#CALLFORWOMEN @TEATRO MERCADANTE: un reading su lavoro, libertà e maternità

In scena al Teatro Mercadante di Napoli per l’unica data dell’8 marzo il reading firmato da Ippolita di Majo per la regia di Paola Rota con un cast d’eccezione tutto al femminile. Valentina Bellè, Anna Ferzetti, Donatella Finocchiaro e Caterina Guzzanti nel ruolo di quattro donne, sorelle, attrici che prestano le loro voci e personalità alle storie, drammaticamente vere, che attendevano di essere raccontate.  

#CALLFORWOMEN riscatta una celebrazione svuotata di senso

È l’8 marzo: nostro malgrado, ricorre la Giornata Internazionale della Donna.

Sempre più spesso molte donne oggi non si sentono felicemente e fieramente al centro dell’attenzione dell’altra metà del mondo, lusingate dal ricevere un profumato ramo di mimose porto con fare sbrigativo e automatico dall’esemplare maschio di turno o rinfrancate dall’augurio sincero, concreto, che dovrebbe suggellare un giorno di festa.

Al contrario, ad animare le reazioni delle donne come me in questa giornata ammantata da un’ipocrita e melensa solennità è un sentimento di annoiata stizza o malcelato imbarazzo. Siamo, in fin dei conti, amaramente consapevoli di un’evidenza che dovrebbe ormai abbagliare lo sguardo di chiunque: istituire questa commemorazione non è servito a nulla o quasi.

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Cos’è la Giornata Internazionale delle donne

La prima Giornata Interazionale della donna venne celebrata il 28 febbraio 1909 negli Stati Uniti per iniziativa del Partito Socialista Americano, che scelse questa data in memoria dello sciopero di migliaia di camiciaie newyorkesi che, l’anno prima, avevano rivendicato con forza migliori condizioni di lavoro. L’anno seguente la ricorrenza venne introdotta anche in Europa sotto l’impulso dell’Internazionale Socialista per promuovere i diritti delle donne e per sostenere la campagna in favore del suffragio universale.

L’8 di marzo è dunque una festa che dovrebbe servire a ricordare, ieri come oggi, le conquiste sociali, economiche e politiche raggiunte dalle donne, ma anche le discriminazioni di cui sono state e sono ancora oggetto nel mondo.

Al di là delle condivisibili ragioni storiche ci si chiede cosa sia sopravvissuto di questa originaria vocazione se, nel 2023, le società in cui viviamo sono ancora ben lungi dal sanare il divario che penalizza in toto il vero sesso forte.

Quando si parli di uguali diritti tra uomo e donna, pari condizioni di esperibilità per raggiungere e affermare una piena realizzazione, sia in ambito personale che professionale, siamo ancora costrette a denunciare le difficoltà insormontabili che sabotano sistematicamente le nostre mire.

Un reading teatrale per animare la protesta

Per fortuna, anche stavolta, l’Arte ha dato voce al dissenso.

In questa simbolica data, in un’Italia condannata ad un’eterna involuzione per quanto riguarda le battaglie di civiltà, una rete di teatri dal Sud al Nord della Penisola ha aderito al progetto proposto dal direttore del Teatro di Napoli-Teatro Nazionale Roberto Andò di portare in scena l’atto unico scritto da Ippolita di Majo per la regia di Paola Rota.

Lo scopo di #callforwomen è quello di stimolare una riflessione collettiva sui temi del lavoro, della maternità e della libertà delle donne spingendola oltre i confini della vuota retorica.

Lo Stabile di Napoli, il Teatro di Roma, lo Stabile di Torino, il Teatro Biondo di Palermo e il Teatro Franco Parenti di Milano accolgono venti attrici, quattro su ogni palco, per la “chiamata alle armi” – dialettiche e politiche – di un intero universo femminile.

Il Teatro Mercadante, promotore dell’evento, accoglie in platea una sfilata di volti noti: attori, registi, artisti e intellettuali tra i più amati sono accorsi a questa serata celebrativa il cui incasso sarà devoluto in beneficienza a “Evalab”, un piccolo atelier sartoriale attivato in un bene confiscato alla camorra a Casal di Principe.

