MULINO BIANCO @Teatro Pacini: universo con data di scadenza

Nel suo secondo anno di vita, il festival GAIA, gestito dal Teatrino dei Fondi di San Miniato, porta sui palcoscenici dei suoi paesi di elezione, San Miniato e Fucecchio, iniziative diverse legate tuttavia al difficile tema della sostenibilità. Fra le compagnie d’eccellenza la principale è Babilonia Teatri, Leone d’Argento e Premio Ubu negli anni passati, che regala al pubblico del Teatro Pacini MULINO BIANCO, capovolgimento antifrastico di quanto la nota marca di dolciumi proponeva alla fantasia di una generazione. In luogo della famigliola stucchevolmente felice un atto di accusa e di critica feroce da giovanissimi performer a una platea di adulti che ha consegnato loro una situazione compromessa, un mondo con data di scadenza.   

MULINO BIANCO TRA GIOCO E ATTO D’ACCUSA

In scena ci sono due giovanissimi attori, due bambini (Ettore Castellani e Orlando Castellani, i figli di Enrico Castellani, fondatore del gruppo); e solo loro. Parlano a una platea di adulti tramite molti media. Talvolta sfruttano il video in diretta, su cui viene proiettato il volto di uno di loro con un filtro di invecchiamento che lo rende un puer senex barbuto e brizzolato. Talvolta semplicemente monologano al microfono e il video, che il pubblico può leggere, del testo fiume diventa un suggeritore, quando il giovane interprete sbaglia la frase nell’incalzare affannoso e nello sforzo mnemonico e si volta per farsi aiutare dal supporto elettronico. Compiono azioni sceniche. Combattono per afferrare una mela che, beffarda, pende da una corda sulle loro teste e che alla fine viene afferrata, privata del nylon che la avvolge, divisa democraticamente a morsi, poi accaparrata dopo uno scontro fisico da uno solo di loro. Creano un cimitero di croci multicolori costruite con giganteschi pezzi Lego e poi le fanno crollare passandoci in mezzo su macchinine da autoscontro. Siedono su due banchi gemelli più grandi del normale a leggere i loro temi e poi ci salgono sopra per lanciare fiori che, radicandosi istantaneamente, cambiano il palco vuoto in una prateria palpitante. Quando sul palco arriva una mucca – America, a stelle e strisce, quasi a grandezza naturale, la cavalcano, si sdraiano sulla groppa, ne prendono in bocca i capezzoli mentre la canzone di Celentano commenta che il sole si è spento e il cataclisma è avvenuto.

Ettore e Orlando Castellani in MULINO BIANCO

MULINO BIANCO: LE PAROLE FEROCI

Quadri. Momenti, un polittico privo di legami logici, un esempio tipico di teatro postdrammatico, come del resto lo sono gli schermi video, alfabeto consueto del gruppo. Suggestivi, talvolta, o spesso, non sono comunque il sale della performance. Le parole lo sono. Scandite da uno stile retorico ormai classicamente Babilonia (in primo luogo la ripetizione di frasi e termini, o di intere sezioni: “sono una forza della natura”, insiste il giovane attore nel primo monologo, giocando su una frase che  si colloca tra un complimento di mamma orgogliosa, una constatazione e una terribile verità, una forza della natura come un vulcano, una calotta di ghiaccio, una catastrofe), si muovono ondosamente a tracciare i confini del problema. L’uomo, dice il giovane attore del primo monologo, ha in sé una capacità che non ci mette molto a renderlo “Morte, il distruttore dei mondi”. E se la catastrofe avviene, e la natura riprende il sopravvento, potremmo non esserne felici: “se questo è il paradiso, ridatemi Netflix”, insiste il giovane attore nel secondo monologo, desolato e annoiato di dover vivere su un pianeta senza parcheggi sotterranei, banche e grattacieli e solo popolato di praterie laghi e foreste. Le parole si snodano retoricamente pregevoli, incalzanti e talvolta scioccanti: la donna anziana morta e sepolta col suo collant si distruggerà nella terra e accoglierà la metamorfosi , il collant no: rimarrà incrollabile ed eterno, plastica pura. Come di plastica sono i fiori che i due interpreti ci offrono – belli, nelle luci della scena, e completamente falsi, proprio quelli che, forse, ci aspettano, quando la catastrofe sarà avvenuta.

Frutta plastificata in un mondo di plastica (S. Castiglioni ph.)

MULINO BIANCO E LA CATARSI PLASTIFICATA

L’alto stile del gruppo compone un meccanismo pregevole, l’innocenza e insieme l’innato talento dei giovani interpreti funziona, anche con salti di sorprendente tenerezza. Naturalmente, il tema ha una sua durezza insormontabile, e paratie poco permeabili. Entra a buon diritto nella galleria di scelte etiche e assolutamente non di comodo che Babilonia predilige, forse, in questo caso, con un più di difficoltà. Parlare di sostenibilità in teatro è una scelta estremamente difficile.  Impossibile non notare che l’indagine sarebbe potuta essere più profonda (forse), che in realtà lo spettacolo esemplifica una questione senza uscire dalle considerazioni consuete né proporre – non soluzioni, che sarebbero certo impossibili – ma neppure maniere diverse di approccio. Forse questo impasse è proprio quello che voleva essere trasmesso, gabbia paralisi e fermata: nel qual caso, forse, un filo di angoscia in più ci avrebbe messi sull’avviso: ma probabilmente siamo così plastificati, come i fiori al proscenio, da non esserne nemmeno più degni. Il riflettore che sprofonda dietro la mucca USA allora è un terribile simbolo, una stella nera che ci abbaglia, un pianeta abitabile, forse l’unico, con data di scadenza: si è spento il sole e chi l’ha spento sei tu: un tu terribilmente personale, in fondo. La plastica dilaga, è difficile persino ricevere l’angoscia, sentire in faccia la sberla che sottilmente lo spettacolo ci infligge. Ogni epoca ha la sua catarsi, la nostra una catarsi gelida, difficile, impercettibile: rigida, come la ‘corolla di tenebre’ di un ungarettiano fiore di plastica.     

MULINO BIANCO

di Enrico Castellani e Valeria Raimondi

con Ettore Castellani e Orlando Castellani

e con Valeria Raimondi, Enrico Castellani, Luca Scotton

luci e audio Luca Scotton

produzione Babilonia Teatri e La Corte Ospitale/ Coproduzione Operaestate Festival Veneto

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