NATURAE, LA VALLE DELLA PERMANENZA @Fortezza di Volterra: il testo filosofico e misterico di Armando Punzo

La saga di NATURAE scandita per otto anni conosce adesso il suo ultimo atto. Ne La Valle della permanenza (Fortezza Medicea/ Casa di Reclusione di Volterra, 11 luglio /17 luglio) il cammino compiuto da La Compagnia della Fortezza, sotto la guida di Armando Punzo, si avvia a conclusione. Un lungo viaggio, verso la ricerca del kosmos: ordine e bellezza nella natura umana. La performance ha una radice segreta, il misterioso, filosofico testo drammaturgico che lo stesso Armando Punzo ha composto e che abbiamo avuto il privilegio di analizzare qui.

Nella vasca luminosa del cortile del Carcere di Volterra, tappezzata di immensi fogli a quadretti, nuove pagine per un nuovo mondo, Armando Punzo inserisce oggetti iconici: un vassoio di frutta, manopole d’acciaio, una coppa da infilare fra le dita di Emma Zunz, ed altro. Muovendoglisi intorno, i performer della Compagnia della Fortezza si incaricano di evocare il nuovo universo di questa ultima tappa della saga di NATURAE: con il movimento, rituale e sacro (alcuni avanzano dentro gabbie di legno che si adeguano al loro ritmo, altri le usano abbandonandovisi in preda a incontrollabili languori, oppure come fossero cannocchiali in grado di esaltarne il viso e l’espressione) , con la danza greve e scalena corredata da rigide ali e gestita dal regista in persona, ‘tessitore cieco’ come qualcuno ha definito la regia – in ogni modo. Ma mentre il movimento scatena l’epifania e scandisce la performance, scorre un fiume di parole. Un testo fluido, un carmen continuum che senza soluzione di continuità accompagna lo spettacolo. 

Armando Punzo in scena per NATURAE

Naturae, mosaico performativo e testuale

 Il testo composto da Armando Punzo funziona insieme da radice e da mistero. Ovviamente, lo splendore visivo dello spettacolo lo inghiotte. Riemerge in isole, in nuclei. Volutamente, perché il montaggio in frantumi di uno spettacolo mosaico si riflette inevitabilmente nella fruizione frantumata del testo / radice. Lo spettacolo va a sprazzi, a salti. Nessuno, fra gli spettatori, potrà dichiarare di averlo visto tutto, completamente: nello stesso modo ogni tanto il testo allunga dita seduttive verso gli spettatori, e suggerisce. Preziosamente, proprio perché in modo frammentario: perché, si sa, la parte è più importante del tutto.

Naturae: un flusso tra i margini dell’anafora   

Di che testo stiamo parlando? È una prosa poetica. Sinfonica. Si basa su insistite ripetizioni, che impiantano l’anafora di una stabilità invalicabile. L’anafora, potremmo dire, sono le pareti del cortile. “Senza limiti, senza inibizioni, senza condizionamenti, senza temere nulla”. “Senza più sentirne il sospiro, senza saperne più nulla. Senza conoscere nulla”. L’anafora ribatte, insiste, è un bastone che possiamo impugnare, per muoverci sul sentiero friabile di questo testo fiume, così facile allo scivolare via. Eppure dobbiamo fermarlo, perché chiede di essere compreso. È una prosa poetica ma filosofica, apparentabile agli aforismi di Friedrich Nietzsche: immagini segretamente lo richiamano, e del resto non siamo lontani da un ‘maestro del sospetto’ che voleva distruggere un mondo che disapprovava (Dio è morto, proclama Zarathustra) per instaurare una nuova etica e un nuovo senso del tempo. “Un pensiero, solo un pensiero, un filo sottile, impalpabile, leggero…un ponte sul vuoto, architettura invisibile”…L’uomo, scriveva Nietzsche, è un passaggio e un tramonto: e il funambolo cammina sulla piazza distraendo la folla dalla predicazione del profeta.

Aforismi  e poesia da Eraclito ai giorni nostri 

Ma in realtà, la scrittura aforistica e poetica di questo testo è troppo infinitamente filosofica per non slittare più indietro. Al mistero di Eraclito, per esempio. “La solitudine di uno cambia il corso al mondo, all’acqua si mescola l’acqua, rendendosi imprendibile, ma lui osserva e si pensa lontano. Nasce il sole ed è un nuovo giro che si compie e poi un altro, all’infinito. La polvere sollevata da un calesse lontano nel tempo, è ancora nell’aria e lui già non è più”, recita il testo.  “ A chi discende nello stesso fiume sopraggiungono acque sempre nuove.” Così si legge nel frammento 12, e ovviamente non si tratta qui di tracciare una bibliografia, ma di connettere il testo immaginifico, filosofico, epifanico di Armando Punzo con le vie molteplici di una scrittura misterica che si è servita  per secoli di parole e immagini per invitare a un viaggio filosofico misterioso che si tramanda e rinasce qui, nella performance contemporanea , con la stessa forza, con la stessa allusività.

