MENTRE ASPETTAVO@Bellini: un intreccio di vita e morte

Una dimensione di angosciante sospensione attraversa l’animo degli spettatori che assistono a “Mentre aspettavo”, lo spettacolo siriano scritto da Mohammad Al Attar e diretto da Omar Abusaada, ospitato dal teatro Bellini per il Napoli Teatro Festival 2016.

I personaggi vivono come smarriti nella difficilissima elaborazione di una tragedia che non ha spiegazione, che lascia solo domande aperte e terribili sensi di colpa, inquietudini strazianti e rancori assoluti, tutti vittime di una rete di veleni che spazia da dimensioni personali a universali, da intime a sociali.

Siamo nella Siria del 2011: sono scoppiate delle sommosse popolari a cui è seguito un conflitto armato che vede opposte le forze fedeli ad al-Asad ai ribelli che puntano alla caduta del regime. In questa delicata situazione si muove Taim, un giovane di trent’anni, che vuole, sì, combattere per la pace e la democrazia, ma senza le armi e senza invocare il nome di un Dio che nelle questione di guerra c’entra ben poco. Per questo Taim viene brutalmente picchiato e, in seguito a ciò, ricoverato in coma in ospedale.

Tutti i suoi cari non possono far altro che attendere, e quest’attesa infinita, snervante, deprimente, questo dolore mescolato alla speranza, questa incomprensibilità di uno stato che miscela morte e vita, lacera le loro menti e i loro cuori, e pone una miriade di oscuri interrogativi che permettono di toccare da vicino la fragilità e l’abisso dell’animo umano.

La storia di Taim è inevitabilmente legata a quella del suo Paese: non solo perché il suo sogno era quello di fare un film di denuncia sulla situazione siriana, sulla degenerazione di quegli ideali, un tempo genuini, da cui hanno preso vita le sommosse; non solo perché tutti gli altri personaggi dello spettacolo – la madre, la sorella, la fidanzata, il padre – pagano tutti le pesanti conseguenze del clima sociopolitico e culturale del loro Paese; ma anche, e soprattutto, perché lo stato vegetativo di Taim ricorda lo Stato siriano, che non è “né vivo né morto, ma in una zona grigia di speranza e disperazione”.

Molto interessanti e sorprendenti sono, infatti, questi innumerevoli intrecci tra le vicende personali e familiari di Taim e la situazione storica e sociale del suo Paese. Lo spettacolo si può dunque leggere su due livelli, diversi e tuttavia complementari. Da un lato il dramma intimo, che ricorda le dolorose storie di Eluana Englaro, di Piergiorgio Welby, di Terry Schiavo e che pone esattamente le stesse angoscianti domande. Dall’altro il dramma sociale, quello di una famiglia incastrata in una società amara, priva di libertà, che uccide i ribelli come Taim o ghettizza le donne tradite dal marito o quelle non portano il velo o quelle che abortiscono. L’uso dello spazio scenico, di Bissane Al Charif, è congeniale a questa doppia lettura dello spettacolo: il palco è infatti suddiviso in una zona bassa – la terra e gli uomini – e in una alta, popolata da Taim e da un altro martire del regime: una sorta di limbo, dal quale queste anime possono spiarci e assistere, impotenti, a tutte le conseguenze amare e velenose che la loro perdita comporta sulla terra.

Interessante è anche un’ulteriore suddivisione scenica: non solo l’“alto” e il “basso”, ma anche un “dentro” e un “fuori”: lo spettacolo si svolge su una pedana posta sul palco ed è solo lì che gli attori interpretano i personaggi; quando essi devono uscire, non spariscono dietro le quinte, ma si siedono sui bordi, restano a guardare, ancora ad attendere, e questa dimensione di attesa snervante viene così moltiplicata in tutti gli angoli della scena.

Molto bravi tutti gli attori: Amal Omran, Mohammad Alarashi, Nanda Mohammad, Fatina Laila, Mouiad Roumieh, Mohamad Al Refai.

Lo spettacolo ci pone davanti agli occhi la situazione di una paese devastato dalla violenza e dell’orrore, i cui mali arrivano a cascata sulle famiglie e sulle vite di ogni siriano; il suo messaggio arriva doloroso e potente e fa riflettere sull’assurdità dei regimi totalitari, sul valore della libertà e della vita umana. Da vedere.

