In scena al Teatro Bellini di Napoli dal 7 al 12 febbraio l’imponente e magistrale regia di Elio De Capitani del copione di Orson Welles riesce a trasformare la platea in una distesa oceanica dove la mitica epopea di Melville incontra Shakespeare e Pirandello
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LA GRANDIOSA SEMPLICITA’ DI MOBY DICK ALLA PROVA
C’è molto Shakespeare nel capolavoro drammaturgico scritto da Orson Welles negli anni Cinquanta e tradotto magnificamente dalla poetessa Cristina Viti per questa coproduzione del Teatro dell’Elfo e Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale.
C’è, sopra ogni cosa, la capacità tipica dei fuoriclasse di operare scelte audaci per creare opere d’arte totali che, superando ogni aspettativa, rendano possibile l’impossibile.

Elio De Capitani, eccezionale a tal punto nel ruolo di regista e attore di questo esperimento metateatrale, emula l’essenziale scelta stilistica dell’originaria regia di Welles, incentrata sul concetto di prova scevra di sensazionalismi, e allestisce uno spettacolo stupefacente proprio nell’impianto scenografico.
Dispiegando mezzi tutto sommato ordinari, il nostro De Capitani – con piglio da autorevole comandante e magico stratega – firma un autentico compendio di quell’ingegnoso artigianato teatrale che sa attingere alla grande tradizione registica da Brecht a Strehler, passando per Pirandello. Gli attori coinvolti nella pièce compiranno infatti, all’inizio del primo atto, una doppia metamorfosi, invertendo – per così dire – la rotta della rappresentazione: dal Re Lear di Shakespeare al Moby Dick di Melville.
La messa in scena sarà un trionfo di trovate e soluzioni logistiche elementari ma estremamente efficaci: la semplicità – citando Confucio – come forma della vera grandezza.
MOBY DICK ALLA PROVA: L’AVVINCENTE EPOPEA TEATRALE-MARITTIMA DI ELIO DE CAPITANI

Affascinanti sonorità realizzate con strumenti musicali suonati dal vivo; l’uso di microfoni per solenni o intimi assoli recitati in proscenio; meravigliosi cori, canti e danze coreografate dal ritmo incalzante; la vetusta poltrona di un barbiere usata come trono al posto di un timone; un carrello elevatore da magazziniere; tavoli con rotelle e lunghe scale in metallo agite all’occorrenza per simulare la vita a bordo del veliero o la scena clou del finale, in cui avviene il naufragio scatenato dall’animale ferito; l’enorme telo che muterà in vela maestra, mare increspato, dorso e fauci di balena; infine, una rete sottile e semitrasparente che nel secondo atto consentirà di evidenziare con un bellissimo gioco di luci e ombre le sagome dei marinai abbracciati agli alberi della nave: questa la mirabile macchina dai perfetti ingranaggi che riuscirà a immergere lo sguardo del pubblico nella sconfinata vastità delle distese oceaniche.
Il susseguirsi delle scene con la corposa vela dispiegata dall’albero maestro e agitata dal vento, realizzate con raffinatissimo gusto estetico, ci regalerà visioni colossali quanto le proporzioni del mostro marino protagonista del dramma.
L’AMBIENTAZIONE CORALE DI MOBY DICK ALLA PROVA VELEGGIA SULL’ABISSO
Sulla totalità dello sfondo, in apertura di sipario, si stagliano quinte dipinte in bianco e nero raffiguranti palazzi ed altri edifici cittadini, simili a quelli visibili alle spalle di un qualsiasi porto.
Sul palcoscenico sono presenti da subito tre alte scale a castello che fungeranno da alberi maestri e vedette, consentendo alla “ciurma” di attori arrampicate e altre pose funzionali all’ambientazione marinaresca caratterizzata da una vela gigante, issata, mossa e gonfiata ad hoc per la resa dei momenti topici.

