Lo spazio Diamante di via Prenestina 230, in occasione del Festival inDivenire (in scena fino al 12 ottobre), nella serata del 3 ottobre 2019, ha visto susseguirsi due spettacoli (“L’azione di P” di Marco Andreoli e “Mnemosine” di Doron Cochavi e Luigi Saravo – Compagnia EXODOS), in entrambi i casi, per un quasi sold-out della sala.
La grande partecipazione da parte del pubblico, tra cui era possibile riconoscere anche volti noti della scena teatrale romana, dimostra che il festival, giunto ormai alla sua terza edizione, non vive di parabole discendenti. Ad apertura di “Mnemosine”, la direzione artistica del festival ha colto l’occasione per invitare il pubblico a visitare la gratuita mostra fotografica “Io so(g)no” allestita nella sala adiacente lo spazio teatrale. La mostra, di cui l’attore Lino Guanciale è testimonial, nasce da un progetto UNHCR, agenzia ONU per i rifugiati, e si impegna a farsi viva testimonianza della diaspora vissuta da molti migranti che si sono impegnati in prima persona affinché potesse essere realizzata.
Tale premessa ben si concilia con lo spettacolo che sta per essere messo in scena e di cui la parola d’ordine sembra essere proprio “impegno”; impegno di fronte se stessi e di fronte la società, che a volte bastona e che a volte protegge, ma che sempre ci appartiene e con cui, volenti o dolenti, si finisce per fare i conti.
MNEMOSINE porta il nome della divinità greca a cui era attribuito il potere di ricordare, il dono della memoria, personale e collettiva. La memoria si fa, qui, impegno, dovere civico. È dovere il ricordare, il narrare quel che è stato, il non lasciar morire la Storia tra le sue stesse pieghe. È dovere il far sì che ogni accaduto trovi un suo spazio condiviso e non scompaia con chi lo ha vissuto. Memoria è, quindi, condivisione. La condivisione aiuta a elaborare i lutti, i dispiaceri, prima che si trasformino in disperazione. La condivisione della memoria porta verso una maturità che cresce sulla consapevolezza e non inciampa nel buio della negazione. La vita prima o poi ci pone di fronte a uno specchio costruito sulle spirali di un tempo circolare in cui è possibile riflettere la propria immagine solo se tutti i pezzi sono stati ricostruiti. Se manca una parte del nostro presente o del nostro passato, i vuoti lasciati finiscono per essere occupati dalla paura o dal sospetto. “Mnemosine” prende vita da questi vuoti, dai lutti, spesso difficilmente elaborabili, seguiti alla Shoah, ma a ben vedere narra una storia senza tempo, una storia vissuta tante volte e purtroppo rivivibile perché offuscata dal dolore del ricordare da parte di chi l’ha subita e dalla voglia di far dimenticare, da parte di chi l’ha inflitta.
Doran Cochavi, vittima del genocidio nazi-fascista, interpreta un ragazzo, un figlio e un fratello. Prima di essere perquisito, picchiato, tatuato e ucciso a suon di manganelli e calci, lo vediamo entrare in scena con due valigie di cartone, di quelle che tanto spesso si vedono nei film ambientati nella prima metà del ‘900. Eppure una dei due nazisti, verso cui il suo destino va incontro, è vestita con abiti sì neutri, ma moderni. Potrebbe sembrare un caso, ma andando avanti ci si rende conto che la tragedia della Shoah è solo un esempio, l’esempio più evidente, o più comunemente noto, di quanto la Storia si ripeta e di quanto essa si rifletta nel piccolo privato quotidiano di tutti noi.
Lo spettacolo ha, quindi, un’ambientazione senza tempo, nonostante i tanti riferimenti della tragedia nazi-fascista. A dimostrazione di ciò, gli eventi rappresentati non hanno un ordine preciso, ma si susseguono anch’essi senza un tempo cronologico, senza posa, con un ritmo febbrile. I gesti della violenza, che porteranno la famiglia del ragazzo brutalmente ammazzato verso una disperazione intima, più tacita che esplosiva, sono gesti secchi, crudi, che non fanno sconti. Generano tensione in sala e fanno riflettere sull’impegno e sulle consapevoli motivazioni degli autori del testo, ma anche sulla tensione emotiva degli attori, necessaria se si vuole rendere ciò che si interpreta in modo partecipato. L’intensità arriva tutta: le parole si fanno lezioni e gli attori si tolgono la maschera per vivere ciò che dicono sulla propria pelle.
La scenografia è essenziale, qualche sedia, le foto di un volto sbiadito che potrebbe raffigurare non solo la vittima in questione, ma il figlio di tutti, un fratello, un amico, l’immagine di una vita ormai troppo lontana perché gli si possano restituire dei lineamenti certi. L’attenzione viene registicamente spinta verso il tavolo da pranzo dove quella famiglia a cui è stato strappato un figlio dalla violenza porta avanti lunghe cene prive di dialogo, a cui fanno eco solo il rumore spaventoso delle posate che battono sulle stoviglie. Come a significare che, quando la sofferenza offusca la memoria e i ricordi si fanno “sculture” lontane, anche le parole vengono trascinate negli abissi. Il padre della vittima, alla domanda della figlia “Perché non mi avete mai parlato di lui?”, risponde: “Mi dispiace, non lo so dire”.
Visto il 3 ottobre 2019
Cos'è il Festival InDivenire?
ll Festival inDivenire, è il progetto multidisciplinare ideato da Alessandro Longobardi, con la direzione artistica di Giampiero Cicciò, nato con l’obiettivo di valorizzare progetti di teatro e danza work in progress, ossia ancora in cerca di un contesto in cui esprimersi e realizzarsi, attraverso l’assegnazione del Premio inDivenire.
Il Festival è curato dal gruppo teatrale Officine del teatro italiano, diretto da Alessandro Longobardi.
Festival INDIVENIRE – Spazio Diamante
compagnia EXODOS
MNEMOSINE
di Doron Cochavi, Luigi Saravo
Con Cristian Giammarini, Daniele Santoro, Doron Cochavi, Claudia Vegliante, Chiara Felici, Beatrice Olga Valeri ,
Regia Luigi Saravo