MAMMA MARCIA @ Biblioteca Lazzerini di Prato: Curzio Malaparte tra decadentismo e profezia

In occasione del 60° anniversario della morte dello scrittore e intellettuale Curzio Malaparte, il Comune di Prato propone il percorso “Maledetto pratese” dedicato al suo illustre concittadino con seminari ed escursioni che permettano di riscoprire e mantenere vivo il ricordo di uno dei più grandi intellettuali del Novecento. Nel giorno della morte, il 19 luglio, dopo l’escursione per raggiungere il suo sepolcro in cima allo Spazzavento, una lectio magitralis sull’ultima sua opera, peraltro incompiuta, “Mamma Marcia” chiude le celebrazioni. Ed a sobbarcarsi questa responsabilità è l’affabile e appassionato concittadino e collega Sandro Veronesi, pronto a restare un passo indietro ed a farsi ambasciatore di un messaggio sorprendente per la sua modernità e durezza.

Tanti sono gli spazi cittadini che possono ricondurre all’epoca in cui Curzio Malaparte, nome d’arte dell’italo-tedesco Kurt Suckert, frequentava i vicoli e i campi della sua Prato mentre il padre, tintore tedesco, era impiegato nel celebre “Fabbricone” di proprietà di una società, appunto, tedesca. Nonostante ciò la Corte delle Sculture della Biblioteca Lazzerini, esemplare recupero di archeologia industriale negli spazi dell’ex Manifattura Campolmi, sembra il più ideale per ricordare le origini dello scrittore pratese così come il suo legame con la città, ribadito da un enorme pannello in cui sono riportate citazioni tratte proprio da “Maledetti toscani”, il suo vero omaggio d’affetto a Prato, laddove finisce in stracci tutta la storia del mondo.

Numerosissimi i suoi concittadini pronti ad assistere ad una serata che, già dalla scenografia, si rivela essenziale: una poltrona rossa, un tavolino ed un microfono con asta sopra un palco totalmente spoglio. A partire da questo si riconosce lo stampo che Veronesi vuole dare alla lectio: un’occasione per riportare Curzio Malaparte ad essere protagonista indiscusso ed unico; un tentativo di recuperare tutto quel tempo perduto in cui la sua figura è rimasta sconosciuta ai più, soprattutto italiani. Tutto lo spazio vuoto dovrà riempirsi solo delle suggestioni e delle verità contenute nelle righe di “Mamma Marcia”, l’ultima opera rimasta incompiuta e pubblicata postuma per la prima volta da Vallecchi nel 1959, due anni dopo la morte dell’autore. Intento del Premio Strega è quello di recuperare l’essenza vera del romanzo che, per volontà del curatore Falqui, è stato poi “inquinato” da altri scritti non necessariamente inerenti e per questo ignorati durante la lectio.

Calate le luci sul pubblico, di fronte ad un’arena silenziosissima e quasi incantata, Sandro Veronesi apre con l’incipit del romanzo in cui alla durezza del titolo si contrappone l’intimità e la dolcezza degli ultimi istanti di vita della madre di Malaparte che ricoverata in una clinica di Bellosguardo a Firenze contempla la luna e riesce a leggere nell’animo del figlio, uno scrigno segreto che mai era stato forzato e che viene violato per la prima volta da colei che lo ha messo alla luce, nonostante lui si fosse rifiutato più volte di tornare a trovarla dopo il suo esilio volontario in Francia, iniziato all’età di 16 anni come volontario nella Grande Guerra.

Ma come sempre nella letteratura malapartiana, da “La Pelle” a “Kaputt”, ogni immagine non è altro che il pretesto per catapultare il lettore dentro una suggestione capace di sconvolgerlo, di metterlo impietosamente di fronte all’essenza di una realtà che lo scrittore legge sempre in un’ottica capovolta e crudele: laddove l’Europa ormai sembra destinata ad una rinascita per effetto della fine della guerra e della diplomazia che condurrà, proprio nell’anno della morte, alla firma del Trattato di Roma, atto costitutivo dell’Unione Europea, lo scrittore pratese fornisce una visione decadente, disfattista, quasi irreale del vecchio continente. Perciò quelli che sembrano delinearsi come i nuovi “Stati Uniti d’Europa” sono solo figli vivi di mamme morte, delle macerie che nascondono cadaveri capaci di dare vita solo ed esclusivamente a figli marci. Marci come quello soccorso dallo stesso Malaparte alle pendici del colle di Montecassino laddove una donna travolta dalle macerie, in una posizione da martire cristiana crocifissa, riesce a dare alla luce un feto che in quanto nato dalla rovina di un continente, non può che rappresentarne la sua nascita ma anche la sua inevitabile fine.

