Paolo Coletta apre la stagione del Teatro Metastasio di Prato dirigendo Maria Paiato nel capolavoro brechtiano, MADRE COURAGE E I SUOI FIGLI. In scena una nuova versione alquanto visionaria, dove parola e corpo si fondono nella musica di Paul Dessau: la storia di una madre che tra coscienza del ruolo e inaccettabilità dello stesso sacrifica i propri figli in un conflitto che nella sua innaturalezza appare però sempre più inevitabile perché la storia torna sempre a ripetersi ciclicamente uguale a se stessa.
a cura di Serena Rosati
La narrazione appare subito fluida, ancorché poco evocativa, non si respira l’odore aspro e feroce dei campi di battaglia, né il clangore stridente dei carri, né si vedono le macerie delle città distrutte. Il palcoscenico è scevro da immagini evocative, pochi sono gli oggetti di scena riconoscibili, è una scenografia appena accennata, prescinde dall’interpretazione che la nostra cultura fornisce di questo fenomeno terrificante che ci illudiamo di conoscere. Le poche tracce esulano dallo scenario originario impedendo un ricongiungimento storico dato da materiali e paesaggi e non favoriscono la ricostruzione dell’evento contestualizzandolo. L’approccio esperienziale deve dunque evolversi in un contesto dal sentore di neutralità temporale.
Un foro di palla di cannone campeggia sul palcoscenico come metafora del cerchio della vita: “Su di un cerchio ogni punto d’inizio può anche essere un punto di fine”. L’immagine che ritorna della circolarità, del cerchio che rappresenta un ciclo, non estraneo alla produzione brechtiana, è una figura primordiale che rimanda al rapporto fondamentale dell’uomo con se stesso e con l’ambiente circostante nel quale la vita e la morte non sono che fasi di un unico corso, di un andamento circolare appunto. Nelle più antiche concezioni il tempo stesso è un cerchio, tutti gli eventi hanno un andamento ciclico e sono destinati a ritornare uguali a loro stessi. In questa visione tutto quello che viviamo lo abbiamo già vissuto e tornerà in eterno, sempre identico a se stesso, con la conseguenza di vedere l’uomo destinato a non imparare dai propri sbagli e condannato alla riproduzione imperitura degli stessi.
Questo vale anche nell’esistenza umana, nella quale i valori della vita e della morte sono complementari, governati secondo empedocliana memoria da due forze opposte: Amore e Odio (o Contesa). Questo principio di unità e di conflitto viene ravvisato da Anna Fierling con l’amore, inteso come necessità, per la guerra e le sue opportunità e con la contesa, intesa come elemento disgregatore che porta al distacco dai figli. Ci mostra una dualità come madre, che pur lottando per la conservazione di sé e dei suoi figli, persegue con ostinazione la propria sopravvivenza individuale. A discapito di questo mondo circolare, il modo di Madre Courage di vivere il conflitto ci riporta al qui ed ora, alla visione egocentrica e deformata della realtà che riflette la libertà di scelta schiacciata dal consumismo. Perciò la guerra viene vissuta da Anna Fierling nella sua quotidianità in maniera ordinaria. Non si domanda se la sua sete di guadagno sia figlia della memoria di ancestrali miserie oppure nata dal timore di un futuro pieno di incognite e ristrettezze.
Allo stesso modo non ci si interroga sui motivi della guerra e sulle le modalità generali che ne determinano la condizione. Piuttosto, in quanto essa raffigura il permanente conflitto storico-sociale, diventa allora un fondamento di analisi della società. Se osservata da vicino la trama della pace rivela intessuti al suo interno i segni di una guerra che non ha mai fine. La linea di confine che le separa appare labile e quasi evanescente, fino ad inglobare la condizione stessa della guerra come acquisita e facente parte della vita umana. Il conflitto è per certo, fin dall’alba dei tempi, uno dei sistemi di guadagno più redditizi, i cui guadagni si contano in dollari e le perdite in vite umane, dove le forme scatenanti dei conflitti passano in secondo piano per lasciare spazio all’egemonia capitalistica di poche persone volte a ricavarne grandi fortune. In quest’ottica che pervade la società, adesso come allora, la guerra diviene un legittimo strumento per la capitalizzazione di beni. Delegittimando il conflitto armato, ne consegue soprattutto una condivisione di strategie basate sull’economia che si gioca sul controllo delle aree più ricche, di conseguenza gli eventi bellici son visti non più come estranei alla sfera economica ma come motore della stessa, sviluppando un rapporto di causa/effetto tra interventi militari e ripresa dell’economia. Guerra e tornaconto economico si intrecciano fin dagli albori, sposando in toto l’intima trama della visione del mondo di Madre Courage, individuale e individualistica, prima ancora che collettiva.
