MI SA CHE FUORI è PRIMAVERA @ Teatro Cantiere Florida: una tragedia contemporanea di dolore e amore

Torna l’atteso appuntamento con il festival di teatro contemporaneo Materia Prima realizzato da Murmuris al Teatro Cantiere Florida. Inaugura la sesta edizione MI SA CHE FUORI È PRIMAVERA, lo spettacolo diretto da Giorgio Barberio Corsetti, tratto dall’omonimo libro della scrittrice e giornalista Concita De Gregorio sulla vicenda di cronaca di Irina Lucidi, il cui commosso monologo è portato in scena con lucida partecipazione da Gaia Saitta, alla quale si deve questo intenso adattamento teatrale.

Dimenticare, ricordare. Se dimentichi allontani dalla mente. Se ricordi riporti al cuore. Di fronte alla tragedia la linea persistente del dolore divide la vita dalla morte: dimenticare e ricordare sono entrambi atti impossibili, inimmaginabili. Le figlie di Irina Lucidi sono scomparse, rapite dal padre che si è tolto la vita. Perse nel blu del mare, forse sirene meravigliose, stelle di dolore e amore sparse ovunque nella cartina del mondo infinito dei pensieri. Il dolore è una balena, che nuota senza sosta nella pace che regna sott’acqua, che non lascia tregua alla Medea inversa a cui Gaia Saitta dà voce.

La storia di Irina, riguarda tutti noi. Se lei si salva da questa tragedia, allora siamo tutti salvi. Forse per questo Gaia ci accoglie in sala, sorridendo stringe le mani degli spettatori, inizia il suo monologo nella scena spoglia, priva anche delle quinte e di ogni artificio evidente, quasi un dialogo avviato per caso. La Saitta tiene alta l’attenzione dei convitati, chiamandoli a partecipare in modo attivo alla rappresentazione. La sala è buia e Irina ci racconta del suo primo incontro con Mathias, mentre sullo screen verticale il pubblico vede se stesso nel momento dell’ingresso in sala. Sullo stesso figurano gli interlocutori di Irina per tutta la durata dello spettacolo per mezzo di una telecamera spostata dall’attrice stessa: gli spettatori, ascoltatori muti sul palco e nella sala, diventano di volta in volta la nonna di Irina, la terapeuta, il giudice. I personaggi reali e vivi sono presenti fisicamente, ogni sera con volti diversi in base al pubblico che assiste, i cui primi piani ascoltano le parole cariche di dolore, ingombrante come un elefante rosa.
Dei personaggi fantasma invece non vi è nemmeno l’ombra più oscura. La presenza di chi manca è un assedio. Quando la protagonista rivolge le sue parole ad essi il buio domina il palcoscenico lasciando una sola intima luce puntata sull’attrice.
Una perdita lacerante inconcepibile innominabile, tanto da non avere un sostantivo nella nostra lingua che definisce chi sopravvive ai propri figli; mito classico che trasforma in pietra piangente la madre Niobe di fronte all’uccisione della prole. La narrazione, che ha tutto il sapore della tragedia greca, riacquista il ruolo di un rito collettivo salvifico, coi suoi archetipi a rappresentare le paure ancestrali dell’umanità, catarsi nella quale il pubblico è chiamato a partecipare.

Irina pian piano ci guida nel suo mondo passato con un uomo inizialmente normale, piacevole; per poi svelarsi disturbante, rigido in una gabbia psicotica di inquietanti ossessioni; fino a diventare il padre delle gemelle Alessia e Livia, che strappa per sempre dalla madre. Ho bisogno di mette insieme i pezzi della mia storia, ci dice Irina, come riunire i post-it che possano mette ordine nel caos, piccoli cartoncini gialli appesi per orientarsi, inquadrati da una camera fissa che rimanda l’immagine al pubblico. Il racconto segue un andamento frammentato, passa da un personaggio all’altro saltando nel tempo, racconta i ricordi che si muovono, portando sotto i tagli della luce risvolti della vita interiore della protagonista, fino a diventare la stessa attrice nell’incontro con la vera Irina Lucidi. Come nel romanzo di Ian McEwan Bambini nel tempo il senso di vuoto invade la sequenza lineare: passato, presente e futuro si intrecciano in uno scorrere emotivo atemporale. Pezzi. Persone. Emozioni. Tenuti insieme da un filo sottile e persistente.

Il monologo, che ha i caratteri classici del teatro di narrazione, si arricchisce di tecniche diverse: i video e le inquadrature in diretta, i volti del pubblico, parole scritte e proiettate nello screen, l’acqua versata sul tavolo che diventa mare sullo schermo, su cui galleggiano la rabbia e il dolore, in cui si scioglie il colore blu che diventa onda, possibilità di rinascita.

Il dolore da solo non uccide. Irina rinasce come una fenice, sognando l’acqua, capace di trovare l’angolo ottuso delle cose, capace di ridere, di innamorarsi, di guardare la scena da un punto di vista diverso. Fortunatamente, il lieto fine non è prerogativa di romanzi e commedie: a volte, anche nella vita reale le circostanze più sfavorevoli si trasformano in opportunità per essere felici. Infatti, Louis, nuovo compagno di Irina, farà in modo che sul volto della sua amata ricompaia il sorriso, non più ingenuo, ma consapevole e nonostante tutto pieno speranza. Todo quadra. In Giappone riparano i vasi rotti riempiendo le crepe con l’oro, trasformando le ferite in prezioso collante che tiene i pezzi insieme.

Il giorno dopo è l’otto marzo. Ci è parsa una coincidenza meravigliosa poter accogliere questa ricorrenza con uno spettatolo tanto vivo, storia di una donna, questa Gaia-Irina, capace di affrontare il futuro nonostante tutta la tragica assurdità del passato.

C’è bisogno di paura per avere coraggio”

Info:MI SA CHE FUORI È PRIMAVERA
un progetto di Giorgio Barberio Corsetti e Gaia Saitta
testo Concita de Gregorio
adattamento teatrale Gaia Saitta
regia Giorgio Barberio Corsetti
scene Giuliana Rienzi
video Igor Renzetti
suono Tom Daniels
luci Marco Giusti
costumi Frédérick Denis
produzione Fattore k. co-produzione Festival Quartieri dell’Arte, Fondazione Odyssea, Forteresse asbl in collaborazione con Collectif If Human

Festival Materia Prima
Teatro Cantiere Florida

7 marzo 2019

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