Dopo Menelao e Ritratto di donna araba che guarda il mare, Davide Carnevali ritorna all’Arena del Sole per accompagnarci con Maleducazione transiberiana in un viaggio nell’attualità dell’universo dell’educazione infantile massmediale, affrontandone con spirito critico e implacabile ironia gli stereotipi, le contraddizioni e i malcelati meccanismi di natura socio-economica e politica. Una produzione Teatro Franco Parenti, con Fabrizio Martorelli, Silvia Giulia Mendola e Federico Manfredi.
Interrogarsi sul labile confine esistente, nella realtà contemporanea, consumistica e massmediale, tra l’educazione e la maleducazione: è questo il difficile ma urgente proposito della creazione di Davide Carnevali, questa volta non solo autore ma anche di regista dello spettacolo. Un testo fortemente provocatorio che già a partire dal sottile gioco di parole del titolo mira a ribaltare le certezze per far luce su falle e precarietà del sistema educativo odierno: è davvero così facile “beneducare” i figli, in una società in cui le politiche educative sono così annodate alle strutture del potere socio-economico? In un tentativo che è più quello di generare nuove domande che di trovare risposte, veniamo messi di fronte a una carrellata di personaggi fiabeschi dal sapore grottesco: una Cenerentola impegnata nella scalata sociale con le armi bancarie e dell’estetica; i campioni Holly e Benji alle prese, ormai adulti, con i mercati azionari e il mondo del lavoro; una Peppa Pig che scopre che la sua vera missione sulla terra è quella di finire sui banconi dell’Esselunga. Ma troviamo anche personaggi meno fiabeschi, come genitori-lavoratori alla ricerca di un improbabile asilo nido aperto di notte, almeno bilingue e dove si fornisca già un’infarinatura generale di geopolitica, storia, musica ed economia, nell’ottica di un’iperstimolazione infantile che sopperisca all’assenza. Il denominatore comune sembrano senso dell’assurdo, ipocrisia e disillusione: l’incanto si è spezzato, si ride e ironizza su una realtà insensata, abbrutita.
La narrazione scenica si svolge per successione di quadri, introdotti da una serie di video-cartelli dal sapore epico brechtiano, che rievocano la scrittura del gesso sulla lavagna, e conclusi da brevi monologhi comici che rimaneggiano poesie d’autore fino al grottesco; ogni quadro è un piccolo universo di senso a sé ma che la cornice narrativa tiene bene insieme. La performance attorica è chiara, comica e brillante, e sostiene perfettamente un’azione scenica tutta costruita sulla commistione di rappresentazione e straniamento. Il testo drammatico proviene da un attento lavoro di intrecci e citazioni che intersecano splendidamente contenuti fiabeschi, linguaggio semplice quotidiano e contenuti complessi di natura storico-economica, filosofica e pedagogica (da Fourier a Marx, da Brecht e Benjamin), con accostamenti giocati su un’ironia talmente provocatoria che ingenera, nel pubblico, una risata costante ma mai sterile. È un umorismo capace di toccare corde profonde e in cui la risata scatta naturalmente come una sorta di scarica pulsionale, catartica e riparativa: rese evidenti da accostamenti di senso totalmente improbabili eppure perfetti, si svelano le contraddizioni e le finzioni di una società consumistica che, attraverso mass media e tecniche di marketing, si occupa dell’intrattenimento dei piccoli di oggi e della (mal)educazione di nuove fasce di futuri produttori-consumatori. Tutto ciò è tremendamente serio, eppure si ride a crepapelle, perché la ferita da rimarginare è profonda e perturbante: l’incertezza. Qual è il modo giusto di educare i figli in una realtà dalla tale complessità? Come proteggerli dalle insidie mascherate da intrattenimento senza privarli della spontaneità, senza incrinarne la gioia infantile con la disillusione? E se non ci fosse alcun modo “sicuramente giusto” di farlo?
Anche la drammaturgia dello spazio sembra rinviare a questa incertezza. In scena, abbiamo solo un tavolino domestico circondato da sedie e occupato da alcuni oggetti casalinghi, un comodino, due vecchi telefoni a disco e una lavagna. L’ambiente è scarno eppure, a fine spettacolo, regna un caos tale da ingolfarlo: fogli sparsi tra palcoscenico e platea, bocconi di riso in terra, giocattoli lanciati, calpestati, abbandonati un po’ ovunque. Lo spazio disordinato sembra voler evocare la complessità dell’epoca contemporanea nei suoi aspetti più caotici, informi, esplosivi, ingarbugliati, poco chiari: la realtà con cui facciamo i conti noi e i nostri figli, e che somiglia sempre più a una camera dei giochi messa a soqquadro.
Un caos che però bisogna trovare il coraggio di guardare, per una genitorialità e pedagogia veramente consapevoli e non controllati, consciamente e inconsciamente, dalle logiche del consumo. Una consapevolezza che, forse, è anche l’unico confine veramente possibile tra educazione e maleducazione: la formazione di uno sguardo intelligente, critico ma al tempo stesso aperto alla gioia, che regali quello strumento potente che è la libertà di poter scegliere con coscienza.
Info:
MALEDUCAZIONE TRANSIBERIANA
Un lungo viaggio attraverso la sconfinata terra della pedagogia per l’infanzia
una creazione di Davide Carnevali
con Fabrizio Martorelli, Silvia Giulia Mendola, Federico Manfredi
costumi Simona Dondoni
luci Silvia Giulia Mendola
video e suono Luca Plumitallo e Alberto Onofrietti
assistenza alla regia Giovanni Ortoleva
consulenza alla scenografia Katarina Stancic
consulenza alla drammaturgia Arianna Bianchi
produzione Teatro Franco Parenti
Arena del Sole, da giovedì 14 a domenica 17 marzo 2019
durata 1 h e 15 minuti