Dopo l’anteprima di stagione con il Festival Contemporanea (reportage completo di Gufetto Firenze), il Teatro Metastasio di Prato ha dato l’avvio al momento teatrale 2020/2021 con la prima assoluta (dopo l’annullamento delle repliche di marzo, anteprima a settembre a Milano) di NAUFRAGIUM, spettacolo di sua produzione e ultima fatica drammaturgica di Sonia Antinori per la regia di Daria Lippi, entrambe anche nel ruolo di attrici insieme a Silvia Gallerano. Sulle macerie odierne di una rivoluzione idealistica, un compendio degli anni della contestazione visto con gli occhi e raccontato con le parole di una ragazza che si è trovata coinvolta nel clima di “terrore” degli anni Settanta, suo malgrado.
Una poltrona verde marcio sul tappeto ed una macchina da scrivere su un elegante tavolino con sedia in stile. Sullo sfondo un tendaggio che somiglia più ad un fondo scena da teatro di quart’ordine che non ad un elegante arredo da salotto. E’ in questo frammento di soggiorno anni Settanta che le attrici ci invitano ad entrare lasciandoci prendere il nostro tempo per accomodarci e per zittirci prima di presentarsi. Nell’ordine prendono la parola l’Attore (e non l’attrice, Silvia Gallerano), il Regista (Daria Lippi) e l’Autore (Sonia Antinori), tre caratteri che fanno la loro apparizione in scena su un sottofondo fatto di slogan pubblicitari e con un cromatismo di colori pastello che ci proietta nel clima borghese degli anni Settanta.
Il contesto è quello di una famiglia calabrese emigrata in una grande città del Nord Italia, facilmente identificabile con Milano, in cui giungono gli echi d’Oltralpe dei moti studenteschi che anche nel nostro Paese non tardano a risvegliare le coscienze, unendosi al malcontento delle classi operaie. Un’ondata fatta di volontà di rinnovarsi, di desiderio di emancipazione e di spirito di ribellione contro il potere cosiddetto costituito. In tutto questo a parlare è una bambina che diventa ben presto una ragazza, testimone indiretta di quella grande Storia che è riuscita ad infiltrarsi anche tra quella poltrona e quel tavolino, in un interno borghese che profuma di boom economico e di normalità. E proprio in nome di questa presunta normalità la ragazza non capirà inizialmente perché il padre, attivista maoista, è improvvisamente scomparso in un clima di omertà familiare che la disorienta, fatto di muti sguardi e di lettere a lei indirizzate dall’uomo, incarcerato, e mai giunte perché intercettate dalla nonna.
Davanti ad un microfono, come si trattasse di un coro per voce sola, la giovane, interpretata da Silvia Gallerano, inizia a sfogliare davanti a noi la cipolla della verità, quella della sua verità, fatta di una quotidianità in cui la cronaca nera si anteponeva agli ideali rivoluzionari, dove l’assenza di un genitore risuonava assordante più di ogni manifestazione o protesta di piazza. Un microfono che non dà voce al politico o al leader di turno, testimone di una fede negli ideali che “ci portavamo dappertutto”, ma a quella massa non ancora pienamente consapevole della portata degli eventi, una massa che, in fondo, con gli occhi del presente, “di glorioso non ci vede proprio niente”. Del resto come biasimare una figlia che si sfoga con un padre che a lei aveva preferito un ideale?
Intorno la grande Storia prende vita grazie agli interventi individuali o, più spesso, collettivi di Regista ed Autore che, tra il caricaturale e il didascalico, passando per un registro a tratti più emotivamente coinvolgente, assistono e partecipano alla narrazione; a quella sorta di dialogo immaginario che si sviluppa tra un passato, in cui la storia era capace di attaccarsi “addosso come una manciata di spighe ad un maglioncino di lana”, ed un disilluso presente in cui è “infantile il fatto di crederci. Non commisurato ai tempi”. Oramai l’ideale, la teoria, la comprensione e l’eccezione sono solo nuovi concetti da mimare in un rinnovato Gioca Jouer, rimasti travolti da quegli anni Ottanta in cui con il muro di Berlino sono crollate le speranze di molti e si è aperto un nuovo straordinario capitolo. Nuove pagine tutte da scrivere che hanno visto il passaggio dalla liberazione sessuale femminile all’allattamento fino a 3 anni dei figli mentre le terapie per l’auto-coscienza sono state miseramente soppiantate dalla moda del fitness. Nuovi modelli e la consapevolezza dell’impotenza di fronte ad un futuro che i padri avevano cercato di costruire “così grande che era già passato”, incarnando idee e stili di vita così diversi e spesso contrastanti tra loro da aver lasciato talvolta “un niente in cui vivere”. Perché in fondo quello che la figlia, in ultima istanza, chiedeva era solo di poter vivere, di potersi infangare gli scarponi, come nell’Ulisse di Pavese. Con la consapevolezza, però, che i vecchi non sempre sono quelli più saggi ma magari solo quelli che sono nati prima.
La forma adottata per la messa in scena, fatta di monologhi, veloci scambi di battute e musiche, dalla partigiana Fischia il vento fino a Madonna passando per We’ll meet again, ha esaltato la figura della protagonista, interpretata da un’eclettica, dinamica ed espressiva Silvia Gallerano, a parer nostro la punta di diamante dello spettacolo, affiancata da due valide ed efficaci compagne di viaggio. L’elegante Sonia Antinori e la brillante Daria Lippi hanno saputo prendere e prendersi in giro mantenendo viva nello spettatore la consapevolezza che le gag andate in scena non volevano scimmiottare ma solo delimitare i confini di un percorso storico-evolutivo pieno di contrasti e contraddizioni. E forse in questo abbiamo trovato il vero punto debole di uno spettacolo che in chiusura ci lascia tanti (troppi?) interrogativi che stentano a diventare veri e propri spunti di riflessione, rischiando di restare sospesi e senza una risposta che, se non universalmente possibile, potrebbe però afferire alla dimensione personale dello spettatore. Alcuni ingredienti, come l’esibizione aerobica sulle note di Material Girl, sono apparsi quasi sovrabbondanti rendendo la ricetta complessiva un po’ troppo sbilanciata, riequilibrata soprattutto dalla indiscussa bravura delle attrici in scena.
“Naufragium feci, bene navigavi”. Se oggi sembriamo raccogliere principalmente le macerie di un idealismo tanto convinto e prorompente quanto totalizzante, lo spettacolo ci lascia con la consapevolezza che c’è stato naufragio, e magari ancora il peggio ha da venire. Quello che ci domandiamo è se abbiamo davvero navigato bene o se una rotta alternativa fosse possibile. La stessa domanda che in definitiva la nostra ragazza ha insistentemente posto a se stessa e al padre e con la quale abbandoniamo la rinnovata gradinata del Fabbricone dopo aver tributato un meritato applauso alle protagoniste.
INFO
NAUFRAGIUM
di Sonia Antinori
regia Daria Lippi
con Silvia Gallerano
e con Sonia Antinori, Daria Lippi
assistente regia Juliette Salmon
scene e costumi Emanuela Dall’Aglio
disegno luci Francesco Dell’Elba
disegno sonoro Juliette Salmon
produzione Teatro Metastasio di Prato
con Faa (Fabrique Autonome des Acteurs), Malte (Musica Arte Letteratura Teatro Etc.)
e Otse (Officine Theatrikès Salento Ellada), Reset
foto Lucia Baldini, Ivan D’Alì
PRIMA ASSOLUTA
Teatro Fabbricone, Prato
giovedì 8 ottobre 2020