 

REGIA/DIRECTED BY OMAR ABUSAADA
TESTO/WRITTEN BY MOHAMMAD AL ATTAR
CON/WITH AMAL OMRAN, MOHAMMAD ALARASHI, NANDA MOHAMMAD, FATINA LAILA, MOUIADROUMIEH, MOHAMAD AL REFAI
SCENE/SET DESIGN BISSANE AL CHARIF
LUCI/LIGHT DESIGN HASAN ALBALKHI
VIDEO REEM AL GHAZZI
MUSICA/MUSIC SAMER SAEM ELDAHR (HELLO PSYCHALEPPO)
PRODUZIONE/PRODUCTION FONDAZIONE CAMPANIA DEI FESTIVAL – NAPOLI TEATRO FESTIVAL ITALIA, LES BANCS PUBLICS – FRICHE LA BELLE DE MAI (MARSEILLE), FESTIVAL D’AVIGNON, AFAC (ARAB FUND FOR ART AND CULTURE), ZÜRCHER THEATER SPEKTAKEL, ONASSIS CULTURAL CENTER (ATHENS), VOORUIT (GENT), LA BATIE – FESTIVAL DE GENÈVE, FESTIVAL D’AUTOMNE À PARIS
CON IL SOSTEGNO DI/WITH THE SUPPORT OF LA CRIÉE MARSEILLE, LE TARMAC PARIS

date/dates 26, 27 giugno/june h 21.00
luogo/venue teatro bellini
durata/running time 1h 30min
lingua/language arabo con sottotitoli in italiano/arabic with subtitles in italian
paese/country siria/syria

Omar Abusaada è un giovane regista siriano che in questi ultimi anni è stato ospitato nei più interessanti festival internazionali. Per la prima volta in Italia, Abusaada propone un lavoro sulla situazione del suo paese.
Brutalmente picchiato dopo aver attraversato uno dei numerosi check points che frazionano Damasco (Siria), Taim viene accolto in ospedale privo di conoscenza. I medici informano la famiglia che si trova a confrontarsi con una situazione drammatica: dopo aver superato la tragica morte del padre e lo scandalo che ne è conseguito, la famiglia sembra incapace di affrontare lo stato comatoso del figlio. Dal suo sonno profondo, il giovane osserva tutti i parenti che si recano a fargli visita e, mescolando la loro voce con la propria, racconta la storia dei cambiamenti che ha subito la sua vita e il suo paese. Per costruire questo lavoro sull’onnipresenza dell’assenza, Omar Abusaada ha incontrato famiglie che vivono il dramma del coma e medici che se ne prendono cura. Insieme all’autore Mohammad Al Attar, il regista ha immaginato un racconto che incrocia diversi livelli di coscienza. Lo stato comatoso del protagonista diventa così metafora dello stato in cui si trova il suo paese «né vivo né morto, ma in una zona grigia di speranza e disperazione».
Dopo aver terminato gli studi all’Istituto Superiore di Arte Drammatica di Damasco, Abusaada inizia ad interessarsi alla regia teatrale in una prospettiva politicamente e socialmente impegnata. Nel 2002 fonda il Studio Théâtre e mette in scena diversi spettacoli tra cui Forgiveness, un lavoro di improvvisazione con un gruppo di detenuti di una prigione per minatori. Per anni ha viaggiato nelle zone più sperdute di Siria, Egitto e Yemen portando i suoi spettacoli in piccoli paesi e utilizzando il teatro come strumento di dialogo con gli abitanti, talvolta invitati a unirsi agli attori sulla scena. Da allora, firma spettacoli che introducono nel teatro siriano nuove pratiche come la scrittura contemporanea o il documentario.

The young Syrian director Omar Abusaada presents Mentre aspettavo, a performance which will then tour the major international cultural festivals. Brutally assaulted after crossing one of the many check-points dotted around Damascus in Syria, Taim is taken to hospital in coma. The family finds itself facing a dramatic situation: after having overcome the tragic death of the father, and the ensuing scandal, the family members seem unable to face the comatose state of their son. From his deep coma, the young man observes the relations who come to visit, superimposing their voices with his own, telling of the changes that transformed his life and his country for ever. The comatose state of the protagonist becomes a metaphor for the state of his native land «neither alive nor dead, but suspended in a grey area somewhere between hope and despair».

 

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