Lo spettacolo #LORO – Uno di questi giorni prenderemo qualcuno e lo sbraneremo, di Gabriele Linari ha letteralmente infiammato il Teatro Cometa OFF dove è andato in scena nei giorni scorsi. Protagonisti i giovanissimi attori del Centro Giovani e Scuola d’Arte MaTeMù, laboratorio di idee e iniziative aperto ai ragazzi dagli 11 ai 25 anni gestito da CIES onlus (vedi sotto) che firma la produzione, e rende possibile, con un impegno sincero, questo percorso attoriale seguito da Linari che sta così ben formando una generazione di promettenti attori.
Il risultato lo si è visto chiaramente: #LORO va oltre il semplice “saggio” di fine anno, è un lavoro che nulla ha da invidiare ai lavori di compagnie professionisti per spirito, per convinzione, per ricerca espressiva e registica (semplice ma efficace). Certo, l’età degli interpreti implica un’esperienza recitativa inferiore (almento temporale) e non omogenea; nondimeno, l’impegno, l’intensità ed una certa voglia di mettersi in discussione dei ragazzi, la testa alta nell’affrontare la scena ad occhi aperti, senza sfuggire al rapporto col pubblico rendono questo spettacolo un ottimo successo di cui fare vanto, da ricordare. E anche da tenere come lezione personale quanto al tema esposto.
#LORO affronta infatti l’odio in rete, il fenomeno degli Haters in tutte le sue varianti semantiche (hate-speech, vamping, craving, exclusion); un fenomeno che si impone sempre più prepotentemente (!) proprio fra la generazione dei “Millennials” cui gli stessi attori appartengono (e non solo); gli altresì detti baby boomer che del fenomeno haters sono al contempo vittime ma spesso anche protagonisti.
Significativo, in tal senso, che gli stessi ragazzi della Compagnia abbiano aggiunto i pensieri da loro stessi trovati in rete alla già profonda drammaturgia di Linari: un testo, quello recitato, ricco di domande (le stessi che vorremmo che questi ragazzi si facessero) e di espressioni di odio da cui sembra emergere una certa insensatezza di fondo, una cecità direzionale vera e propria (il bersaglio può essere una zingara o semplicemente una persona felice), un’occasione bieca per dare sfogo ad un disagio interiore, quasi un grido d’aiuto di una generazione, quella Generazione Y o “Net generation” che si nasconde dietro delle maschere che azzerano le rispettive identità.
Lo scrutiamo nei loro occhi – o almeno così ci pare che il regista ce lo suggerisca – questo odio che nasce (oltre che dalle condizioni socio-economiche) anche dalla noia e dal senso di solitudine che, a nostro avviso, vive maggiormente questa generazione pur crogiolandosi (per assurdo) nella maggiore possibilità di essere telematicamente connessa con il resto del mondo.
Quanto siamo però realmente insieme agli altri? Forse lo siamo meno di prima, pur avendo moltissimi Amici di rete. Eppure, siamo tutti soli a digitare, nel cuore della notte nella nostra piccola postazione illuminata solo dalla fioca luce dello schermo, ci suggerisce una delle immagini costruite da Linari.
E sono le immagini di solitudine e di rabbia quelle che restano più impresse, ancor più che le provocazioni verso il pubblico e le tante riflessioni di cui si compone la messa in scena, che non scade in nessuna pretesa pedagogica, nè sfrutta clichè già ampiamente visti, divertendosi invece a giocare con le luci e le ombre, con pochi oggetti scenici racchiusi negli zaini e con quei banchi bianchi, perno dell’intero impianto drammaturgico.
Ogni ragazzo ha assegnato un banco, che rimanda istintivamente al mondo scolastico in cui questa generazione di hater viene fatta vivere, ma al tempo stesso ogni seduta è al tempo stesso metafora della postazione telematica che ognuno occupa in quel fantastico e terribile mondo che è la rete social: il campanellino attaccato ad ogni tavolo viene fatto trillare in occasione di un like, una manifestazione di approvazione all’odio che sembra più sinistra tanto più il suono che ne deriva è invece cristallino. Lo stesso banco si trasforma in uno scudo protettivo dal mondo, un isolamento disperato e potente.
Quando sono dinnanzi al pubblico, i ragazzi sorridono forzatamente come si richiede sui social, interagiscono fra loro scambiandosi bigliettini o sussurrandosi all’orecchio (ispirandosi alle odierne messaggistiche private), ma non parlano mai veramente insieme (“Due libertà non possono mai parlarsi veramente” si afferma ), mai col cuore, quanto piuttosto si punzecchiano con frasette secche e acide piene di supponenza, si infuriano smarrendo, di fatto, l’ingenuità che dovrebbe essere loro propria. Ognuno racconta invece al pubblico una storia, un proprio disagio, la sua verità odiosa: il periodo delle battute si distende, diventa più complesso e ragionato, le riflessioni sono spesso spietate, a volte sfruttano semplici artifici (l’uso di una cornice vuota intorno alla testa richiama le icone dei profili social), confondendo quelle che potrebbero essere pensieri da post (“A cosa stai pensando?”, “a cosa stai pensando?” si ripete ossessivamente citando il mantra di Facebook che ci chiede una risposta che spesso sarebbe meglio non dare), con le reali riflessioni di un teen ager che non sa bene neanche perchè odia, ed eppure lo fa (“La gioia…basta! basta! Basta!” si grida).
