Pièce teatrale di Manfred Karge, classe 1938, attore allievo di Bertolt Brecht, drammaturgo e regista tuttora attivo presso il Berliner Ensemble, per la regia di Fabrizio Arcuri, monologo per sola attrice con Angela Malfitano. La riuscita collaborazione Arcuri-Malfitano continua con questo nuovo spettacolo (avevano già lavorato insieme nella messa in scena de “La Regina degli Elfi” di Elfriede Jelinek) prodotto da Tra un Atto e l’Altro e l’Accademia degli Artefatti, in collaborazione con Emilia Romagna Teatro Fondazione e il sostegno della Regione Emilia-Romagna.
Una piccola scena in un piccolo teatro nel cuore della città, la storia tedesca scorre veloce come i quadri che la compongono, scorci del passato proiettati su uno schermo che è un album aperto per chi lo vuole sfogliare. Ci sono tutti, nessuno escluso, i punti di svolta e le fratture di una storia personale incorniciata, intrappolata, nella Storia collettiva europea. Il nazismo e il socialismo, la classe operaia, la donna, la guerra e poi finalmente una parvenza di tranquillità… “a 66 anni la vita comincia”, ma “a 66 anni la vita è già quasi tutta passata”… Lo spazio viene modellato con dello scotch carta, come se i confini fra i vari momenti della vita fossero da definire nettamente come quelli di certe mappe, tirati col righello, nettamente separati i periodi, così come i sentimenti.
La storia è ispirata a un caso realmente accaduto: una giovane donna tedesca, Ella, rimasta vedova del giovane marito Max, operaio gruista nella Germania degli anni Trenta, adatta e indossa i suoi panni fingendosi lui per sopravvivere (il titolo originale è “Jacke wie Hose”, “Giacca come pantaloni”). E ci riesce. La crisi e la miseria per molto tempo riescono anche a farle dimenticare di essere una donna e le rendono facile il tentativo di sostituirsi al marito interpretandone il ruolo. E il teatro entra ancora di più dentro il teatro, l’attrice interpreta un personaggio che a sua volta ne interpreta un altro in un gioco di continue sfasature e sfocature. Possiamo fingerci ciò che non siamo e anche arrivare a convincerci di essere ciò che non siamo, o forse lo siamo, lo diventiamo davvero, ma fino a che punto Ella Gericke sceglie di essere Max Gericke? Fino a che punto Lei diventa Lui?
Il tema del doppio, delle convenzioni sociali, la violenza della società, l’identità negata e che si auto nega, il difficile intreccio tra femminile e maschile, la grande storia che ci schiaccia nelle nostre piccole vite e rende invisibili, tanti piccoli niente: tutto questo è la struttura portante della trama e tutto è chiaro per Max Gericke, che è Ella, tutto è chiaro per lei, che si finge lui. È chiaro che le disgrazie non vengono mai da sole e che l’unica cosa che conta (forse) è sopravvivere. La vita non è un diritto né un privilegio, è un continuo tentativo di cavarsela qui e ora. E allora si sta al gioco, anche per quarant'anni, ché poi, alla fine, “non c’è nulla che non si possa risolvere con una bella birra”. Non c’è sentimentalismo, non c’è retorica. Ogni scelta è stata fatta in nome della sopravvivenza, mettendo da parte l’amore e il dolore, la propria identità e i propri desideri, tutto ciò che rende davvero vivi, ma restano le domande a scuoterle l’anima sulla se stessa del passato e quella di adesso e, domani, domani quale se stessa sarà? Anche i ricordi restano, rassegnati, un poco amari, ma non troppo, il passato è passato, la maggior parte della sua vita è già passata, “e meno male!”, ribadisce Ella.
L’attrice, sola in scena, in compagnia di un giradischi, scusa per far scorrere la partitura musicale che accompagna lo spettacolo, una poltrona/letto in pelle e un’immancabile birra, croce e delizia della società tedesca, ci guarda negli occhi mentre si racconta, accorcia le distanze.
Ci confida tutto Ella, dei momenti in cui non è più Ella, quando arriva a convincersi di essere Max ed è orgogliosa di essere il cuore pulsante del suo Max sociale, ma nel privato sa perfettamente che non può cancellare la natura. Ella continua a essere donna nonostante la maschera e questo è il pretesto drammaturgico per parlare anche e soprattutto della condizione della donna nella società, delle armi delle donne che, come tutte le armi, si rivelano a doppio taglio… Ella preme per uscire allo scoperto, ci racconta anche della mancata maternità, senza mai concedersi un cedimento, si dispiace addirittura di non essere davvero un uomo quando ci racconta che l’ambita ragazza comunista che lavora al pub dove va coi colleghi ha una cotta per lei. A quella ragazza regala la sua carta di identità per fuggire dalla Germania di Weimar, l’ultima cosa materiale che le resta della sua vera identità, unico e ultimo appiglio per poter tornare indietro. Ma indietro non è mai possibile tornare. E alla fine dei conti va bene così.
Angela Malfitano tiene il ritmo di un racconto fortemente politico che sa essere ironico, pungente e amaro, ma senza mai appesantire, riuscendo a mantenere il vigore e la leggerezza che lo contraddistinguono, donandoci una performance ricca di sfumature, valorizzata da un testo pieno e brillante che tocca vari temi e che concede il privilegio di più piani di lettura e ampia libertà d’interpretazione.
MAX GERICKE
(la maggior parte della vita è passata, menomale)
di Manfred Karge
traduzione di Sabrina Venezia
titolo originale “Jacke wie Hose”
con Angela Malfitano
regia Fabrizio Arcuri
produzione TRA UN ATTO E L’ALTRO e ACCADEMIA DEGLI ARTEFATTI
in collaborazione con
Emilia Romagna Teatro Fondazione
con il sostegno di
Regione Emilia-Romagna