La cornice suggestiva del Chiostro di Santa Maria Novella a Firenze, l’aria calda di un’estate che non accenna a passare, l’euforia un po’ clandestina di tornare a teatro, di incontrarsi all’aria aperta, alle opportune distanze ma di nuovo insieme, a riflettere ed emozionarsi su temi di scottante attualità. Ha il sapore dei nuovi inizi l’atmosfera coltivata da Murmuris nel ciclo di eventi di Materia Prima 2020 svoltosi tra il 16 e il 18 settembre, dove artisti, operatori del teatro, spettatori si sono di nuovo incontrati in presenza. La redazione fiorentina ha seguito la rassegna teatrale: tre spettacoli capaci di interrogarci sul presente, accomunati dal coraggio della sperimentazione e dal dialogo, talvolta anche controverso, con le nuove tecnologie.
Stay hungry, Angelo Campolo
Il primo spettacolo, Stay hungry. Indagine di un affamato, ci conduce, con Angelo Campolo, nelle strategie di sopravvivenza di un giovane attore, intento ad accaparrarsi i fondi europei per progetti di rilancio culturale, alla ricerca di parole chiave, come “integrazione” che aprono le porte al buonismo collettivo lungo la linea sottile tra chi vende e chi compra. I fondi arrivano e si parte: stage di teatro per favorire l’interazione con i migranti, in terra siciliana, dove i problemi sembrano assommarsi ai problemi. Ottime intenzioni, improvvisazioni teatrali volte a stabilire il contatto tra esseri umani e un autore, Pasolini, per noi coscienza inquieta mai sopita, per loro, gli altri, figli d’Africa e di deserto, chissà…un nome come tanti. La scena accoglie il racconto ironico e amaro dell’attore. Solo in scena, si rivolge informale al pubblico muovendosi attorno alla sua scrivania da lavoro, impegnato nel tentativo di mediare obiettivi e aspirazioni artistici con la fame di chi deve sopravvivere nel vuoto culturale del nostro Paese. Ci narra del suo viaggio nel teatro di impegno sociale e dei paradossi nati in corso d’opera nel tentativo faticoso di stabilire un dialogo sensato con i propri allievi (“Qui Artaud e il Living Theatre sono nessuno..ci sono solo silenzi che valgono più di mille parole”). L’interazione col pubblico è intervallata da videointerviste ai migranti: i loro sguardi, le loro ombre, le loro parole dense di memorie non raccontabili si rivelano non comprensibili tra le righe del politicamente corretto che trasforma con indifferenza “una persona in un concetto astratto”. Fino a quando il fallimento della pedagogia teatrale inciampa nelle verità nascoste di chi è arrivato qui non per imparare a recitare o per giocare alle strategie democratiche di gruppo, ma sbattuto dal vento incostante della storia, nei suoi risvolti caotici e sabbiosi come la polvere dei kilometri attraversati, tra orrori per noi appena immaginabili (“Il deserto non conosce dignità, non permette solidarietà”). Il monito di Steve Jobs, “Stay Hungry”, che dà nome allo spettacolo, viene filtrato dalle ipocrisie di un’Italia in bilico tra rifiuto e accoglienza e travolto nel significato dalla fame, quella vera, di cibo e di senso, quella di chi sa che “un corpo affamato divora se stesso”, come se lo Zanni di Dario Fo fosse uscito dalle pieghe della fantasia per piombare nella realtà quotidiana a strapparci il velo dagli occhi con l’ammissione stessa della sua esistenza. Allora la finzione teatrale, nel suo ingenuo tentativo mimetico del reale, si lascia scardinare e rinnovare dal sapore aspro della verità di vite al limite, per le quali improvvisare la sopravvivenza è compito quotidiano, limite incarnato, innesco ben più potente di ogni artificio scenico (“Ciò che il teatro crea, la vita, in un momento, distrugge”).
