritroviamo i "Cavalieri" romani con il nuovo lavoro NELLA GIUNGLA DELLE CITTÀ (im dickicht der staedte) ispirato alla celebre opera brechtiana, ospitato nell'elegante Sala Uno Teatro.
Spettacolo appassionato, frenetico, sudato e concitato che premia l’azione scenica, piuttosto che assecondare una completa comprensione delle vicende narrate, come lo spirito brechtiano comanda e che ci ha lasciato più di una riflessione in testa.
L’opera fu composta da Brecht nel 1921, fu la prima ambientata in America, nei bassifondi fittizi di una Chicago alveo di una cultura “mista” sempre più marcata, dove i conflitti e le insofferenze serpeggiano fra le classi sociali stesse (una pagina sociale così dannatamente attuale) e la malavita (in questo caso quella cinese) viene posta al centro di una Giungla metropolitana che resta sullo sfondo di una irreale lotta (più metafisica che reale) fra due personaggi antitetici: l’umile libraio Garga, ed il ricco magnate Shlink. Il secondo col pretesto di voler comprare le opinioni del primo, gli regala poi tutti i suoi averi privandosi di tutto e si occupa poi dei suoi genitori sostituendosi a quello, in un crescendo di umiliazioni che non esclude, comunque, una battaglia psicologica aperta su cui si appunta la regia con grande meticolosità, e che viene ben resa dai due attori che si fronteggiano come galli in un’arena, o meglio in una Giungla, quella della vita moderna.
Suggestiva in tal senso e adeguata l'immagine di locandina scelta (vedi a lato) che riproduce il profilo di una città americana e la sua immagine capovolta; e fra esse un uomo su un filo, metafora del funambolismo dell'uomo moderno, in equilibrio (spesso precario) in un mondo che lo chiama a destreggiarsi, purtroppo, con sempre più spregiudicatezza nella società capitalista, qualla Giungla DELLE città (e non solo DI UNA, ma più in generale di ogni città) che tutto divora e tutti chiama ad uno scontro inevitabile fra classi.
Riuscito, se era volontario, l’intento di avvicinare la recitazione dei due protagonisti proprio alle movenze di due animali: un Garga che ci appare e si muove come un leone feroce, che cerca di farsi spazio, che non rinuncia a sbattere e scalciare (quasi un senso di ribellione alla frustrazione di una vita indigente, ma che tale resta anche da ricco, quasi che la frustrazione restasse comunque la stessa, una frustrazione personale,congenita, inesauribile – bravo l’attore a restare sempre in punta di spilli, sempre con lo sguardo alto e fuorioso ) ed uno Shlink dimesso e cauto ma mai del tutto rassicurante, come un serpente, da cui ci si aspetta una reazione, un piano nascosto di nuova sopraffazione che invece, non arriva mai (e se era questo l’intento della regia è ben riuscito).
I versi di animali, riprodotti dalla Compagnia al momento dell’uscita di scena dei personaggi agevola l’avvicinamento dello spettatore alla costruzione metaforica della “Giungla” in cui si svolgono le vicende. Una Giungla condita da vari "animali" che qui sono prostitute, piccoli truffatori e malavitosi cinesi che richiamano quel multiculturalismo, caro a Brecht, che si fonde con l’analisi della lotta di classe in chiave marxista, ed esprime quella volontà descrittiva dei conflitti emergenti fra le classi sociali del primo dopoguerra; scontri che sfociano, senza invettiva, nel paradosso della sottomissione di Shlink a Garga, nel rovesciamento della situazione economica dei due, che lascia però aperto il conflitto morale fra gli stessi.
Un conflitto da cui Garga che aspira alla Libertà ("Voglio la mia Libertà!" afferma), divenuto ricco, esce però sconfitto (e impoverito), mentre Shlink al contrario arricchito dalla capacità di provare emozioni, seppur vittima di un rigurgito di odio nel finale (e bravo l’attore a sottolineare tale guizzo negli occhi, nella postura, nell’atteggiamento eversivo della sua stessa condizione autoimposta di volontario “sottomesso”).
