Maria d'Enghien @Teatro Sala Uno: il Medioevo assemblato

Maria d'Enghien” di Tiziana Buccarella si accompagna dalle musiche, la danza, il canto, le immagini. Pluralità di mezzi per un tentativo di raccontare un personaggio poliedrico, senza un filo conduttore né idea centrale. Evitare di ricondurre diversi elementi tematici a uno solo è una scelta che richiede, però, una gestione consapevole e sicura dei mezzi tecnici. Se l'attenzione dello spettatore non può concentrarsi su una linea narrativa, si volge verso la forma e, qualora questa tradisce, è un problema.

Tiziana Buccarella si è incaricata, esattamente come il personaggio scelto, di diverse mansioni al contempo. Ma sono talmente tante che non sempre il suo livello di sensibilità è sufficiente. L'esempio più evidente sono le immagini proiettate. Immagini statiche, poco curate, non sempre ben visibili, che dovrebbero illustrare il racconto sulle origini genealogiche dell'eroina; disparati, discontinui, gli stemmi, le miniature e le statue rinascimentali compaiono sulla tela senza un ritmo preciso né significato chiaramente leggibile, per poi ricomparire in alcuni altri momenti dello spettacolo.
Sono evidentemente quelle che si riesce a trovare a proposito di quello o di quell'altro argomento: a Hildergarda von Binden e Ipazia è dedicata la stessa attenzione nel monologo, ma la menzione della prima viene accompagnata dalle immagini tratte dei manoscritti più o meno coevi, mentre della seconda si parla senza nessuna immagine. Di Ipazia mancano ritratti coevi, è vero, ma neanche si deve immaginare che le miniature medievali riportino necessariamente i tratti somatici del personaggio raffigurato. E comunque se un prodotto artistico si limita dal reperibile e documentabile, perde inevitabilmente nella propria dimensione artistica. Senza acquisire il rigore di uno studio.

La stessa stranezza e mancata elaborazione riguarda i testi dei documenti storici che l'attrice legge a voce alta senza un minimo di commento. Si lascia dominare dal documento, lasciando lo spettatore davanti a una lettura anche di lunghe liste omogenee, la cui attrazione per un pubblico non-specialistico è quanto meno opinabile. L'eccessivo rispetto per il materiale blocca il processo creativo.

La situazione è diversa qualora si tratti di vari ambiti prettamente artistici. Qui la combinazione degli elementi diventa più elaborata e virtuosa. Molto toccante il momento musicale: il canto dell'attrice dialoga con il salmodiare riprodotto in sottofondo, talvolta includendosi nell'armoniosa moltitudine, talvolta contrastando con essa per dare l'espressione indiretta alla solitudine ribelle del personaggio. Anche la disposizione spaziale in questo caso è studiata: il coro registrato si accorda con un foglio manoscritto e miniato proiettato sulla tela, mentre la figura dell'attrice sorge, immobile, in posizione laterale, con il viso volto verso l'alto. Qui finalmente i diversi elementi si fondono, dando un'immagine emozionante.

I momenti di immobilità spezzano in una maniera molto ben studiata la continuità del movimento. La lunghezza delle pause, la rapidità o la lentezza dei gesti, i momenti dell'inizio e della fine delle danze calzano perfettamente. La materia propriamente teatrale è cucita con abilità, il problema è quando tenta di trasbordare in conferenza.

Infine, va notata la cura dell'aspetto estetico. Nonostante un sorprendente flop delle immagini proiettate, l'aspetto visuale è generalmente molto lavorato nei dettagli e nell'insieme. A parte la già menzionata perfetta coerenza con lo spazio del Teatro Sala Uno, anche l'allestimento con un telo di materia grezza, il trono-poltrona intrecciato e il costume dell'attrice formano un complesso visivo armonioso e dilettevole. È l'immagine molto estetizzante del Medioevo, che richiama molto più i preraffaelliti e la Principessa Giacinta che Giotto: le eleganti scapole scoperte, i capelli rossi, due rose dal gambo lungo, la sciarpa gettata con eleganza sullo schienale della poltrona.
Un medioevo più composto che vissuto, con il suo grande fascino nonostante le grandi incertezze.

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