NATURAE, La Valle della Permanenza (ph Gianfranco Falcone)

Naturae tra cosmologia e matematica: l’infinità di uno spettacolo

Pian piano, il testo diventa cosmologico: del resto, è di un nuovo universo che parliamo…. E quando ci muoviamo verso i cieli, lo sfondo metaforico diventa matematico, geometrico. Accadeva così nel Paradiso dantesco, accade anche adesso. “Si pensi di allontanare il centro in una direzione prefissata, in modo da stabilire una successione di raggi, esiste un raggio sempre maggiore di quello che lo precede, esiste una circonferenza sempre più grande che supera ogni lunghezza assegnabile. La nuova sfera si chiama Orisfera ed è la figura limite alla quale tende una sfera quando il suo raggio tende all’infinito”. A parte la citazione diretta di Goethe, che nominò l’orisfera discutendo la sua teoria dei colori, dietro un brano simile abitano Pitagora e le sue figure geometriche, il Timeo di Platone (dove non a caso un demiurgo divino crea un mondo nel quale la scienza e la matematica ordinano sostanze ed accidenti in un’armonia incancellabile) e tutta la fisica contemporanea. “Rette immaginarie, strutture”: non manca molto alla diagonale di Cantor e al suo tentativo di dimostrare l’infinità degli insiemi, contro cui si ribellò con violenza Wittgenstein, sostenendo che Cantor avrebbe ‘distrutto il Paradiso’. La linea dell’infinito prosegue nel monologo successivo (“questa è la linea dell’infinito, oltre a questa non resta che la beata eternità dell’essere”) e nel Verbo degli Uccelli, a cui è affidata la conclusione: “c’è solo questo spazio, c’è solo questo tempo, spazio dalle infinite possibilità. Un presente parallelo, che ricrea la vita”.

Naturae e le parole “perla”

Nel grande mare di queste ondate filosofiche, nel grande flusso di questo viaggio – ondeggiante, sì, ma preciso – affiorano, però, sole come perle, frasi incredibilmente intense.  “Questo corpo incline alla felicità. La nostalgia di una possibile perfezione. Mai vi fu altrettanto inizio di adesso”. E, imparagonabile, “qui si dice che fu per amore”. È un lacerto, forse inconsapevole, chissà, de I dialoghi con Leucò, di Cesare Pavese. Orfeo sta parlando con una baccante, le spiega che si è girato volontariamente per perdere Euridice. Non avrebbe più potuto amare sapendo che l’amore sarebbe dovuto finire. Non avrebbe mai voluto rivivere la perdita, che gli è servita solo come fondamento dell’arte disperata della sua poesia. Sbigottita la baccante commenta: qui si dice che fu per amore. Come una foglia, questa breve frase galleggia sulle onde di un testo vertiginoso e ci porta una promessa, una rassicurazione, un sorso di acqua fresca che, in fondo, è la nuova vita, la ‘vita nova’ che lo spettacolo e il testo che lo innerva ci aprono davanti.  

Naturae e il libro dei libri

Finisce il testo – ‘fu per amore’, certo – e ci accorgiamo che approda alla sua fine un grande viaggio. Se questa ultima tappa della saga si è certo posta lo scopo di concludere e incorniciare, reiterando figurazioni, simboli, scene – nucleo, in una conclusione che è insieme inizio e ripartenza, il testo parla con sicurezza un nuovo linguaggio. Basta ripensare alle modalità compositive del testo di Beatitudo, che era una collana di perle di monologhi preziosi, fra i quali, intensissimo, quello di Punzo stesso (“che cosa è reale? Sono reali questi muri di pietra?…”) , ma anche molti altri, a rendere il testo una polifonia profondamente lirica. Molte voci dicevano io, in Beatitudo, in una variegata tastiera di poesia scandaglio che tirava fuori ciò che era dentro, o esponeva ciò che era nascosto. Qui il testo per voce sola o quasi sembra veramente esemplificare ciò che Dante vede al cospetto di Dio: alla presenza della divinità “vidi che s’interna/ legato con amore in un volume/ ciò che per l’universo si squaderna”. Di un grande libro che conteneva tutti i libri si parlava proprio in Beatitudo – e qui non se ne parla: lo si agisce, lo si sfoglia.  Lo spettacolo, aggregato omogeneo di immagini eterogenee, all’apparenza, ha una radice misterica, nascosta, che dice: tutto si tiene. Ammirevole, segreto risultato.     

NATURAE/  LA VALLE DELLA PERMANENZA

Compagnia della Fortezza

Drammaturgia e regia Armando Punzo

Costumi Emanuela dall’Aglio

Scene Alessandro Marzetti

Musica Andreino Salvadori

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