Scritto e diretto da Saverio La Ruina, con Saverio La Ruina e Chadli Aloui, accompagnati dalle musiche originali di Gianfranco De Franco, una produzione Scena Verticale, con il sostegno di MIBACT Regione Calabria e in collaborazione con TMO – Teatro Mediterraneo Occupato di Palermo.
Un terremoto si è compiuto e, davanti alle catastrofi naturali, che sono vere e proprie livelle che non guardano in faccia nessuno, siamo uguali. Non importa da dove veniamo, cosa abbiamo fatto fino ad allora, chi crediamo di essere, siamo lì. E a volte capita di trovarci nostro malgrado ad avere a che fare con persone che non avremmo mai scelto di avere al nostro fianco. Tutto è rimesso in discussione, sempre. Al teatro il compito di mostrarci le nostre piccole vite grazie alla sua lente che illumina e ingrandisce.
In una delle tende allestite nei luoghi del sisma, si ritrovano Mario, un occidentale cristiano, e Saleh, un ragazzo musulmano, che ha chiesto espressamente di non restare insieme agli altri musulmani. La situazione si partenza è già complessa di suo, per Mario è addirittura inconcepibile che il giovane Saleh abbia chiesto di non restare insieme “alla sua gente”, ma nulla è insormontabile, solo la consapevolezza può abbattere muri in questa partita dove si può vincere entrambi. I nostri protagonisti abbattono i muri interiori delle proprie resistenze e i muri esteriori messi su dall’altro, in un continuo palleggio, i pregiudizi di uno, quelli dell’altro, i bei gesti di accortezza di uno, quelli dell’altro e così fino alla fine, è un continuo sorprendersi nel conoscersi sempre meglio, nella situazione difficile in cui si trovano diventano sempre più solidali.
Entrambi ai margini della società, il ragazzo nato in Tunisia e in Italia da quando era piccolo, l’uomo che ha sempre vissuto in quel territorio ma ora malato e senza casa, le difficoltà quotidiane, la voglia di andare avanti, comprendere che forse insieme si può andare più avanti, è la storia di un’amicizia da costruire che si fa metafora della nostra società, fatta di cose da smantellare per poterne costruire altre più solide.
Ci si mette a nudo in tenda, tra i simboli cristiani e quelli musulmani, tra abitudini diverse, che alla fine confermano che siamo uguali nelle differenze, che diciamo con parole diverse le stesse cose, che la nostra terra alla fine è la terra dove appoggiamo i piedi.
Il grande merito di La Ruina è quello di regalarci un testo ironico, brillante, dissacrante a tratti, che trova il posto giusto anche a una colonna sonora commerciale all’italiana, garbatamente trash, ma che diventa funzionale alla narrazione di un qualcosa di alto e prezioso. Il racconto leggero di questa vicenda, leggero ma mai superficiale e che mai appesantisce, è tanto divertente quanto denso, poetico ma senza mai scadere nel patetico. Si passa dal banale e dall’abisso dei rapporti umani in un continuo palleggio di sentimenti e comportamenti, i fraintendimenti, le piccole ripicche, l’incomunicabilità da un lato, ma anche l’umanità, la solidarietà, l’esserci per l’altro, la volontà di trovare un compromesso.
Questa è una partita con la vita che può essere vinta da entrambi i nostri protagonisti, e così accade, poiché è giocata insieme, si percepisce il gioco del teatro e il piacere dell’essere lì in scena insieme.
E noi spettatori ci identifichiamo nelle piccolezze di certi pensieri beceri, nelle incoerenze, nell’egoismo di ritenerci migliori, cadiamo tutti in certi tranelli, ma come Mario e Saleh possiamo esserne consapevoli e smussare gli angoli bui.
Il disegno luci di Michele Ambrose scandisce le giornate e le stagioni con semplicità, un’atmosfera lunare nei momenti notturni dà molta poesia e valorizza i loro volti, così come i costumi di Mela Dell’Erba: la scena è essenziale e proprio per questo molto credibile, esattamente come ci si immagina di poter vivere in quelle situazioni, ma senza invadere il racconto, quello che c’è da raccontare è già abbastanza.
In un'Italia razzista e piena di pregiudizi forse ci saranno persone che vedranno questo spettacolo per caso, chissà, e magari avranno una nuova prospettiva da cui vedere la complessità e la ricchezza della una nostra società sempre più multietnica. Questo è uno spettacolo che fa luce, che illumina tutto, non risparmia niente e nessuno, porta uno sguardo lucido su “Un argomento che richiede un approccio delicato, dato che scalda gli animi con una virulenza che lascia interdetti e a volte impotenti.” come ci dice lo stesso La Ruina.
Davvero molto coraggioso al giorno d’oggi trattare questi temi con profonda leggerezza, lo stile di La Ruina si distingue in un teatro dove spesso la vuota retorica va per la maggiore, probabilmente l’unico approccio vincente è proprio questo.
Saverio La Ruina si forma come attore alla Scuola di Teatro di Bologna con Alessandra Galante Garrone e lavora tra i giovani registi selezionati per i laboratori di regia curati da Eimuntas Nekrosius per La Biennale di Venezia nelle edizioni 1999 e 2000. Nel 1992 fonda la compagnia teatrale Scena Verticale, con la quale è presente nei maggiori festival e teatri italiani e all’estero, tra i maggiori riconoscimenti: quattro Premi Ubu 2007, il Premio Hystrio alla Drammaturgia 2010, il Premio Lo Straniero 2015, due Premio Enriquez. I suoi testi sono stati tradotti e rappresentati in diversi paesi del mondo. Dal 1999 è Direttore Artistico del festival Primavera dei Teatri di Castrovillari.