Un noir dai contorni sfocati e volutamente indefiniti, così potremmo definire L’UNICA COSA POSSIBILE diretto da Francesco Prudente e Giulia Aleandri con Iris Basilicata e Eleonora Gusmano, già visto nella versione PILLOLE che gli era valso il passaggio in Cartellone al Teatro Studio Uno, la settimana scorsa.
Uno spettacolo che oscilla -sempre piuttosto incautamente- fra il giallo ed il thriller, incentrato com’è su un fittizio fatto di cronaca nera, un omicidio a Londra in un appartamento di ragazzi “fuorisede”: coinvolte due ragazze (in scena), un uomo e della droga per caso e per casa, il tutto riletto attraverso le voci e i corpi di una impeccabile Iris Basilicata e di una ritrovata Eleonora Gusmano.
Un tavolo e due sedie in scena bastano per proiettarci nel piccolo e fumoso appartamento londinese dove le due coinquiline protagoniste sviluppano il racconto dell’omicidio e della storia di dipendenza e spaccio che c’è sotto, oltre ad alludere alle vicende sentimentali e sessuali che li legano l’un l’altra. La dinamica dell’omicidio così come del rapporto sessuale di una delle due con la vittima è continuamente al centro dei dialoghi, degli scambi di accuse e delle ricostruzioni delle due voci (ma il flusso di coscienza richiamato nei comunicati stampa qui non centra). L’atto omicida e sessuale è ripetuto più volte nelle sue dinamiche esecutive, quasi che si tratti non già di una realtà narrata ma a tratti di un racconto inventato o da inventare, da correggere o limare; a tratti sembra quasi un fatto avvenuto solo nelle menti delle protagoniste, a tratti invece pare un fatto del tutto irrilevante rispetto alle reali motivazioni ed alle reali personalità di vittime e carnefici.
Le basi per uno spettacolo curioso quanto complesso ci sarebbero tutte, ma la resa registica risulta (inutilmente) più complessa e indecifrabile di quanto dovrebbe essere in realtà. Il punto focale debole è la drammaturgia, piuttosto fumosa e incerta su come trattare il fatto centrale alla base dell’intera vicenda (l’omicidio), trincerandosi dietro la domanda spinosa su quale sia l’ “Unica cosa possibile“ da fare dopo un omicidio per coloro che ne sono state coinvolte, e appellandosi alla voluta indefinibilità e frammentarietà dei ricordi legati ad un evento traumatico, ricostruisce in un continuo disturbante flashback inframezzato da un cupo rumore di fondo, le vicende senza un filo narrativo univoco.
La continua astrazione delle protagoniste dalle vicende narrate non aiuta poi certo alla comprensione dei fatti. I continui cambi di voce e di orizzonte narrativo ostacolano sia l’identificazione univoca che l’immedesimazione nei rispettivi personaggi nonchè la percezione della funzione che quel personaggio dovrebbe avere nella vicenda.
Lo stesso ripetersi delle dinamiche arricchendole di particolari ha l’effetto di confondere e disorientare lo spettatore che si trova davanti una massa narrativa che potremmo definire “informe” ma tale non è, quanto piuttosto “plasmabile” e volutamente “oscura” non perchè “noir” e nemmeno troppo complicata nell’intreccio (come siaddice al giallo) ma perchè fumosa e non marcata (contrariamente a quella dei gialli che invece è contorta ma non irriconoscibile).
Tuttavia, questa massa, che è piuttosto anche una matassa narrativa di cui non si trova un filo, è registicamente migliorabile da una regia più attenta, che con forza e non senza qualche sacrificio, abbia il coraggio di depurare il testo da ripetizioni, ridondanze (ne è pieno) astrazioni ingiustificate, vagheggiamenti romantici non del tutto spiegati e per questo “appesi” e sfuggenti o comunque non del tutto funzionali al corpo del racconto, premiando invece la meta-narrazione laddove necessaria e scegliendo quale sia lo scopo di questa narrazione, cosa ci sia sotto realmente (è una narrazione reale o la falsariga di un plot da romanzo?).
Così com’è lo spettacolo è un prodotto che dunque, potenzialmente, può diventare altro e rendersi comprensibile e interessante, ma deve scegliere dove andare a parare: che caratteristiche assumere (giallo? Noir? Oppure thriller?) e quali aspetti lasciare emergere attorno al fatto narrato, chiarendo i rapporti fra le due interpreti, i personaggi in casa e quelli rimasti fuori dalla porta ed il ruolo maschile (a nostro avviso non serve la sua presenza fisica, ma dovrebbe sentirsi la sua presenza scenica).
Nulla da eccepire riguardo invece la recitazione delle interpreti: ritroviamo una Gusmano notevolmente migliorata ripetto ai primi lavori, più consapevole nella voce e nella mimica, mentre Iris Basilicata conferma la sua bravura, la padronanza della scena, la capacità di cambiare registri e giocare col proprio corpo, seducente e conturbante come il testo esigerebbe (o dovrebbe esigere).
Le ostacola entrambe un testo che non cattura abbastanza chiaramente le rispettive personalità, le intrappola in un appartamento in cui non è chiaro se convivano amabilmente o siano antagoniste o forse amanti, o complici o entrambe succubi.
Buone invece le interazioni fra le due e l’utilizzo delle suppellettili di scena (in particolare nella scena della sedia): c’è dietro un buon lavoro sulla sincronia performativa delle due, che risultano affiatate sebbene di coporature e fiati diversi. Ed eppure questa buona sincronia rischia di venir vanificata da un testo oscuro e quasi introspettivo, pieno di sovrapposizioni narrative e di voci (e non sono la stessa cosa) che inficiano la buona riuscita di uno spettacolo da rielaborare in un’ottica nuova, più semplice, che non perda quella carica recitativa di partenza che potrebbe invece, far ben sperare.
Info:
L’unica cosa possibile
diretto da Francesco Prudente e Giulia Aleandri
con Iris Basilicata e Eleonora Gusmano
musiche Temporeale
Teatro Studio Uno (Sala Teatro)
Via Carlo della Rocca 6, 00177 Roma
Dal 4 al 7 gennaio (giov. – sab. ore 21.00/ dom. ore 18.00)
Ingresso 12 euro (ingresso riservato ai soci)
tessera associativa gratuita
Evento fb: https://www.facebook.com/events/188465471737326/