Questa figura di donna dura si trova inoltre a rompere l’archetipo della maternità, come modello di un determinato ruolo legato all’identità, alla percezione della figura idealizzata della madre intrisa di altruismo e dedita alla cura della prole, data da una cultura che cuce addosso alle donne la visione dell’amore di una mamma nei confronti dei figli come istinto primario. Una cultura dove l’importanza della madre e dell’accudimento da parte di essa della progenie, è tramandato da sempre. Madre Courage esula da questo stereotipo, può risultare sgradito, ma incarna la figura di una creatura emancipata, volta allo stravolgimento di un’immagine materna, naturalistica e tradizionalista precostituita. Precorre i tempi e ci mostra una donna sola ma incurante,che ha concepito i figli da padri diversi. Anna Fierling oppone resistenza ad essere, in quanto femmina, dipendente da qualcuno, sacrifica sull’altare delle convenzioni il ruolo imposto e forse più comodo di moglie, sfidando finanche il contesto sociale, reso drammatico dalle circostanze belliche. Ipercritica e combattiva, quanto propensa a sfruttare il proprio potere materno sulla figlia, giustifica l’abuso emotivo razionalizzando i suoi comportamenti come necessari per plasmare il carattere remissivo troppo docile della figlia. Kattrin (la bravissima Ludovica D’Auria) convive dunque con una madre inadeguata alla profondità dei suoi bisogni emotivi, portando il mutismo nei confronti della genitrice ad un livello simbolico, rendendolo vettore di un rifiuto a stabilire una forma di comunicazione. Nonostante tutto, questa madre, in un certo qual modo consapevole del ruolo che le compete, combatte anche per tenere i figli fuori dai campi di battaglia, ma non può fare a meno di sacrificarli. Pur lottando per la sopravvivenza e la difesa di sé e dei suoi tre figli, persegue con ostinazione la tendenza alla propria sopravvivenza individuale. Uno dopo l’altro muoiono, per ultima la figlia che, in spregio all’egoismo della madre, si sacrifica per salvare una città dall’assedio. Un destino scritto fin dall’inizio e annunciato dal brigadiere nella prima scena “… in fondo, è impossibile pensare di poter vivere della guerra senza pagarle gli interessi”. Ma Madre Courage non se ne accorge, o pare non accorgersene, incapace di guardare alla sua vita passata e di trarne il benché minimo insegnamento, senza comprendere che la guerra è un affare solo per i potenti. Continua imperterrita il suo cammino che la porterà a ripercorrere i suoi passi in un moto circolare perpetuo, lasciando a noi la decisione se unirsi a lei in questo percorso precostituito o se spezzare il cerchio degli eventi.
Info:
MADRE COURAGE E I SUOI FIGLI
di Bertolt Brecht
traduzione Roberto Menin
con Mauro Marino, Giovanni Ludeno, Andrea Paolotti, Roberto Pappalardo, Anna Rita Vitolo, Tito Vittori, Mario Autore, Ludovica D’Auria, Francesco Del Gaudio
drammaturgia musicale e regia Paolo Coletta
musica Paul Dessau
scene Luigi Ferrigno
costumi Teresa Acone
light designer Michelangelo Vitullo
sound designer Massimiliano Tettoni
luci Michele Lavanga
fonica Riccardo Cipriani
foto di scena Fabio Ruggiero
produzione Società per Attori e Teatro Metastasio di Prato
Teatro Metastasio, Prato
24 ottobre 2019