La denuncia dei dati sconcertanti e della disinformazione sui temi del lavoro, della libertà e della maternità

A fomentare la stesura del reading che la di Majo dedica al difficile rapporto tra donne e mondo del lavoro c’è stata la lettura di alcuni articoli pubblicati sul blog Alley Oop del Sole 24 Ore corredati da dati numerici a dir poco allarmanti, come il riferimento alla percentuale del 78% di dimissioni da posto fisso da parte di donne che avevano avuto un bambino, registrata nel 2016; qualche anno dopo, nel 2020, le madri costrette a rassegnare le proprie dimissioni a causa dell’oggettiva impossibilità di conciliare l’accudimento della prole con un’attività lavorativa sono diventate addirittura 30mila. Anche l’ultimo rapporto di Save the Children del 2022, disponibile in rete, fornisce altrettanto gravi evidenze numeriche, tali da suscitare inevitabili sdegno e rabbia.

A partire da queste scioccanti rivelazioni la di Majo ha ampliato lo spettro della sua analisi critica, considerando tutta la complessa fenomenologia che rende le donne vittime di costanti rinunce e sacrifici, mortificanti ripieghi, inesauste ricerche di una stabilità lavorativa rincorsa, spesso invano, per anni, mentre fatali procrastinazioni o inevitabili dilazioni, dovute anche alla generale disinformazione sul corpo e l’apparato riproduttivo della donna, mettono in scatto matto la possibilità di diventare madre.                                                                                

Il numero delle donne desiderose di affrancarsi da una situazione di dipendenza e che per questo hanno investito i migliori anni della loro vita a formarsi e rincorrere il miraggio di un posto fisso, magari coerente con la propria vocazione o la legittima aspettativa di svolgere un lavoro gratificante anche dal punto di vista retributivo, è così esorbitante da esigere – finalmente – uno spazio di attenzione e riflessione pubblica.

#CALLFORWOMEN: l’ispirazione dell’autrice, la scelta delle interpreti e l’incipit programmatico

#callforwomen
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Il romanzo Little women di Alcott ha avuto il grande merito di rendere indimenticabili non soltanto le dinamiche relazionali tra quattro sorelle molto diverse tra loro ma anche e soprattutto la loro profonda, condivisa persuasione che alla base della realizzazione di ognuno, indipendentemente dal sesso, ci fosse il lavoro.

Ippolita di Majo si lascia ispirare da quest’opera e porta in scena la versione contemporanea di Meg, Giò, Emi e Bet nei corpi delle quattro interpreti d’eccezione scelte per il reading partenopeo: Valentina Bellè, Anna Ferzetti, Donatella Finocchiaro e Caterina Guzzanti.

Le troviamo sedute tra il pubblico in sala: ci sorprendono alzandosi da alcune poltrone della platea all’inizio della funzione; improvvisano un balletto complice e – danzerecce – raggiungono insieme il palco sulle note di un motivetto musicale anni ’50.                                                    

L’avvio del reading è segnato provocatoriamente dall’enfatica ripetizione di una serie di detestabili, offensive frasi fatte e abusati luoghi comuni con i quali da sempre le donne si sentono apostrofare: Dietro ogni grande uomo c’è una grande donna / Ma quanto sei bella, ma che studi a fare? / Sii bella e taci / Ma quanto prende l’ora una musa ispiratrice? / Brava, e pure mamma! / Ma che vi lamentate a fare: state dappertutto!

“L’implicito che subiamo tutti i giorni”: è proprio questo che i quattro archetipi femminili stasera ci vogliono raccontare, partendo dal presupposto – citato con l’irresistibile ironia di una battuta – che a volte non ci siano neppure le parole per esprimere qualcosa di buono al femminile: Come si dice eroe al femminile? Eroina! …Ed è subito metadone!