La mia battaglia, Elio Germano
Il secondo spettacolo, Segnale d’allarme La mia battaglia Vr, abbatte invece la barriera tra realtà e finzione multimediale, sfidando i confini dell’arte e proponendo un’esperienza immersiva nella realtà virtuale. Scritto a quattro mani con Chiara Lagani, questo VR movie nasce dalla collaborazione con Omar Rashid (co-regista del film) e il progetto multimediale Gold. Indossati i visori virtuali, ai nostri occhi scompare il profilo armonioso del Chiostro che ci ospita e prende corpo una sala teatrale, piena di spettatori divertiti e partecipi e un attore, brillante, accattivante, energico e spiritoso. Il suo monologo suscita risate e consensi, aggancia il pubblico, quello reale, invogliato a ridere e applaudire dall’entusiasmo della sala virtuale “nella quale si trova”. Scatta la trappola, in un attimo, un attimo impercettibile e fatale, il segnale d’allarme non viene percepito in tempo dagli spettatori, costretti a esperire sulla propria pelle i meccanismi ambigui della manipolazione del consenso di cui diventano ignare cavie. “Cosa stiamo vedendo? A cosa applaudiamo? Chi è il personaggio che abbiamo di fronte? Dove ci sta portando?” Ci chiede, tra le righe, Elio Germano, a cosa stiamo davvero dando il nostro assenso? Il dialogo con la realtà virtuale crea un ipnotico gioco di riflessi: lo spettatore osserva se stesso come parte di un pubblico virtuale, si specchia nei volti di chi ha accanto nella realtà parallela che, per tutto il tempo, si sovrappone a quella fisica; si specchia nell’attore che muta maschera a poco a poco, camaleontico nel suo progressivo rivelarsi altro da quanto mostrato in principio per accattivarci e costringerci dalla sua parte. Si resta muti al termine, abbacinati dal ritorno alla realtà di carne e ossa, toccati dalle conseguenze inaspettate di quanto esperito. Al termine dello spettacolo il confronto con gli autori permette di decantare l’impatto emotivo. Si riflette sulla graduale escalation evocata dal testo, che scivola progressivamente dall’analisi condivisa del presente al vero testo ispiratore, il Mein kampf di Hitler, senza che ne riconosciamo la collocazione storica. Un viaggio nel lato oscuro della coscienza collettiva, “uno spettacolo dalla parte del male”, lo definisce Chiara Lagani che introduce il dibattito. Si è spinti a domandarci quanto possa essere immune la nostra comunità, quanto pronta a delegare senza vera partecipazione, quanto immersa in una dimensione virtuale (“occorre radicarsi al corpo nel virtuale, potrebbe bruciarti la casa e non te ne accorgeresti”) che le rende impossibile discernere il vero dalla propaganda, fino a trovarsi ormai compromessa, per essersi lasciata convincere, come in passato, ad assentire agli abomini della Storia. Elio Germano non è nuovo agli esperimenti in VR, dopo l’uscita, nel 2016, di No Borders, scritto da Omar Rashid ed Elio Germano e girato tra il centro di accoglienza Baobab di Roma e il presidio No Borders di Ventimiglia, primo documentario italiano in realtà virtuale, che si è aggiudicatoo il premio MigrArti del MiBACT a La Biennale di Venezia e la Menzione Speciale ai Nastri d’Argento 2017. Il suo richiamo, in un momento di nuove paure e di nuove distanze, è ad avere il coraggio di immergersi tutti insieme nel buio per, insieme, riuscire ad uscirne ancora.
