In scena eccezionalmente dal 4 al 12 novembre, dopo il passaggio in Ottobre, LA CUPA di Mimmo Borrelli (premio UBU riempie con successo il Teatro Bellini di Napoli. Ambientato durante la notte del giorno di Sant’Antonio, in due ore di spettacolo si racconta la “Fabbula di un omo che divinne un albero”…
Per approfondire sugli aspetti tecnici della messa in scena suggeriamo la recensione di F.Faiella su LA CUPA per Gufetto!
Contenuti
LA CUPA di Mimmo Borrelli: una favola senza redenzione

Cupa è la favola e senza redenzione.
È la notte che non passa, il non-luogo metafisico dove il karma ordisce i tragici destini che dall’umano errare conducono al diabolico perseverare.
È l’atmosfera infera di un altrove atemporale dove tutta la disumana Storia collassa in un loop distopico, riportandoci ad un’arcaica, biblica, archetipica origine di tutti i mali.
I legami familiari con al centro le figure parentali primarie sono catene infrangibili, una drammaturgia esistenziale impossibile da modificare se le dinamiche relazionali sono disfunzionali e tutti i ruoli sovvertiti.
Al Teatro Bellini LA CUPA: un incubo lucido di uomini e animali

Una scandalosa, infinita progenie di orrori sfila artaudianamente sulla scena, che ricorda il giapponese “cammino dei fiori” (la passerella Hanamichi, sezione aggiunta al palcoscenico nel teatro Kabuki): uomini posseduti e animali tutelari evocano i possenti e metamorfi miti della classicità, attraversando lo stretto collo di un utero dove s’è nati alla morte, strozzati da un cordone ombelicale che è paradigma metaforico di ogni patologica dipendenza.
E fiori sono appunto quelli che, come lacrime di testimoni impotenti e brandelli di carne violata, verranno sparsi al passaggio delle creature di questo incubo lucido: gesti cavi che riverberano una sofferenza indicibile, corpi divenuti canto, autoinflitto tormento.
Suono, e ritmo: siamo invischiati in un pulviscolo sonoro di micidiale forza evocativa che scioglie il pianto, perché il sangue del santo è divenuto pietra che nessuno, per primo, potrà scagliare.
LA CUPA: una messa “nera” nella notte di Sant’Antonio al Teatro Bellini

Questo, per le umane fantasime presenti, non è uno spettacolo: è una messa nera preclusa ai principianti del Senso e dei Sensi, perduti ed ora ritrovati, per una colpa collettiva atavica, in questa notte di S. Antonio dove prodigiosi, proibiti versi pronunciano un esorcismo al contrario, dove il fuoco è quello di un incendio doloso, che uccide e non purifica.
Cenere alla cenere: e la nostra Fenice non risorge. Restano sospese per aria le sue ali ed evocano la hybris del padre tramandata al figlio Icaro.
Uccello del malaugurio e avvoltoio cannibale, in mezzo ad una congerie di mostri subumani e numi a quattro zampe: veggenti maiali e porci stupratori, scimmie emotivamente evolute alla mercé di antropo-iene fratricide, lupi e lupe, serpi avvelenate e azzannatrici, cavalli trottanti al suon di nacchere e colpi di vattienti.
LA CUPA: le suggestioni visive e sonore
L’infanzia violata e i suoi abusanti carnefici muovono contorti passi in una vorticosa processione di morte musicata, ora da incantevoli tintinni ed elettroniche sperimentazioni, ora da dionisiaci flauti e tamburi, canti a tenore che ricordano quelli della tradizione sarda o di qualsiasi altro entroterra di un Sud leggendario e universale; in un turbinio sonoro di pianti e lamenti, convulsioni e spasmi violenti, nell’andirivieni morboso che penetra ogni spazio fisico e psichico: spento della ragione è ogni lume.
In fondo a questo tunnel sventrato, rischiarato a malapena dai bagliori dorati emanati dal drappo raffigurante un vegliardo, appare un globo gigante, simbolo della Terra che al passo dell’innocente, delle vittime assassinate, non mai sarà lieve, a svettare come un monito del clamoroso rimosso collettivo; pupilla senz’occhio e coscienza che non vede; sisifeo masso.
LA CUPA il sovvertimento delle leggi di natura

Pedofilia e incesto mostrano il loro sguaiato, pornografico autocompiacimento nel pestilenziale affresco di una incoercibile violenza che sovverte ogni legge di natura, mutando amore in odio, istinto materno in furia omicida, vagiti in grugniti, una processione cristiana nella pagana, profana esibizione di un crocefisso-fallo in erezione, a campeggiare sulle macerie di un’apocalisse che ha il sapore di un epilogo anti-escatologico.
“Salterete in aria, in una frana di fango”, s’ode tuonare.
Le parabole qui, sono orfane di prole.
Le generazioni future ereditano la condanna a forme di comportamento viziate e insane, a coazioni morbose, che trovano la loro scaturigine nei trami infantili eternamente ritornanti, ferite radicali che niente e nessuno potrà risarcire.
Borrelli: ne LA CUPA una riflessione sulla violenza e l’abuso
Il tentativo di elaborazione del lutto sembra destinato ad un fallimento senza pentimento, alla compulsione senza requie né perdono, che Dio tutto dà e poi tutto toglie: le colpe non devono ricadere sui figli…Ma ci ricadono, spezzandone cuori e membra: suicidata è ogni speranza, pur nella remissione dei peccati rivendicati.
La legge di Stato che protegge dagli abusi e dalle violenze è un orizzonte scomparso alla vista, in tutte le possibili accezioni di significato. Gli assassini non verranno prescritti, anche se ’o piacere è peccato ma ‘o peccato non sempre è piacere.
LA CUPA: un’esperienza trasformativa
La narrazione agisce come un contagio, questo è il suo scopo: vuole infettare il sonno di chi ancora dorme e pretende di sognare, al beato e beota riparo della propria strafottenza.
Chi pretendesse di domare questa bestia poetica nell’atto di officiare gravose, dolorose e terribili verità; chi ne agognasse la cattura in traduzioni critiche fini a sé stesse, si sottrarrebbe all’esperienza più importante, che è quella trasformativa.
L’uomo che qui diventa un albero è forse quella “pianta celeste” descritta fin dall’antichità da autori come Platone e Varrone. Un albero rovesciato, simbolo della vita in perpetua evoluzione e ascensione da una dimensione immanente ad una trascendente; dotato di un’anima che è e deve ritornare ad essere “copula mundi” per riappropriarsi di una sacralità panteista, unica forma di salvezza possibile dall’estinzione una e trina già in atto.
LA CUPA – info cast e contatti
Fabbula di un omo che divinne un albero
versi, canti, drammaturgia e regia Mimmo Borrelli
con Maurizio Azzurro, Dario Barbato, Mimmo Borrelli, Gaetano Colella, Veronica D’Elia, Rossella De Martino, Renato De Simone, Gennaro Di Colandrea, Paolo Fabozzo, Enzo Gaito, Geremia Longobardo, Stefano Miglio, Roberta Misticone
scene Luigi Ferrigno
costumi Enzo Pirozzi
disegno luci Cesare Accetta
musiche, ambientazioni sonore composte ed eseguite dal vivo da Antonio Della Ragione
foto di scena Marco Ghidelli
produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini
Lo spettacolo ha debuttato al Teatro San Ferdinando di Napoli il 10 aprile 2018, prodotto dal Teatro di Napoli-Teatro Nazionale
Durata Spettacolo: 180 Minuti con intervallo