L’espediente cinematografico

La struttura dello spettacolo è semplice e va dritta allo scopo: le quattro donne, sorelle in senso metaforico, allestiscono un piccolo set cinematografico al centro della scena. Una luce le illumina quando – sedendosi a turno su uno sgabello – prendono la parola e consegnano al pubblico la loro personale testimonianza. La donna interpretata da Caterina Guzzanti interviene per ultima, assumendo la conduzione della ripresa. Di volta in volta, su uno schermo calato sul fondo, viene proiettata la diretta video dei quattro interventi.                                                                                 

Lo spirito che le anima è brioso, dissacrante; i loro toni ammiccanti, laconici: ogni parola pronunciata è una bomba destinata a esplodere nel cuore degli empatici, nelle coscienze di chi a questo mondo ha orecchie per intendere che non soltanto, ma soprattutto nel nostro Paese si sta consumando un dramma dalle conseguenze nefaste, espressione di ingiustizie perpetrate da decenni ai danni di metà della popolazione civile.                                         

Un problema a stento riconosciuto, puntualmente rimosso, di urgente risoluzione: se non ora, quando?

Anna Ferzetti                                                                       

La prima a raccontarci la sua storia è la donna interpretata da Anna Ferzetti. Ci parla dell’impossibilità di cambiare le cose: la pressione sociale alla quale si è sentita sottoposta nel momento in cui è diventata madre l’ha costretta ad affrontare da sola una mole di problemi nuovi, dilemmi interiori sulle priorità da fissare e impedimenti pratici che la buona volontà e l’abnegazione, la resilienza psicologica e la tenacia non bastano a superare.

I sensi di colpa l’hanno assalita quando non ha resistito ai ritmi massacranti imposti dal tran tran quotidiano e il ménage familiare si è sommato prepotentemente ai proibitivi orari di lavoro; la sua autostima è crollata inesorabilmente, sottoposta ai severi giudizi di valore suscitati dal disgusto verso sé stessa e la propria incapacità di gestire tutto, di corrispondere alle aspettative esterne. È così che sono sfumati i suoi “sogni di gloria”: prima è stata costretta alla riduzione dell’orario di lavoro e poi alla rinuncia al lavoro stesso, perché dare tutta te stessa non basta a tenere insieme tutto e la fatica mal si concilia con l’ambizione e il desiderio di fare qualcosa di significativo e importante, di portare avanti la carriera.

La ricerca di un faticoso ma necessario equilibrio tra lavoro/libertà e maternità/vita privata passa attraverso il ridimensionamento delle proprie aspirazioni, per concludersi poi in modo fallimentare e frustrante con l’abbandono definitivo dei propri progetti; la consapevolezza di non poter conciliare in alcun modo il lavoro con la famiglia soprattutto durante i primi anni con dei bambini piccoli – una bambina di 2 anni e un figlio di 6 mesi – non consola: sono stati anni più simili a un incubo che all’idillio d’amore che pure si instaura tra una madre e suo figlio appena nato.

Il tentativo di autoconvincimento che forse non serve veramente realizzarsi sul lavoro è del tutto vano nel momento, dolorosissimo, in cui una donna presenta all’ispettorato del lavoro dimissioni volontarie scritte di proprio pugno.

Donatella Finocchiaro 

Donatella Finocchiaro dà voce alla storia di una donna in carriera che giunge alle medesime considerazioni: non è possibile essere una buona mamma e una buona manager. I primi anni di vita di un bambino sono fondamentali: glielo hanno ripetuto insistentemente. Dunque lei amava il suo lavoro ma, pur soffrendo come un cane, ha dovuto lasciarlo quando è nato il suo bambino: avrei dovuto chiamarlo Art. 18!

Il suo racconto si tinge di venature comiche quando evoca i primi mesi di vita del nascituro trascorsi tra perenni rigurgiti e ricottine, cambi di pannolino e pianti notturni: ma nooo, ci sono state anche delle gioie! Tra una battuta e l’altra si fa largo la sua agghiacciante confessione: quando ti chiedono di lavorare agli stessi ritmi, ti condannano al rischio di un aborto spontaneo. Ma tanto è sempre colpa tua / Meglio fare una sola cosa e farla bene che farla male. Il copione è quello di sempre e suscita il medesimo scandalo.

Anche qui in Italia, se solo lo si volesse, si potrebbe conciliare lavoro con la maternità; ma qui se esci alle 18 sei una scansafatiche. E allora studi tutta la vita ma poi devi rinunciare al lavoro dei tuoi sogni perché devi crescere i figli. Anche nel resto d’Europa donne si dimettono se hanno dei figli però poi non hanno problemi a rientrare nel mondo del lavoro con una nuova assunzione. Qui da noi alle imperiose leggi dell’economia e del profitto non gliene frega niente della libertà e della realizzazione personale, della leadership generativa.

