In occasione della Giornata Internazionale del Lavoro, la compagnia senese di danza moderna MOTUS DANZA ripropone on line la registrazione della coreografia MATTANZA risalente al 2010 e andata in scena al Teatro dei Rinnovati di Siena. Lo spettacolo, prodotto in collaborazione con Rassegna Sindacale, 2087 e Articolo 21 con il contributo di Regione Toscana e Comune di Siena, si è posta l’obiettivo di focalizzare l’attenzione sul sempre troppo attuale tema delle cosiddette “morti bianche”. Una definizione che la stessa compagnia, a ragione, rigetta coscientemente in quanto sembra indorare la pillola di un cancro che ogni anno uccide centinaia di lavoratori e di lavoratrici, ancora oggi come dieci anni fa. Da qui si dipanano le coreografie dei 7 ballerini in scena che si muovono in uno spazio essenziale e quasi impercettibile.
L’ultimo report Inail dell’ottobre 2019 dichiara che nei primi 9 mesi dell’anno scorso sono stati 780 gli infortuni mortali denunciati nel nostro Paese. Un leggero calo rispetto all’anno precedente che non deve provocare esultanza considerando una certa percentuale di morti sul lavoro che restano nell’oblio perché in contesti di irregolarità sommersa. Pertanto possiamo credere che la compagnia senese MOTUS DANZA avrebbe comunque deciso di realizzare la coreografia MATTANZA tornata in scena in streaming in occasione del Primo Maggio 2020. Fu infatti dieci anni fa, quando i numeri erano tutt’altro che confortanti (in crescita con oltre 1000 morti accertati nel 2009) che nacque uno spettacolo intenzionato a denunciare. Un ruolo che sempre più spesso purtroppo l’arte, in tutte le sue forme, si trova a dover ricoprire o si sente in dovere di ricoprire per restituire la voce alle vittime che non possono più gridare l’ingiustizia che li ha uccisi.
In uno spazio costruito più dalle luci che dalla scenografia e plasmato dai corpi in movimento, non c’è da aspettarsi né la sanguinarietà né la concitazione che il titolo potrebbe rimembrare laddove centinaia di tonni restano intrappolati nelle reti dei pescatori del Mediterraneo per essere fiocinati con una cruenza condita di sangue e ritualità. Ritualità che non manca nella coreografia e che a tratti scandisce i tempi dello spettacolo in omaggio al lavoro che diventa così cerimonia, celebrazione dell’operosità umana. Non biblica punizione per il Peccato Originale ma spirituale espressione di un’animalità sociale in cui spesso non sappiamo se stiamo ricoprendo il ruolo di prede o predatori. Solo quando ormai sono sepolti, i caduti sul lavoro scoprono di essere tra le prime, come i tonni nella rete dei loro “matatori”.
I ritmi che scandiscono il susseguirsi dei sette ballerini in scena oscillano tra melodie classiche e suggestioni new age senza frenesie né concitazioni. Si ha l’impressione che la compagnia non abbia lavorato sulla rabbia, su quell’ingiustizia di pancia che talvolta ammanta o addirittura macchia la celebrazione delle vittime di quel lavoro su cui la nostra Repubblica è fondata. L’ossimoro che si nasconde nell’espressione “caduti del lavoro” si spiega con una disuguaglianza sociale che sul palco di Mattanza resta protagonista sempre in scena grazie alla grande scala fatta di cubi di legno di dimensione crescente sopra e sotto i quali si muovono i danzatori. Tre gradini dove solamente il livello più basso è riservato a quello che nell’Ancien Régime si sarebbe chiamato il Terzo Stato, appunto. Un oceano di individui che si trova costretto a mostrarsi riverente ad una borghesia arrogante la quale concede solamente gli scarti come colei che sul palco, in un vortice di scambi tra i ballerini, offre agli altri sotto di lei bicchieri di acqua risputata. Un nastro trasportatore di corpi e di braccia che si susseguono uno uguale all’altro annullandosi nel loro scorrere continuo come pezzi identici e senz’anima in una catena di montaggio.
In una visione vagamente fordiana e a tratti quasi dickensiana, i danzatori diventano sul palco i loro stessi macchinari che simulano in movimenti meccanici e ripetitivi del corpo fino a provocare negli occhi dello spettatore l’illusione di osservare la vitalità di una fabbrica. Non si creda però che si voglia imitare l’amara ironia del Chaplin di Tempi moderni. Qui non c’è spazio per la comicità. Con la malia di un’omerica sirena che più volte compare sul palco, il lavoro apre prospettive nuove, di realizzazione personale, di costruzione della propria dignità e, quando ti uccide, non si creda che la definizione di morte bianca possa addolcire l’amaro calice. Quella principessa bianca che sulla sommità dei gradoni domina la scena non è Madonna di Misericordia che accoglie delle vittime innocenti sotto il suo manto ma Cerbero che impedisce ai loculi di aprirsi, alle anime dei morti di uscire dalle loro sepolture per gridare l’ingiustizia. Una scenografia di visione cristiano-dantesca che mutua un mondo dell’Ade fattosi prigione eterna.
A fronte di una esibizione artisticamente rilevante la coreografia che Motus Danza ha realizzato e interpretato ha peccato a nostro giudizio di un ritmo monocorde che a tratti ha rischiato di diventare semplificazione di un mondo complesso e molto delicato. Non crediamo certo che l’intento della compagnia fosse quello di esaurire l’analisi di un panorama, quello degli infortuni mortali sul lavoro, pieno di ombre, ma talvolta avremmo preferito qualche azzardo in più. Sicuro è che i ballerini hanno efficacemente sortito l’effetto di esaminare quale sia il fondamento, l’atavica ragione del fenomeno, ovvero quella disuguaglianza sociale che, seppur suoni a molti oramai superata e anacronistica, è invece ancora radicata negli ambienti di lavoro e soprattutto, purtroppo, nella cultura borghese. Soprattutto oggi, di fronte ad una crisi economica forse peggiore di quella del 1929, il profitto dimostra tutta la sua precarietà. Finché resterà esclusiva unità di misura per il benessere, in particolare di una minoranza, ci sarà sempre bisogno di spettacoli come questo. Oggi e domani come dieci anni fa.
Info
MATTANZA
regia Rosanna e Simona Cieri
coreografie Simona Cieri
soggetto Rosanna Cieri
scenografie Alessandro Cappellini
danzatori Veronica Abate, Martina Agricoli, Maurizio Cannalire, Simona Gori, Federica Morettini, Riccardo Pardini e con Simona Cieri
foto Carlo Pennatini
produzione Motus Danza
in collaborazione con Rassegna Sindacale, 2087 e Articolo 21
con il sostegno di Regione Toscana e Comune di Siena
Teatro dei Rinnovati, Siena
In streaming 1° maggio 2020