My Romantic History@Teatro Libero Milano

Il titolo di questa pièce – terza opera uscita nel 2010 dalla penna di Daniel Craig Jackson, giovane (1980) drammaturgo scozzese già famoso e pluripremiato con una carriera di addetto stampa e scrittore di fumetti – suona profondamente ironico in quanto dipinge a tinte forti uno spaccato non così idilliaco, anzi piuttosto amaro dell’odierna società focalizzandosi su una fascia d’età sui trent’anni: una generazione che di fronte alle difficoltà esistenziali divarica sempre più la forbice tra la realtà quotidiana e il mondo dei sogni in ogni epoca difficile da realizzarsi.

Soggetti del brillante e coinvolgente spettacolo – pur se a tratti con tinte un po’ crude e rozze come lo erano e lo sono alcune persone nel passato per ignoranza sociale e oggi per scarsa cultura personale e un’educazione all’egoismo – Tom, da poco inserito in un nuovo contesto impiegatizio di routine e all’apparenza di scarsa soddisfazione, e Amy, sua collega oltre ad altri due compagni di lavoro, tutti connotati da una sorta di indifferente, ridicola e immatura superficialità che li porta a soddisfare più bisogni e pulsioni materiali e contingenti che aspirazioni di carattere intellettuale e duraturo.

Tra le ‘qualità’ di questa società povera di valori emerge l’inettitudine di Tom che si può definire l’impiegato simbolo ben interpretato dal bravo Giuseppe Amato il quale rende con efficacia la dicotomia tra una minima cortesia di facciata per salvare gli scarni rapporti sociali e la sprezzante e immatura mancanza di disponibilità verso l’altro, utilizzato quasi esclusivamente per appagare le proprie voglie. Messo di fronte alle responsabilità, il nostro ‘eroe’ le rifiuta sfuggendo, scappando e inducendo chi gli sta di fronte a fare altrettanto.

Una rappresentazione teatrale in perfetta sintonia con la realtà odierna grazie a quattro validi e duttili attori capaci anche di mutare ruolo senza perdere quell’incisiva mélange tra cinismo, ingenuità e purezza che fanno dell’amore vissuto in modo epidermico un gioco abitudinario senza senso, significato e gusto in persone incapaci di apprezzare la fortuna di non essere disoccupate e superficiali nell’accettare un ‘rapporto-passatempo’ che sembra colmare le vuote serate in un pub a Glasgow, simile a qualsiasi altro luogo del mondo vista l’attuale globalizzazione.

Grazie all’abile regia di Chiara Benedetti il tono è sempre sostenuto anche se reso più lieve da simpatici e brevi inserti coreografici accompagnati da una suggestiva colonna sonora; piacevole risulta la scenografia con la grande vetrata che si affaccia su un bosco suggerendo l’idea di una location confortevole del luogo di lavoro e foglie autunnali sparse: giorni e sentimenti buttati o ricordo di periodi più sereni visto il continuo intrecciarsi tra presente e passato?

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