Se questo è levi, Fanny & Alexander
Chiude la rassegna, attesissimo, lo spettacolo Se questo è Levi, vincitore nel 2019 di due Premi Ubu, come Progetto speciale e per il Miglior attore o performer under 35, per la regia di Luigi De Angelis, drammaturgia di Chiara Lagani, protagonista Andrea Argentieri. Lo spettacolo, inizialmente pensato in tre momenti di un percorso itinerante, condensa in un unico luogo l’emozionante esperienza di trovarsi di fronte a Primo Levi, evocato da un magnetico Andrea Argentieri, attraverso la tecnica dell’eterodirezione, metodo di lavoro tipico della compagnia, che consiste, per l’attore, nel farsi dirigere attraverso gli auricolari, in tempo reale durante la performance. In questo caso è Argentieri stesso a dichiarare “fin dall’inizio […] l’obiettivo a cui miravo era quello di “farmi abitare da una voce”. La voce di Levi, appunto, di cui l’attore riproduce la fisicità, il ritmo del parlato, le micro esitazioni, la tensione razionale a trasformare l’orrore in memoria partecipata, l’urgenza di raccontare tante volte condivisa col suo pubblico di lettori dal più celebre e più analitico testimone della Shoah degli ebrei italiani. Al pubblico sono consegnate domande da rivolgere all’attore-personaggio che, in uno stato di simbiosi, quasi di trance creativa, risponde con le parole da cui si lascia attraversare, facendosi vuoto per fare spazio alla memoria dell’altro. La voce diventa fluido e magnetofono, portale animico di un incontro impossibile, particolarmente suggestivo e struggente in un’epoca in cui la presenza viva dei testimoni ci è strappata via dal tempo. E allora toccherà a noi diventare loro, sembrano suggerirci Fanny & Alexander, e farci latori e mediatori di un messaggio che ci viene consegnato. “Trasmetteremo i libri ai nostri figli, oralmente, e lasceremo ai nostri figli il compito di fare altrettanto coi loro discendenti. Naturalmente molte cose andranno perdute con questo sistema. Ma non puoi obbligare la gente ad ascoltare, se non vuole”: chiudeva così il suo Fahrenheit 451 Ray Bradbury, invitandoci con la bellissima metafora dei libri-persona a farci semplicemente depositari di memoria e di cultura, unici antidoti possibili alla tentazione di deriva autoritaria. Se questo è Levi realizza un passo ulteriore, chiedendo all’attore di fare spazio all’intimità tutta intera del personaggio di cui, ormai, non ci restano che le parole scritte. Parole di una chiarezza diamantina ed esatta, quelle tratte dalle sue opere più celebri: Se questo è un uomo, I sommersi e i salvati, Il sistema periodico. Domanda dopo domanda ripercorriamo le tappe della vicenda umana di Levi, ne cogliamo lo sforzo di riportare in ordine quelle memorie estreme, attraverso l’esercizio di un ragione scientifica, indagatrice ma non giudicante, capace di distacco e di perdono, ma radicata nel dovere del ricordo attivo, vigile e condiviso. La memoria è un dovere, anche qualora il ricordo di un trauma rivelasse d’essere esso stesso traumatico o emergesse il legame feroce tra vittima e carnefice, stretti nella stessa trappola. La parola emerge nuda, scarna, avvolta da uno strano potere, quasi esorcismo collettivo, atto alchemico di trasmutazione. L’emozione ci pervade particolarmente al momento degli applausi finali che sembrano non riuscire a smorzarsi. Per un lungo istante ci pervade la sensazione di applaudire un fantasma, vivo più che mai davanti ai nostri occhi. Il lungo tributo del pubblico, oltre che al bravissimo Argentieri, è a Primo Levi, una sorta di tacita intesa come di chi ha raccolto con gratitudine il testimone.
MATERIA PRIMA 2020
Chiostro di Santa Maria Novella, Firenze
16 – 17 – 18 settembre 2020
STAY HUNGRY. INDAGINE DI UN AFFAMATO
Spettacolo vincitore Premio Inbox 2020
di e con Angelo Campolo – Compagnia DAF
ideazione scenica Giulia Drogo
assistente alla regia Antonio Previti
organizzazione generale Giuseppe Ministeri
segreteria Mariagrazia Coco
produzione Compagnia DAF – Teatro dell’esatta fantasia
foto Paolo Galletta
SEGNALE D’ALLARME. LA MIA BATTAGLIA VR
tratto dallo spettacolo teatrale La mia battaglia
con Elio Germano
regia Elio Germano e Omar Rashid
prodotto da Gold Productions, Infinito e Riccione Teatro
produzione Pierfrancesco Pisani, Elio Germano, Omar Rashid
produttore associato Alessandro Mancini, Luca Fortino
scritto da Elio Germano e Chiara Lagani
fotografia Luigi Ruggiero, Filippo Pagotto
post-produzione Sasan Bahadorinejad
grafica Azzurra Giuntini
SE QUESTO E’ LEVI
Premio Ubu 2019 Progetto speciale e Miglior attore o performer under 35
regia Luigi De Angelis
drammaturgia Chiara Lagani
con Andrea Argentieri
produzione E/Fanny & Alexander