Una tragedia del passato trasportata in chiave atemporale dalla sapiente penna di Jean Anouilh (Bordeaux 1910 – Losanna 1987), drammaturgo prolifico, regista e sceneggiatore noto per le riscritture moderniste di testi classici, che con la sua “Medée” (scritta nel 1946) propone un testo veramente superbo per icastica rappresentazione di sentimenti contraddittori che affliggono l’eroina dal momento in cui l’adorato sposo Giasone decide di ripudiarla per una moglie giovane e un regno.
Anouilh attualizza quel grande crogiuolo che è l’interiorità di Medea trasformando le sue azioni in un’originale sfida alle norme imposte dalla società e portando in scena una donna sempre passionale e sensuale, ma soprattutto ‘diversa’, ancorché resa folle dall’amore, e messa a nudo nelle sue angosce più profonde secondo la poetica dell’autore francese.
Medée per il tono che la caratterizza è compresa tra i “Testi neri”, quelli in cui Anouilh si pone come scopo l’analisi delle passioni più cupe e forti dell’animo umano confrontando gli uomini comuni connotati da ignavia con gli eroi che opponendosi alle regole della convivenza sociale vivono in eroica solitudine.
Non bisogna dimenticare che Medea – spinta da passione amorosa per Giasone – è ormai fuori dalle norme sociali e quindi dalla normalità della vita avendolo aiutato nella conquista del Vello d’oro e per questo tradito il padre Eete e ucciso il fratello disperdendone le membra per rallentare gli inseguitori. Con tale fardello di originale diversità percorre un rapporto decennale costellato da azioni violente sempre per difendere il suo uomo e ora vive con lui fuori Corinto accampata in un carrozzone, lei principessa in patria, insieme ai loro figli e alla Nutrice.
È Barbara De Rossi, attrice di cinema e teatro a rivestire il ruolo di protagonista con serietà professionale e grande dedizione (encomiabile dopo le problematiche avute in tempi recenti) insieme con Tatiana Winteler, valida attrice luganese che impersona con notevole bravura il ruolo della Nutrice – personaggio che sostituisce il coro della tragedia euripidea – dall’anima più semplice e meno contorta e dall’umanità più spontanea e gioiosa pur portando entrambe radicate le “barbare” tradizioni della Colchide, loro terra d’origine.
Se le attrici femminili si mostrano più che convincenti, perplessità provocano gli interpreti maschili: Lorenzo Costa, un Creonte poco convinto, e Francesco Branchetti nel ruolo di un Giasone troppo patetico e lamentoso che somiglia di più a quello insulso di Euripide piuttosto che a quello di Anouilh dilaniato tra il ricordo vivo e nostalgico di una passione amorosa mista a pietà per Medea e un rifiuto dell’aspetto monopolizzante di lei così diversa anche per usi e costumi: insomma un peso di cui liberarsi.
Qualche dubbio desta la regia un po’ scolastica e poco dinamica con eccessive lungaggini nelle argomentazioni di Giasone e a volte di Medea, naturalmente senza nulla togliere alla grande bellezza e potenza del testo di Anouilh.