Un microfono, delle percussioni e la fisicità di Valentina Banci: è con questi semplici ingredienti che il rinnovato Cinema Teatro Borsi di Prato ha inaugurato la sua nuova stagione teatrale dopo anni di inattività. Grazie all’impegno e alla passione dell’attore Daniele Griggio, fondatore dell’associazione Pratoteatro, lo spazio offrirà un ricco cartellone di eventi che dal teatro amatoriale alla musica passano per la danza e il cinema; uno spazio che vuole inserirsi nel panorama culturale cittadino con una proposta variegata e diversificata. Ad aprire il ricco cartellone è Valentina Banci che ripropone una trasposizione in forma di monologo della tragedia classica Medea (già messa in scena nel suo allestimento classico a Siracusa nel 2015) ispirandosi al testo di Seneca e alle suggestioni che il tedesco Heiner Müller ne ha ricavato nella sua trilogia dedicata alla sanguinaria eroina. Fino al 4 novembre.
E’ un silenzio quasi tombale quello che accoglie sul palco la protagonista della tragedia: una semplice veste bianca, eterea che definisce il corpo di Valentina Banci e la rende statuaria. Questo è l’unico elemento che la contraddistingue; per il resto sono il suo corpo, il suo sguardo e le sue braccia a costruire una messa in scena che fin dall’inizio rivela di diventare un viaggio. Un viaggio nel quale l’attrice accompagna lo spettatore mano nella mano, pronta a fargli attraversare regni sconosciuti nascosti nel proprio Io. Non, quindi, un viaggio come quello dell’eroe Giasone che con i compagni Argonauti ha raggiunto la Colchide per conquistare il Vello d’oro e il cuore di Medea, appunto, ma un percorso introspettivo che possa esplorare le viscere della psiche umana.
A differenza della lettura che aveva dato Euripide di una Medea sconfitta, rassegnata e vittima del tradimento dell’amato Giasone, che decide di sposare Creusa, figlia di Creonte, re di Corinto, per poterne ereditare il trono, Seneca va oltre: Medea è vendicativa e calcolatrice, come una Giuditta definita dai colori di Klimt, che non lascia spazio alla speranza. Unica figura che la sostiene nel suo crescendo di follia è la nutrice cui si rivolge e che diventa essa stessa parte di Medea, la sua componente razionale che, in una sorta di metempsicosi, invade l’animo della protagonista per farla parlare con la voce della donna, più anziana e di esperienza, e perciò più prudente.
Grazie all’aiuto delle percussioni, suonate direttamente da Valentina, in posizione ieratica di fronte al pubblico, non solo la nutrice ma ognuno dei personaggi fa il proprio ingresso nell’anima dell’attrice che con intensità lo interpreta, modulando opportunamente la voce e i movimenti del corpo. Un corpo che sembra talvolta letteralmente posseduto dallo spirito del personaggio che lo spettatore incontra e con cui lui stesso sembra instaurare un dialogo diretto. Non c’è momento di silenzio e di quiete che possa permettere ai presenti in sala di distrarsi o di uscire dall’animo di Medea: Valentina Banci non lascia mai la mano e continua ad accompagnarci attraverso il mito quasi fosse un Virgilio nell’Inferno dantesco.
Così i dialoghi con Creonte e con Giasone, che seguono, diventano una sorta di processo contro la donna che, dopo aver abbandonato la propria terra e la propria famiglia, strappata a tutto questo dall’amore per Giasone, non si arrende al destino che il fedifrago amante e il suo futuro suocero vogliono infliggerle, come una condanna: l’esilio solitario in terra straniera, privata anche dell’affetto dei figli. Ma non sarà certo la Medea di Seneca a sottostare al volere dei due uomini; l’eroina che ha la perfidia della donna e la forza del maschio, il cui odio non potrà essere soffocato neanche da Scilla e Cariddi, non ha nulla da perdere e pianifica così la sua vendetta contro la “barbara” Creusa e suo padre Creonte, prima, e contro lo stesso Giasone, poi.
A dimostrazione che la totale privazione degli affetti, della propria cultura, la rinuncia totale ai propri valori ed ai propri legami può avere effetti devastanti sulla psiche di un esule, sia nell’antica Grecia sia ai giorni nostri, giunge infine la più inumana, illogica e innaturale delle tragedie umane: Medea sacrifica i propri figli mentre la citta di Corinto è in fiamme grazie al veleno che lei stessa ha usato per uccidere Creusa e Creonte e che rende il fuoco immune dall’effetto dell’acqua, la quale, anzi, lo rattizza. Ad un ritmo crescente delle percussioni, che scandiscono il vigore delle fiamme, si consuma la tragedia con l’intervento dei cori originali della tragedia antica, musicalmente registrati e curati da Arturo Annechino, e scaturiti proprio dalla mente della protagonista, come un avito richiamo di quella terra patria ormai perduta. Una tragedia in cui non c’è una dimensione divina, quel deus ex machina tipico della drammaturgia classica, ma una tragedia umana, umanissima, in cui Medea non vuole altro che “spezzare in due l’umanità per sedersi in mezzo ai due tronconi; né donna né uomo” per potersi affrancare da quella debolezza carnale, fisica che l’ha condotta al tragico gesto finale.
Grazie alla sua capacità di penetrare lo spirito dei personaggi e di esaltarne ogni singola sfaccettatura, con una recitazione che abbatte la quarta parete e porta lo spettatore direttamente nell’animo dei personaggi stessi, Valentina Banci ha trovato in questa forma di monologo una dimensione ideale, perfetta per esprimere il suo talento e la sua intensa fisicità che, in altri spettacoli corali, l’hanno portata talvolta ad essere leggermente sopra le righe, calcando troppo certi caratteri. Un’esasperazione dei sentimenti e delle emozioni che in questo caso sono funzionali per farci capire che “Medea siamo noi” (citazione di Jacques Lacan): Medea è la sintesi dell’odio e della disperazione che la paura della solitudine e lo sradicamento culturale e affettivo possono provocare, ieri come oggi. Medea è una delle tante migranti che perdono i propri figli o i propri cari nelle immense traversate sulle rotte del Mediterraneo; è una delle tante profughe di uno sperduto paese africano che si trovano a dover affrontare il deserto che il destino ha riservato loro.
Daniele Griggio con la scelta di questo testo e di questo allestimento, reso così efficace anche dalla traduzione e dall’adattamento scenico di Paolo Magelli, ha regalato nuova vita al teatro Borsi rivolgendo lo sguardo indietro nel passato ma aperto alla realtà di oggi, con una potenza che ci auguriamo sia di buon auspicio per il futuro.
MEDEASSOLO S-CONCERT
da Seneca
Di e con Valentina Banci
Traduzione di Paolo Magelli
Musiche di Arturo Annechino
Ph. Serena Gallorini
Teatro Borsi
3 e 4 novembre 2017