Nuovamente in scena fino al 12 novembre al Teatro Bellini di Napoli, LA CUPA di Mimmo Borrelli (premio UBU): ambientata durante la notte di Sant’Antonio, quando gli uomini agiscono come animali e gli animali ragionano meglio degli uomini, per raccontare la “Fabbula di un omo che divinne un albero”.
Su LA CUPA leggi anche l’articolo di M.Musella per approfondire sul significato e sulla simbologia dell’opera.
La cupa stravolge l’assetto del teatro

Entrare al Bellini e quasi non riconoscerne la platea: una passerella si allunga come una lingua distesa nello spazio in genere occupato dalle sedie che invece in questo assetto occupano un sottile limes presso i palchetti. L’aria sembra fumosa e ogni poltroncina, ogni lume, ogni tenda è immersa in una coltre grigia e plumbea: tutto è intriso della polvere della cava di tufo in cui i personaggi lavorano. Anche lo spettatore più distratto avverte un certo disagio nel percepire uno spazio scenico così invasivo dal quale solo gli occupanti dei palchi possono sentirsi maggiormente protetti. La percezione viene subito confermata dall’ingresso dei personaggi che aggrediscono la pedana in un moto ondoso e solo apparentemente confuso -anticipazione del dispiegamento di follia ordinata a cui forse nessuno dei presenti è pronto ad assistere.
A lato della pedana Antonio Della Ragione introduce alla rappresentazione, abbracciandola per tutta la sua durata con la sua musica dal vivo, scavando, sussurrando, urlando, come le nenie di Maria delle Papere o il canto guerriero di Giosafatte ‘Nzamamorte richiederanno per liberarsi.
La scenografia de La cupa tiene alta l’attenzione

La lingua di palco è l’occhio del ciclone di tutte le malefatte narrate che avvengono in luoghi e in momenti altri da quelli rappresentati: l’estremità che si orienta verso l’ingresso della platea è delimitata da un candelabro acceso, punto di luce fisso in questa notte di Sant’Antonio, la cui immagine troneggia illuminata e brillante pendente dalla parete.
L’altra estremità del palco emerge dalle quinte, buie e ombrose, e non mostra immediatamente un globo che, quando fa la sua apparizione mastodontica e orgogliosa ruotando su delle panchine che fanno da binari percorrendo buona parte della pedana, attira la totale attenzione degli astanti.
È la noce materna a cui le innumerevoli allusioni delle parole di ogni personaggio si riferiscono? Sarà sufficiente la sua ciclopica presenza durante tutto lo spettacolo per stimolare le domande sulla sua natura.
La cupa: una scena sempre in movimento

La scena si caratterizza per un movimento imperituro, fluido o scattoso, ripetuto o improvviso: anche quando qualcuno dei personaggi si lascia andare al monologo e ha su di sé l’attenzione del pubblico, gli altri presenti in scena non bloccano il proprio flusso della vita, come farebbe una folla vera e viva per la strada.
Le scene corali suggeriscono pose di complessi marmorei barocchi dinamici e drammatici: si avvicinano per poi creare il vuoto attorno a uno dei soggetti allontanandosi, a volte in una processione funebre, altre in una danza pagana, fatta di gesti ripetuti e tantrici.
La gestualità dei personaggi li distingue ma allo stesso tempo li accomuna: sono gesti di un popolo mai visto accomunato da sofferenze celate, offese mal digerite, prepotenze ostentate. Anche i costumi contribuiscono: il vorticoso ondeggiare delle giacche grigie si contrappone all’immobilità rigida dei corpi negli abiti neri macchiati di polvere bianca che ne accentua la prossimità ad essere tutt’altro che umani ma fatti della stessa materia.
Il significato de La cupa: la violenza
La violenza subita e inflitta sgorga da ogni parola, trasuda da tutte le vesti lacere, le sue esalazioni colpiscono appena sembra il plot se ne stia allontanando. Di difficile comprensione il dialetto dei Campi Flegrei, in un continuo turpiloquio disturbante, il cui intento è mostrare l’estremità del pericolo a cui tende l’umanità autodistruggendosi: ognuno dei personaggi de La cupa ha vissuto sulla sua pelle la privazione dell’innocenza infantile e così come il tufo estratto viene alla luce, si dipaneranno le bugie nascoste in generazioni di colpe e misfatti, la sequela di incesti, atti di pedofilia, uxoricidi, parricidi.
Ma ‘a terra primma o poi ‘nt’ ‘a na vota /contr’a ll’ommo sempre s’arrevota: la figura paterna non riesce ad assolvere alla sua funzione e la famiglia, invece di essere punto focale di felicità, diventa vettore distruttivo di innocenze infantili. Nel circo dell’ ereditarietà delle colpe alla fine del secondo atto la domanda sull’origine del male soggioga gli astanti: intanto spunta già il giorno, come tutte le altre notti anche questa di Sant’Antonio finisce.
LA CUPA – INFO CAST E CONTATTI
Fabbula di un omo che divinne un albero
versi, canti, drammaturgia e regia Mimmo Borrelli
con Maurizio Azzurro, Dario Barbato, Mimmo Borrelli, Gaetano Colella, Veronica D’Elia, Rossella De Martino, Renato De Simone, Gennaro Di Colandrea, Paolo Fabozzo, Enzo Gaito, Geremia Longobardo, Stefano Miglio, Roberta Misticone
scene Luigi Ferrigno
costumi Enzo Pirozzi
disegno luci Cesare Accetta
musiche, ambientazioni sonore composte ed eseguite dal vivo da Antonio Della Ragione
foto di scena Marco Ghidelli
produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini
Lo spettacolo ha debuttato al Teatro San Ferdinando di Napoli il 10 aprile 2018, prodotto dal Teatro di Napoli-Teatro Nazionale
Durata Spettacolo: 180 Minuti con intervallo.