I costumi scelti da Ferdinando Bruni per la compagnia teatrale-marittima sono abiti da lavoro scuri, in differenti gradazioni di grigio e altri colori cupi, da uomini vissuti. Giovani e vecchi lupi di mare esposti alle intemperie, costretti a sopportare fatiche massacranti, mostrano i segni del loro sacrificio attraverso maschere lucide ideate da Marco Bonadei che ricoprono la parte inferiore dei volti: simili a pellicole d’alluminio aderiscono ai menti e simulano barbe umide e incolte, impregnate di schiuma.
MOBY DICK ALLA PROVA DA SHAKESPEARE A MELVILLE: DE CAPITANI PRENDE IL LARGO CON ORSON WELLES
Il testo scritto in versi sciolti (ispirati ai blank verse shakespeariani) è il risultato di un complesso, autoriale lavoro di sintesi: il capolavoro di Melville è certamente una delle opere letterarie più difficili in assoluto da rappresentare, in virtù delle gigantesche dimensioni delle figure ed entità evocate.
Eppure noi, accomodati su poltrone rosse nella platea di un teatro, riusciremo a immaginare e vedere tutto.
Di più: noi diverremo oceano e balena: e questa sarà senz’altro una delle emozioni più forti che l’avventuroso viaggio sul veliero Pequod ci regalerà.
L’ESPERIMENTO METATEATRALE DI MOBY DICK ALLA PROVA
Dichiarazioni programmatiche mutuate alle opere più note del Bardo, a mo’ di premesse iniziatiche, risuoneranno dal palco: Il sentimento del pubblico non deve nascere dal sentimentale ma dal poetico / Bisogna reggere lo specchio alla natura! / Di che cosa ha bisogno l’attore? Del pubblico!
Accogliamo dunque fiduciosi l’invito esplicitamente rivolto al pubblico da Elio De Capitani:
Ora tocca un po’ anche a voi: dovete immaginarvi una nave e un paio di oceani e rimediare con la vostra immaginazione ai nostri errori / sul nostro nudo palcoscenico / mentre svolgiamo i destini di un anno intero.
È la proposta di un patto col pubblico pronunciata all’inizio dello spettacolo dal capocomico di una compagnia teatrale alle prese con alcune scene paradigmatiche del Re Lear di Shakespeare, incentrate sul conflittuale rapporto padre-figlia.
IN MOBY DICK ALLA PROVA LA TRAGICA PARABOLA DELL’UOMO MODERNO
Al comportamento disfunzionale di Lear, massima espressione del talento shakespeariano per lo scandaglio psicologico di personaggi divenuti archetipici e immortali, verrà sovrapposta la quasi identica, malsana dinamica che caratterizza e trasforma il capitano Achab da vittima in carnefice, sfrenando la sua hybris fino alla distruzione propria e altrui.

Il capitano Achab è, alla pari del re Lear padre tiranneggiato da contraddittorie istanze, indissolubilmente e disperatamente legato al suo demone pelagico, battezzato con nome proprio Moby Dick nel segno di una collera che non ha più nulla di sensatamente umano ma ricorda quella divina, terrificante, descritta nell’Antico Testamento.
Le citazioni dal Libro di Giona ci ricorderanno che il peccato di Achab, denunciato nella Bibbia come un re traditore e persecutore, consiste nella sua protervia, nel suo spregio di Dio perché crede di potergli sfuggire.
L’Achab di Melville nella riscrittura di Welles qui filtrata dalla colta regia di Elio De Capitani apparirà come il prototipo dell’uomo moderno, del tutto incapace di riconoscersi come parte integrante di quella natura selvaggia che è, evidentemente, del tutto inerme al cospetto della nostra pandemica specie.
Uomini, che cosa fate quando vedete un capodoglio?!
A morte lui o a picco noi: è così che si canta!
IL MITO DELLA BALENA BIANCA NEL MOBY DICK ALLA PROVA DI WELLES-DE CAPITANI
Raffigurata poeticamente da una balena bianca, la natura contro la quale si accanisce Achab è nemica giurata, habitat temibile e ostile da dominare e sconfiggere. Nessuno dei marinai a bordo del Pequod riuscirà a dissuadere il vecchio mutilato in preda alla sua rabbia devastatrice.
Lo implorano: Perché dare la caccia all’odioso mostro e non abbandonare le mortifere acque che lo ospitano?
Castigo di Dio o punizione auto-inferta? Questo è il problema.
Alla forsennata ricerca di un riscatto impossibile, Achab si definisce un vecchio cannibale e tuona: Quale irrecusabile forza mi governa? Oppure: In verità io vi dico che dalla mia vendetta saprò ricavare un grande profitto!
Egli è il capitano di una baleniera e in questo ruolo non ammette fallimenti e sconfitte: inseguendo Moby Dick, egli insegue – invano – sé stesso. Accecato da una furia sterminatrice, incapace di redimere la sua sete di vendetta, condannerà anche i suoi compagni d’avventura a un’apocalisse che culminerà – come sappiamo – in tragedia.
Tuttavia gli sventurati, immolati membri dell’equipaggio alla mercé del loro tiranno, diranno: Il vecchio Achab lascia cadere in mare una lacrima e tutto l’oceano Pacifico non contiene un tesoro paragonabile a quella goccia.
IL DE CAPITANI-ACHAB TRA PECCATO ORIGINALE E IMPOSSIBILE REDENZIONE: MOBY DICK ALLA PROVA
Il mostruoso capodoglio che si sottrae all’ossessa caccia e lascia intravedere il suo possente dorso come un miraggio imprevedibile, trascinando verso gorghi mitologici un’impresa destinata inesorabilmente a fallire, persiste nella sua istintuale innocenza.