La messa in scena richiama i canoni espressivi di Brecht: suddivisione della vicenda in “capitoli”, proiezioni di filmati con didascalie sulle diverse location, cambiamento a vista della scena, inserzione di motivi musicali fra gli atti.
Rispettare quest’opera è però la missione più difficile e i Cavalieri non sembrano fallire: non c’è stata completa identificazione quanto un giudizio sulla vicenda, e vani sono i tentativi di comprensione di una vicenda (realisticamente resa ma) di per sé metaforica (“Non tormentatevi il cervello per scoprire i motivi di questa lotta..” scrisse del resto lo stesso Brecht),come da dettato di teatro espressionista; ed il giudizio richiesto nel pubblico sembra essersi smosso soprattutto verso il personaggio di Shlink, la cui claudicanza dell’attore lo umanizza quel tanto da far pendere, almeno da parte di chi vi scrive, il giudizio positivo su di lui.
Comprimari tutti all’altezza, concitati e briosi come già li avevamo trovati ne “La vera vita del Cavaliere Mascherato” ma meno “sciolti” di come ci erano sembrati allora, più concentrati nell’indicare i personaggi che interpretano, senza viverli pienamente. Scherzosi finanche, nella babelica riproduzione di una lingua orientale fittizia.
Piacevoli gli innesti musicali e buona la gestione dello spazio scenico da parte di una regia “più ordinata” di quella vista al Fringe, che plasma e sfrutta i centimetri del palco del bel Sala Uno concentrando più vicende contemporaneamente in diversi angoli, sempre nel tentativo di distogliere l’attenzione dello spettatore da una prospettiva unica di comprensione.
Lo spettacolo sembra dunque riuscire nell’intento di tenere alta l’attenzione e la guardia in vista di un giudizio critico del pubblico non sulla vicenda ma sulla lotta che lega e divide i due personaggi, quasi lo scontro si trasportasse alla platea, mettendo un pugile (l’attore) contro un altro pugile (lo spettatore critico) chiamato qui a vivere lo scontro fra Garga e Shlink come un conflitto di classe e al tempo stesso "umano", ancora attualissimo, una lotta di sopravvivenza in un mondo capitalistico che accentua (ancora oggi, anzi purtroppo come allora) la distanza fra classi sempre più povere e sempre più ricche, in una Giungla cittadina che si conferma tale, neanche troppo incredibilmente a quasi 100 anni di distanza; una Giungla che è oggi più di allora crocevia di popoli e di interessi confliggenti, pronti a divorarsi in una quotidianità disarmante e ripetitiva, annientante, dove la prospettiva di una fuga “Haiti, Haiti” pare irrealistica e dove la lotta per la sopraffazione ed il ribaltamento è sempre dietro l’angolo.
Visto il 30 aprile
Info:
Cavalierimascherati e SalaUno teatro
presentano
Nella giungla delle città
im dickicht der staedte di Bertolt Brecht
con
Caterina Casini, Chiara Condrò, Eugenio Banella, Guido Goitre, Irene Vannelli, Lorenzo Garufo, Luisa Belviso, Marco Usai, Maurizio Greco, Stefano Flamia
musiche eseguite dal vivo dal maestro
Valerio Mele
regia Alessandro De Feo
TEATRO SALA UNO
Roma, piazza S.Giovanni in Laterano n.10
Dal 25 al 30 Aprile 2017
Martedì-Sabato h 21.00 | Domenica h 18.00
ARCHIVIO RECENSIONI
Gufetto ha recensito de I Cavalieri Mascherati:
PETER PAN BEGINS @ Teatro Studio Uno: una piccola storia di nostalgia (di S.Suarez – Gufetto, 21/2/2016)
ASPETTANDO UNA CHIAMATA @T eatro Studio Uno: il lavoro fra comicità e sconforto (di G.Donatelli – Gufetto, 15/5/2016)
LA VERA VITA DEL CAVALIERE MASCHERATO – Roma Fringe Festival 2015 – (di A.Mazzuca – Gufetto,14/6/2015)