Di scena al Teatro delle Donne di Calenzano il 28 gennaio 2017 unica data in Toscana ”MASCULU E FIAMMINA” il nuovo spettacolo di Saverio La Ruina già presentato per la prima volta a settembre 2015 nell’ambito del festival Garofano Verde di Roma. La Ruina non è nuovo a questo genere di spettacoli e al genere teatrale del monologo, ha già infatti dato voce e corpo a vari personaggi del sud, oppressi da una società poco moderna, come La Borto, per cui vinse il Premio Hystrio per la drammaturgia nel 2010 e Dissonorata, per cui vinse nel 2007 il premio UBU sia come migliore attore che come migliore testo italiano (e che abbiamo recensito a Torino). MASCULO E FIAMMINA ha debuttato al Piccolo di Milano e ha davanti a sé diverse date in giro per l’Italia.
a cura di Michele D’Ambrosio
Non appena lo spettatore entra in teatro si ritrova in un piccolo cimitero con poche lapidi disseminate qua e là e la foto di una signora anziana ricoperta di neve. Ecco arrivare un uomo e tirar fuori un fazzoletto per pulire la lapide, sedersi davanti e cominciare a raccontarsi. Inizia il racconto di una vita, o meglio di un viaggio in cui non c’è posto per le bugie, gli sguardi non tenuti e gli occhi bassi davanti alle facce e alle dicerie degli altri viaggiatori. E’ la parola a far paura, non la persona. Nella vita di Peppino molte sono state le parole che gli hanno fatto del male, a partire dal primo amore adolescenziale che gli conferma che due maschi che stanno insieme ”so ricchiùn”. Dietro queste parole, ecco però, la madre che capisce e tace fino a quando candidamente gli chiede ”chi è stu curnutu che ti fa stà cusì”: libertà di interpretazione se si tratta di un uomo o di una società.
Comprendere ed essere delicati non è mai una questione di studi compiuti ma di rispetto. Non vuole ferire la madre. Si passa dall’immobilismo e dal silenzio di fronte agli scherni dei paesani nei confronti degli effeminati e delle loro voci pronte a gridare ”ricchiù” alla vista dei ragazzi che liberamente camminano ancheggiando in piazza e per le vie principali, all’esperienza del suicidio di un compagno con cui durante l’ora di ginnastica ha amoreggiato ed è stato scoperto. In maniera molto veloce tocca anche il tema delle cure omosessuali: la vera medicina è però sfiorare il braccio di un ragazzo per capire di essere davvero guarito.
Ci sono poi spazi per momenti di autoironia più propriamente comici: il quadro dipinto sui Santi Medici, due marchettari del paese che di sera soddisfano proprio coloro che durante il giorno hanno schernito, “i froci”.
Come nella vita di ogni uomo, anche per Peppino arriva il vero amore. Si chiama Alfredo, è un pediatra conosciuto a Riccione. Cominciano a frequentarsi di nascosto, con la scusa della visita di leva del militare a Bari. Sembra quasi che dall’ombra del Pollino, si stia prospettando una vita migliore, magari al nord, ove due uomini che vivono insieme non sono “ricchioni”. Ebbene, anche nella civile Treviso, nel nord, dove nell’immaginario comune nessuno ti urla dietro ”mezzafemmina”, accade l’episodio più increscioso nella vita del nostro personaggio: una sera mentre la coppia era appartata, vengono aggrediti e Alfredo muore.
Peppino è ormai un uomo di mezza età che torna al paese perché si sta bene, perchè l’aria è più pulita, perché si vive meglio, ma in verità è solo perchè non ha mai saputo spezzare il cordone ombelicale che lo unisce alla madre. E’ un cordone che non si spezza anche nel linguaggio: l’intero monologo è tutto in calabrese, lingua oscura, chiusa e affascinante allo stesso tempo. Lingua che la mamma conosce e comprende bene, che tuttavia tiene lo spettatore, forse in maniera anche voluta registicamente, lontano dal rapporto tra Peppino e la madre.
Gesti molto delicati e teneri fanno da contorno a tutto lo spettacolo. Peppino, pur essendo diventato ormai più cinico e sprezzante nei confronti della vita e di ciò che lo circonda, capisce bene che non si è mai voluto realmente allontanare da sua madre, tanto che alla fine decide di addormentarsi cospargendosi delicatamente della neve caduta, accanto alla lapide di lei che stava male ogni volta che andava via dal paese.
In tutto il monologo non ci sono mai scene troppo forti né movimenti eclatanti se non il continuo strofinarsi delle mani di La Ruina per riscaldarsi e, magari, prendere coraggio. Forse si tratta semplicemente del coming out di tutti noi che siamo tutti diversi… ma diversi da chi poi? siamo tutti diversi. E’ l’intera società ad essere diversa. E’ un coming out dalle tinte delicate e dai colori mai troppo forti. Con la stessa vena delicata che ha pervaso tutto il monologo, alla stessa stregua finisce e arriva un ultimo messaggio di bisogno di rispetto: che tra cento anni un ricchione è solo uno con le orecchie grandi.
visto sabato 28 gennaio ore 21.15
al Teatro Manzoni di Calenzano, Firenze
MASCULU E FIAMMINA
Scena Verticale
di e con SAVERIO LA RUINA
musiche originali Gianfranco De Franco
scene Cristina Ipsaro e Riccardo De Leo
disegno luci Dario De Luca e Mario Giordano
audio e luci Mario Giordano