Alla pari delle altre creature e forze incontrollabili presenti in natura, Moby Dick non è responsabile di alcuna disgrazia: sono le scellerate interazioni dell’uomo, nell’era antropocentrica che ha definitivamente spezzato l’incanto di un originario, armonioso rapporto con Madre Natura, a renderlo martire dei propri deliri di onnipotenza.
Moby Dick non è che l’invisibile ma onnipresente inconscio che, dalle acque del sogno, riaffiora per segnalarci le nostre negazioni e i nostri rimossi.
MOBY DICK ALLA PROVA: IL LAVORO SUI PERSONAGGI
Elio De Capitani (che interpreta Achab, padre Mapple, Lear e l’impresario teatrale) recita al fianco di Angelo Di Genio (Attore giovane / Ishmael); Giulia Viana (Attrice giovane / Cordelia / Pip); Cristina Crippa (Direttore di scena / cambusiere); Marco Bonadei (Attore serio / Kent / Starbuck / Queequeg); Alessandro Lussiana (Attore cinico / Elijah / Tashtego); Enzo Curcurù (Attore di mezza età / Stubb / Daggoo / voce dello Scapolo); Massimo Somaglino (Attore veterano / Peleg / voce della Rachele); Vincenzo Zampa (Attore con il giornale / Carpentiere / vedetta); Michele Costabile (Attore / Flask / vedetta).

Il lungo elenco ivi riportato, dovuto alla folla dei personaggi rappresentati in questa Prova del Moby Dick, testimonia quanto stratificato, ricco e composito sia stato il lavoro di preparazione dell’intero cast.
A ogni attore sono state affidate le identità di diversi personaggi e l’onere d’incarnarle, rendendole distinguibili attraverso il dinamico svolgersi della trama a cavallo tra i due tempi, che sommano più di due ore di spettacolo. Un’operazione decisamente laboriosa che soltanto una decennale esperienza e tradizione del mestiere, unitamente al grado emotivo raggiunto dagli attori nel loro processo d’immedesimazione, poteva traghettare verso il successo.
LE MUSICHE DAL VIVO E I CANTI MARINARESCHI DI MOBY DICK ALLA PROVA
Mario Arcari è l’abile esecutore delle musiche dal vivo, sprigionate di volta in volta da un clarinetto o una fisarmonica, un piffero o una tastiera; i fascinosi e coinvolgenti canti in cui si diletta la compagnia dell’Elfo, diretti da Francesca Breschi, sono rielaborazioni degli sea shanties.
Tradotti in italiano come “baracche del mare”, questi canti marinareschi venivano intonati durante il faticoso lavoro a bordo delle grandi navi mercantili a vela nel corso del Settecento e dell’Ottocento. Saranno qui un gradevolissimo contrappunto capace di evocare la brumosa atmosfera degli ambienti portuali e marinareschi, con quel loro profumo salmastro ad accompagnare le grida dei gabbiani.
MOBY DICK ALLA PROVA: SIMBOLO E RIVELAZIONE DI UN’ETERNA LOTTA
Questo è certo un viaggio impegnativo anche per lo spettatore più navigato e paziente, poiché invita a scandagli ultramarini; spinge verso derive metafisiche dove il profilo dei capodogli svela il nostro sembiante.
Il Moby Dick di Elio De Capitani si inabissa e poi riemerge, ci rimette alla Prova, alla sua reale identità di simbolo e sensazionale rivelazione di quell’eterna lotta che, mescendo il male nel bene, agita mari e inonda cuori.
MOBY DICK ALLA PROVA: Cast e info
di Orson Welles
adattato, prevalentemente in versi sciolti, dal romanzo di Herman Melville
traduzione Cristina Viti
uno spettacolo di Elio De Capitani
costumi Ferdinando Bruni
maschere Marco Bonadei
musiche dal vivo Mario Arcari e Francesca Breschi
luci Michele Ceglia
suono Gianfranco Turco
con Elio De Capitani
Cristina Crippa, Angelo Di Genio, Marco Bonadei, Enzo Curcurù, Alessandro Lussiana, Massimo Somaglino, Michele Costabile, Giulia Viana, Vincenzo Zampa, Mario Arcari
assistente regia Alessandro Frigerio
assistente scene Roberta Monopoli
assistente costumi Elena Rossi
una coproduzione Teatro dell’Elfo e Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale