MACBETH, LE COSE NASCOSTE @Teatro Metastasio: a che punto è la notte?

Fu una doccia fredda l’annuncio della chiusura del Teatro Metastasio, e di tutti i teatri, il 5 marzo di due anni fa. L’inizio di un periodo che ricorderemo per sempre. Saremmo dovuti andare a vedere Macbeth, con noi i partecipanti al laboratorio di critica, bruscamente interrotto come molte delle nostre attività, molte cose delle nostre vite. Abbiamo intrapreso tutti una nostra personale discesa nella parte più buia di ciascuno, nel profondo della solitudine, nel dolore della perdita, nella sofferenza della malattia, nella follia del proibito. Forse oggi più pronti e consapevoli per poter guardare oltre, immergerci ne Le cose nascoste. Si è conclusa la tournee 2021 laddove sarebbe dovuta iniziare. Una fine che sapora di inizio.

a cura di Alice Capozza e Leonardo Favilli

La complessa drammaturgia nel Macbeth firmato Dematté-Rifici-Gonella

La drammaturgia di MACBETH, LE COSE NASCOSTE di Angela Dematté, Carmelo Rifici e Simona Gonella, divisa in Prologo, Epilogo e tre capitoli titolati con le fasi lunari, è complessa, profonda e reale. Partendo dal testo originale di Shakespeare, intreccia il lavoro di indagine personale del gruppo di attori con lo psicanalista Giuseppe Lombardi, per scoprire e rivelare al pubblico ciò che il racconto archetipico di Macbeth smuove nel profondo. C’è un legame sotterraneo tra le biografie degli attori e i temi del Macbeth, attraverso dei richiami più o meno espliciti della rappresentazione, che a volte trovano compimento nella messa in scena del testo, altre volte restano espressi, ma irrisolti. Mescolando la trama di tre coppie di Macbeth con le confessioni degli stessi attori davanti allo psicoanalista, sempre presente in video, la logica delle connessioni spesso si perde a favore di una suggestione emozionale che coinvolge lo spettatore tanto nella narrazione delle vicende personali quanto nella rappresentazione delle azioni di Macbeth.

Come una sorta di antefatto la lettura in scena della lettera – così come anche Lady Macbeth legge la lettera del marito di ritorno dalla guerra – con cui Carmelo Rifici invita gli attori a mettere in gioco la propria parte più personale, partecipando alle interviste nello studio di Lombardi. Partendo dalla domanda “che cosa l’ha colpita del Macbeth?” ciascuno fa emergere le proprie paure, i propri ricordi, gli elementi in risonanza con i tanti temi del dramma: la violenza, l’amore, l’ambizione, il desiderio; il potere femminile, la seduzione, la maternità espressa o negata; la forza e la fragilità umana; il rapporto col divino, col sovrannaturale e le tradizioni arcaiche; le proprie origini, il debito nei confronti dei genitori e allo stesso tempo il senso di colpa e la necessità di rompere quel legame. I troni dei Macbeth, semplici sedie da regista, rigorosamente nere come tutta la scena, ospitano gli attori, uno dopo l’altro, come fossero lettini dello psicanalista, accogliendo e condividendo col pubblico il rapporto col Male e con la propria zona d’ombra inconscia o nascosta.

Senza cesure nel flusso scenico, lo sguardo clinico si percepisce anche quando l’immagine del Dottor Lombardi scompare dal video, prima imprigionato nei movimenti ciclici dei frame proposti, riferibili alle installazioni di Bill Viola. Un deus ex machina che insieme a Simona Gonella e Angela Dematté, in alternanza nel proscenio, accende un processo di ribaltamento dell’immedesimazione. Le crepe dell’anima, di un passato personale che emerge preponderante sul palco, si riempiono del dramma shakespeariano, invadente con la sua prepotente energia. Ogni tentativo di lavarselo via di dosso è inutile, non basta nemmeno l’acqua che insistentemente imperversa sul palco formando una pellicola scivolosa. Non manca neanche il sangue di cui gli attori si vestono attingendo dalla tinozza al centro della scena in primo piano dove è stato raccolto, dopo aver sacrificato il vecchio Duncan, capro assassinato sull’altare della cupidigia e della superstizione. Bagnarsi col suo sangue significa rivestire il ruolo di quel Macbeth e di quella Lady Macbeth che hanno in loro qualcosa di diabolicamente attraente per cui ricoprirlo rappresenta per gli attori la via per lasciar sfogare la tensione oramai scomoda ed ingombrante in quelle crepe occupate dal personaggio.

Scenografia e costumi: quando la scena si fa significante

La scena di Paolo Di Benedetto, realizzata dal Laboratorio di Scenografia Bruno Colombo e Leonardo Ricchelli del Piccolo Teatro di Milano è in leggera pendenza, incorniciata da alte quinte nere e un fondale con trasparenze scure. Il palco dall’ingresso della prima attrice, si ricopre di una pellicola d’acqua che scorre incessante verso il pubblico. L’acqua lo invade come i racconti degli attori invadono emotivamente gli spettatori: una sorta di liquido ancestrale, amniotico, originario dell’inconscio.

Sul fondo, oltre lo schermo diviso in tre parti con la videoproiezione dello studio di Giuseppe Lombardi, il fondale nero lascia trasparire i passaggi degli attori con un sapiente gioco di luci curate da Gianni Staropoli, fino a trasformarsi nel bosco di Birnam, rosso di sangue, illusione che avanza verso Macbeth sul finale, come le streghe avevano profetizzato. L’acqua, elemento purificatore, si tinge delle uccisioni, per i violenti schizzi che fuoriescono dalle due tinozze poste sul limitare della scena, in cui i protagonisti immergono le mani ad ogni omicidio: “non saranno mai bianche queste mani”. Il puro, l’innocente perde la vita nel nero e nel rosso.

Tanti i significati anche nella scelta dei costumi di Margherita Baldoni: Macbeth in pantaloncini neri corti come un ragazzino immaturo che fa le bizze per avere tutto e subito, i vestiti bianchi sporchi di sangue di Banquo al ritorno dalla guerra, o quando appare fantasma al banchetto in onore di Macbeth. Notevole l’uso delle corone di Alessandro De Marchi che da orpello simbolo di maestà, divengono bende a rendere cieche le streghe, capaci di vedere oltre il possibile umano.

La continuità con la drammaturgia di Rifici-Dematté

Molti gli elementi di continuità con IFIGENIA, LIBERATA, la precedente produzione di Carmelo Rifici (intervistato per Gufetto qui): l’utilizzo di un classico per indagarne i significati e i temi contemporanei; il meta-teatro mettendo in dialogo diretto gli attori con il pubblico, rendendolo partecipe e attivo; il tema della violenza come elemento centrale della classicità, così come dell’oggi.  MACBETH, LE COSE NASCOSTE è un concentrato di significati, rimandi, citazioni, ricco e denso, tanto da rendere la fruizione a tratti faticosa, anche se in modo diverso rispetto ad Ifigenia, questo aspetto della “spiegazione del lavoro” che sta alle spalle della messa in scena è presente.

Molti gli elementi che si chiede al pubblico di seguire contemporaneamente: la trama di Macbeth interrotta a più riprese, i vissuti personali degli attori in dialogo con le scene di Shakespeare; il video sempre acceso che propone oltre all’interno dello studio di psicanalisi, anche molte altre immagini, il cui legame con la scena non è sempre immediato, fino a dividersi in tre parti con figure deformate; gli elementi simbolici presenti sulla scena – l’acqua, il sangue, i rituali delle streghe, perfino la lenta discesa di un arcolaio nel centro della scena nell’epilogo.

Uno spettacolo così articolato e multiforme porta con sé non solo le emozioni del momento della messa in scena, ma richiede anche lo spazio dell’approfondimento, della riflessione, dello studio, senza il quale molti aspetti potrebbero scivolare via incompresi. Per questo la pubblicazione del testo MACBETH, LE COSE NASCOSTE ed. Casagrande, arricchito di interviste e appunti di lavoro, in vendita all’uscita della sala – bella consuetudine dei teatri europei – è uno strumento prezioso e indispensabile.

Il cast attoriale tra ritualità classica e scambi di ruoli

Tre streghe, tre Macbeth, tre Lady Macbeth, poi Banquo e il figlio Fleance e il figlio di Macduff, innocenti, sacrificati e sacrificabili: gli attori – Alessandro Bandini, Alfonso De Vreese, Angelo Di Genio, Tindaro Granata, Leda Kreider, Maria Pilar Pérez Aspa, Elena Rivoltini – davvero  tutti meritevoli di una speciale menzione – interpretano i personaggi a turno e passano dalle streghe ai protagonisti senza soluzione di continuità, scambiandosi i ruoli di volta in volta, alternati ai racconti del proprio vissuto personale.

Fino all’atto finale dove sono in scena le tre coppie e l’ultimo figlio superstite (interpretato da Alessandro Bandini), investito del ruolo di Ecate, regina delle streghe, la divinità dell’oltretomba, del magico, della Luna e de Le cose nascoste, a cui è affidato il monologo finale. Tre è un numero magico legato ai rituali sacerdotali e criptici del mondo sovrannaturale delle Streghe, ma anche alla fascinazione tutta terrena, cioè all’invidia provocata dal desiderio di ottenere ciò che è di qualcun altro, fino al malocchio. A Tindaro Granata, che raccolglie l’eredità sciamanica della nonna siciliana, il compito di unire quel mondo arcaico, sacro, ancestrale della Sicilia più profonda, coi suoi riti magici, e il mondo terreno, concreto e razionale dell’uomo moderno, della civiltà, in cui vivono anche i personaggi di Macbeth e Lady Macbeth alla ricerca folle e insensata di ottenere senza morale i propri obiettivi. Nella ritualità cruenta e violenta della scarnificazione del maiale dell’epilogo vediamo rappresentata questa unione terrificante fino a far appendere il figlio di Macduff per i piedi come un maiale scuoiato, un agnello sacrificale al tempio di Ecate.

La vendetta di Macbeth. La vita degli attori

Al termine della rappresentazione usciamo consapevoli che non tutti i tasselli di una drammaturgia così complessa sono al loro posto nella nostra mente e sappiamo che questo spettacolo merita attenzione e riflessione. Solo dopo qualche giorno (e con l’aiuto del testo integrale, a dire il vero) capiamo che serve metabolizzare su un altro piano, non solamente cognitivo. Ci rendiamo conto di essere stati passeggeri di un treno che ha attraversato i secoli, partendo dalla classicità fino a Jung passando per l’opera del Bardo. Ma non solo: il convoglio ci ha guidati tra quelle crepe dell’anima che gli attori hanno palesato al pubblico e in questo modo anche noi usciamo bagnati di quel sangue che imperversa in scena. Non certo il sangue di una vittima ma quello che scorre nelle vene, linfa vitale che preserva il nostro essere umani. Perché se Macbeth è un testo che racconta di morte e di vendetta, quello che abbiamo visto è invece uno spettacolo fatto di vita, che merita di essere vissuta nonostante le brutture.

MACBETH, LE COSE NASCOSTE

di Angela Dematté e Carmelo Rifici
tratto dall’opera di William Shakespeare
dramaturg Simona Gonella
progetto e regia Carmelo Rifici
équipe scientifica Dottore Psicoanalista Giuseppe Lombardi e Luciana Vigato
con (in ordine alfabetico) Alessandro Bandini, Alfonso De Vreese, Angelo Di Genio, Tindaro Granata, Leda Kreider, Maria Pilar Pérez Aspa, Elena Rivoltini e con (in alternanza) Angela Dematté e Simona Gonella
scene Paolo Di Benedetto
costumi Margherita Baldoni
musiche Zeno Gabaglio
disegno luci Gianni Staropoli
video Piritta Martikainen
assistente alla regia Ugo Fiore
scene realizzate dal Laboratorio di Scenografia Bruno Colombo e Leonardo Ricchelli del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
costumi realizzati presso Laboratorio di Sartoria del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
corone Alessandro De Marchi
produzione LAC Lugano Arte e Cultura 
in coproduzione con Teatro Metastasio di Prato, TPE – Teatro Piemonte Europa, ERT – Teatro Nazionale in collaborazione con Centro Teatrale Santacristina
partner di ricerca Clinica Luganese Moncucco

Teatro Metastasio di Prato
sabato 4 dicembre 2021

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