MASCULU E FàŒAMMINA @ Festival Colline Piemontesi: l’onestà  delle parole

Il 18 giugno (ore 21.30) all’interno del Festival delle Colline Piemontesi (vedi tutto il programma), è andato in scena al Teatro Astra di Torino, lo spettacolo MASCULU E FÌAMMINA, una produzione Scena Verticale, spettacolo che avevamo già visto a Firenze  al Teatro Delle Donne (vedi la recensione di Michele D'Ambrosio). Torniamo a recensirlo in questo nuovo passaggio in sala…

Giù al paese tutti i giorni Peppino va alla tomba della madre, e le parla come se fosse ancora presente. Un giorno, tra la neve, il dialogo con l’assente si trasforma in una liberazione: «sungu nu masculu ch’i piacinu i masculi». Non tanto una confessione, quanto invece un’apertura, una necessità di chiamare questa cosa con nomo e cognomo. D’altra parte la madre già lo sapeva, lo ha sempre saputo, ma ha sempre vestito il rispetto verso il figlio di silenzio.

Una parola tira l’altra, e Peppino racconta alla madre tutta la sua vita, dalla prima disperazione scoprendo la propria sessualità, ai tentativi di auto-convincimento per tornare «normale», e poi l’accettazione di se stesso, ma anche i primi amori, l’amicizia con Vittorio, la storia con Angelo, a cui si teneva stretto sulla Lambretta a rischio di farsi scoprire. Ma il sogno intravisto di poter vivere normalmente una storia d’amore, andare a mangiare la pizza con gli amici, è infranto da Angelo, che lo lascia per prendersi una fidanzata. E poi il viaggio a Riccione, l’incontro con Alfredo, che gli suscita arie da Maria Callas, gli anni di relazione a distanza fino alla tragica fine, l’assalto, mentre i due erano appartati in auto, la morte del compagno e la tragica fuga verso il paese.

"Che conto? Che racconto alla polizia?" Le parole oneste sono incomprensibili, e non si possono dire. Peppino è costretto a stare da solo con le parole, a non poterle dire a nessuno. Quando proverà a farlo con la famiglia di Alfredo, questa smetterà di farsi sentire, e dire che prima lo trattavano come un figlio. Ma le parole fanno paura, non sono gli uomini. Non si è niente contro le parole, perché le parole uccidono. È per questo che bisogna usarle con onestà, con rispetto – perché la parola è potente, la parola ferisce, condanna, trasforma, come un incantesimo. «Però il ricchione sei tu», sei tu perché lo dici, gli dicono i ragazzi del paese dopo essere stati con lui, di nascosto anche da loro stessi. Per questo bisogna sceglierle bene, le parole, ma soprattutto bisogna usarle, bisogna dirle, bisogna condividerle – anche se dopo molti anni, davanti alla tomba della madre.

Sono in effetti le parole le vere protagoniste dello spettacolo, da sole con l’attore sulla semplicissima scena innevata, come un foglio bianco, o contrappuntate dalle delicate musiche di Gianfranco De Franco, il cui uso sapiente le fa riverberare. L’uso della versione edulcorata del dialetto calabrese, inoltre, veste tutto il monologo di immediatezza e genuinità, pur rimanendo comprensibile anche al pubblico torinese.

È di una potenza disarmante l’abilità di Saverio La Ruina nel mettere lo spettatore di fronte all’essenza dei temi che tratta. Non intende commuoverlo, eppure spesso bisogna inghiottire il groppo in gola che si forma sentendo quel che Peppino ha incontrato e vissuto nella sua vita giù al paese. Costante solitudine, incomprensione ed esclusione, persino da parte della sinistra rivoluzionaria in eskimo che avrebbe dovuto portare libertà e tolleranza.

“Due ricchioni assieme fanno più paura di uno”, gli dice Angelo molti anni dopo, sposato, con rimpianto e rassegnato a quella vita non sua che s’è scelto. È da questa paura che allora come oggi sono generati odio, violenza, allontanamento e quella ipocrisia traditrice e vigliacca che genera così tanta frustrazione, così tanta solitudine. Peppino ne cerca la panacea, ne attende l’antidoto: la gentilezza. Parola tanto disarmantemente onesta che quasi è data per scontato. È quel che si augura Peppino, mentre spera di ibernarsi e svegliarsi in un mondo in cui le cose sono solo quello che sono, e un ricchione è solo una persona dalle orecchie grandi.

Info:
MASCULU E FÌAMMINA

domenica 18 giugno ore 21.30
Teatro Astra, Torino

di Saverio La Ruina

regia Saverio La Ruina

con Saverio La Ruina

musiche originali Gianfranco De Franco

collaborazione alla regia Cecilia Foti

scene Cristina Ipsaro e Riccardo De Leo

disegno luci Dario De Luca e Mario Giordano

audio e luci Mario Giordano

organizzazione Settimio Pisano

produzione Scena Verticale

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