In Italia non ci si sognerebbe mai di chiedere a un uomo: ma come hai fatto a conciliare la famiglia con il lavoro? Bisognerebbe distruggere le condizioni perché questo accada e perché forse le figlie delle nostre figlie delle nostre figlie non saranno costrette a rinunciare ai propri sogni e ai propri figli.

Valentina Bellè

Nel suo monologo un’esilarante Valentina Bellè ci descrive l’assurdo colloquio di lavoro del suo personaggio, protagonista di un botta e risposta tanto surreale quanto indecente: Signora o signorina? Sposata? No. Figli? No. Ha intenzione di farne? Allora passo anch’io al tu! Come pensa di bilanciare il lavoro e la famiglia? Quale famiglia?! Nel caso dovesse averne! Soffre di sindrome premestruale? Ha mai pianto durante una riunione di lavoro?

Secondo l’Art. 27 Codice pari opportunità è “vietata qualsiasi discriminazione per quanto riguarda l’accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma, attraverso il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive.”

Eppure una donna su due durante i colloqui di lavoro si è sentita chiedere se ha intenzione di avere dei figli.

Caterina Guzzanti

La chiusura del reading è affidata alla divertente, disarmante performance di Caterina Guzzanti: la sua iperbolica mimica facciale ed enfatica oralità ci fa sorridere, ridere e sospirare. Impossibile non suscitare moti di profondissima compenetrazione morale e psicologica quando si è in grado di descrivere in modo così puntuale le sofferenze causate da specifiche dinamiche di coppia che nel tempo, imprevedibilmente, portano a funeste derive esistenziali. In tutti questi casi alle paradossali, ingiuste beffe del destino si sommano i danni permanenti per la perdita di fondamentali parti di sé. 

Il racconto svolto da Guzzanti si sovrappone completamente e perfettamente alla biografia di alcune astanti come me e produce un’identificazione commossa quando si tocca il nervo scoperto di un desiderio di maternità rimasto frustrato, negato da una spirale di eventi impietosi, fatta di circostanze avverse e incontri sfortunati che possono segnare per sempre il corso di un’esistenza.

Non sono una donna in carriera e non sono una mamma frustrata! – esordisce. La puntualizzazione lascia subito il passo all’appassionata confidenza di una donna che invece non ha potuto diventare mamma perché costretta a rimandare sempre, a “saper aspettare” anche se tu dentro hai fretta, tanta fretta e questa fretta si vede, trascende la tua capacità di controllo e dà fastidio; ormai, in questo paese, sembra che soltanto gli omosessuali desiderino avere dei figli, mentre la maggior parte degli uomini di solito fa almeno un paio di figli con un nuovo grande amore incontrato dopo di te.

Il manifesto politico di #CALLFORWOMEN

La di Majo fa confluire il racconto degli sventurati trascorsi personali elencati dalla Guzzanti verso la citazione dei problemi macroscopici che riguardano la problematica in atto: le carenze strutturali che rappresentano uno dei deterrenti alla volontà di diventare genitori (l’insufficiente numero di asili nido su suolo nazionale); la dipendenza dall’aiuto materiale dei nonni o più in generale delle famiglie (costrette, se pur di buon grado, a fungere da eterno ammortizzatore sociale); gli improponibili costi di assistenza di un neonato; il mobbing post-parto e il child penalty gap, solo per citarne alcuni.

La chiosa del reading, con le quattro attrici in proscenio a recitare dati statistici di raffronto tra l’Italia e altri paesi europei, è un manifesto politico: viviamo in un sistema che impedisce alle donne di conciliare le diverse istanze tra vita privata e vita pubblica; un sistema che ancora oggi è completamente inadatto a sostenere la maternità.

Visto al Teatro Mercadante di Napoli l’8 marzo 2023

#CALLFORWOMEN – INFO & CAST

Di Ippolita di Majo

Regia Paola Rota

Con (in o.a.) Valentina Bellè, Anna Ferzetti, Donatella Finocchiaro, Caterina Guzzanti

Produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale

Durata: 1 ora circa (atto unico)

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