Ed ecco quindi che l’Europa, al di là di ogni retorica diplomatica, non diventa altro che una Mamma Marcia i cui figli sono destinati alla rovina, una terra nella quale ogni uomo non è altro che un “feto adulto che si aggira a cercare fratelli che non sono più” in una solitudine che Malaparte condivide con Pasolini, autore di questo verso e intellettuale consapevole e profetico, come il suo predecessore pratese, anche se profondamente diverso. E’ qui che Veronesi, con convinzione e fermezza, rivolge lo sguardo al presente, a quell’Europa che sta mostrando tutta la sua debolezza di fronte al fenomeno dell’immigrazione dal sud del mondo: mero pretesto per rivendicare ataviche ostilità e dimostrazione che quanto Malaparte profetizzava è tristemente ed inevitabilmente vero. Lo scrittore sul palco non ha dubbi: il vecchio continente sta approfittando del fenomeno migratorio per sfaldarsi e mostrare come, davvero, da una Mamma Marcia non possano nascere figli sani; una madre che sta abbandonando i propri figli rinunciando al suo ruolo.

Dopo l’unico applauso della serata in grado di rompere il velo di tensione e di suggestione che aleggia sul pubblico, lo spettatore, quasi incredulo, si chiude quindi in un guscio per difendersi da questo destino di morte, convinto che Malaparte abbia solo fantasticato su quanto visto ai piedi di Montecassino e descritto nelle pagine del romanzo. Ma Veronesi, da abile interpretatore della realtà e del pensiero comune, non lascia scampo e corre a difendere il suo illustre concittadino: anche se quella di Kurt Suckert può sembrare una forma ossessiva di necrofilia, per cui le immagini contenute in Mamma Marcia non sono affatto credibili, ciò rende l’autore ancora più illustre in quanto è riuscito a trasformarle, appunto, in suggestioni per il lettore. Quando uno scrittore riesce a rendere verosimile l’irrealtà, non ci sono altri giudizi possibili, secondo Veronesi: si tratta di un grande autore.

Ogni dissertazione su Malaparte non può però mai essere davvero esauriente senza prendere in considerazione il suo lato intimamente toscano e pratese: ogni sensazione, suggestione, visione del mondo, per quanto apocalittica e profetica, è sempre frutto di quanto da ragazzo l’autore ha vissuto tra le colline nei dintorni di Prato; un mondo in cui i suoi compagni erano le figure spettrali dei personaggi che sono rimasti vittime del mondo, figli anch’essi di una Mamma Marcia e per questo destinati ad una morte spesso violenta. Sono questi che hanno consentito a Malaparte di diventare l’uomo visionario e profetico che ha dimostrato di essere con la sua letteratura; un uomo bistrattato e sottovalutato per effetto dell’impossibilità di incasellare la sua personalità ed il suo pensiero in una categoria: l’uomo che, dopo aver sposato la causa dei primitivi Fasci di combattimento, è stato mandato al confino a Lipari per finire sul letto di morte assistito dal leader comunista Palmiro Togliatti; l’uomo che ha fatto della libertà di pensiero la sua bandiera a costo di apparire umanamente insopportabile, tanto per addolcire il giudizio che di lui ne ha dato, tra gli altri, Alberto Moravia. E proprio il rancore suscitato nei contemporanei che gli sono sopravvissuti ha ingiustamente offuscato la luminosità “crepuscolare” e caustica delle sue pagine, intrise di un amore per la vita che passa attraverso l’elogio del suo opposto, ovvero quella morte senza la quale la vita non avrebbe senso. Significativo perciò che la sua ultima opera, anche se incompiuta, sia proprio rivolta alla morte della madre, simbolicamente permeata attraverso gli occhi di Curzio Malaparte, testimone disilluso e caustico di una realtà in cui già iniziavano a germogliare i semi dell’egoismo e della decadenza culturale e spirituale del vecchio continente alle soglie del XXI secolo.

Foto tratte dalla pagina FB dell’evento

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