La regia di questo spettacolo ha saputo ben gestire gli interpreti dando loro uno spazio di autonomia e diversi livelli di interazione reciproca. L’attenzione degli attori è rimasta vigile, buone le pause e i monologhi risultano eseguiti con cura. I momenti più grevi e amari sono accompagnati da parti più leggere dai toni solo apparentemente distesi, perchè questo spettacolo invita a riflettere sempre, tira di gomito sullo stomaco dello spettatore, lo induce forse a capire quanto di odio c’èanche dentro di sè, anche se negato, e quanto pericolosa può essere una Rete nel quale riversarlo restando impunito.
Ci colpisce come questa rabbia messa in scena, in tutte le sue formule espressive e varianti dialogiche, sia fondamentalmente “un cedimento della mente” che porta allo smebramento finale (richiamato nel titolo) di un giovane che vuole vivere senza odiare, che vorrebbe recuperare la spontaneità, metafora più oscura del cyberbullismo – estremo risvolto del consueto bullismo – che domina gran parte della nostra vita scolastica, ma anche (non dimentichiamocelo) lavorativa.
Una nuova forma di sobillamento spesso collettivo, che in rete sfocia nell’annientamento dell’altro, che null’altro è che la paura del diverso, che questo possa darci una verità che non ci piace, che sveli la nostra pochezza d’animo.
Al termine dello spettacolo ci resta un’amarezza (forse generazionale) legata al non comprendere esattamente l’origine di questo vuoto di fondo che genera la rabbia. Non sembra esserci neanche un riscatto, se non pensando allo spettacolo stesso come un fondamentale atto di denuncia, un passo in avanti per non arrendersi al cedimento della mente.
E quel “fermiamo il terrore con il sospetto” è dunque il monito e la speranza, che ci portiamo a casa, insieme ad una bella lezione di vita.
Info:
COMETA OFF
8 | 11 GIUGNO 2017
CIES, MaTeMù e Labit presentano
#LORO
Uno di questi giorni prenderemo qualcuno e lo sbraneremo
Con Tiziano Di Paolo, Janet Ferramo, Jaclin Gallo, Ailen Mecchia, Janette Isabel Mecchia, Salima Khan, Carlotta Petruccioli, Sofia Pittaccio.
Testo e regia Gabriele Linari
con il contributo di Marco Andreoli e degli attori in scena.
Contributi musicali originali Andrea Pantaleone e Cristiano Urbani
Aiuto regia Adriano Rossi
Produzione CIES: coordinamento generale, assistenza alla regia, assistenza di palco e supporto alle attività laboratoriali realizzati dagli operatori di MaTeMù e dallo staff del CIES.
MaTeMù
MaTeMù è il Centro Giovani e Scuola d’Arte del Municipio Roma I Centro, ideato e gestito dal CIES Onlus. E’ un laboratorio di idee e iniziative aperto al territorio, un luogo in cui i ragazzi di tutte le culture e provenienze possono esprimere la propria creatività, vivere in modo diverso il tempo libero, trovare ascolto e sostegno. È un posto dove tutte le differenze sono viste come valori e stimoli per esplorare nuove possibilità. Nel cuore del quartiere Esquilino, a un passo dalla fermata Metro A Manzoni, Matemù accoglie ragazzi dagli 11 ai 25 anni offrendo attività e servizi di vario tipo: giochi, corsi di musica e strumento (sax, chitarra, batteria), laboratori di rap, canto, danza e teatro oltre ad assistenza scolastica e psicologica e corsi di italiano L2 per stranieri. L'ingresso al Centro e la partecipazione alle attività è a titolo totalmente gratuito. Matemù coniuga integrazione e creatività, formazione e attività ricreative in un clima vivo e attivo.
IL CIES ONLUS
Il CIES onlus è un’Organizzazione Non Governativa (ONG) Onlus che ha come scopo sociale la promozione dei valori della solidarietà e della cooperazione, sia nelle sue attività nazionali sia in quelle internazionali. In Italia: Immigrazione, mediazione interculturale, educazione alla cittadinanza mondiale, formazione, comunicazione e sensibilizzazione al dialogo interculturale. Ecco gli ambiti su cui siamo impegnati per diffondere la conoscenza dei paesi d’origine degli immigrati e favorire la loro integrazione: laboratori nelle scuole; organizzazione di mostre, dibattiti e rassegne; realizzazione di corsi di formazione per giovani e adulti ;attività ludico-didattiche, di orientamento e di sostegno psicologico per giovani italiani e stranieri.
Gabriele Linari
Gabriele Linari è attore, regista e insegnante di teatro. Inizia a recitare nel 1994, ancora studente del liceo. Nel 2004 si Laurea in Arti e scienze dello Spettacolo presso La Sapienza di Roma. Lavora e si forma con registi, autore e pedagoghi teatrali come: Giancarlo Sepe, Michele Monetta, Gennadi Bogdanov, Piero Maccarinelli, Giuseppe Manfridi, Giuseppe Marini. Nel 2002 fonda la Compagnia Teatrale LABit, una delle realtà più proficue del panorama indipendente romano.
Insegna teatro a Roma presso: Liceo Aristofane, Liceo Lucrezio Caro, Scuola di Teatro La Scaletta, Centro Matemù. Ha tenuto per due anni consecutivi seminari presso la Goldsmith University di Londra (Progetto Erasmus Roma Tre e Università Gregorio VII). I suoi spettacoli sono andati in scena presso: Teatro
Piccolo Eliseo, Ambra Jovinelli, Vascello, Furio Camillo, Orologio, Argot, Quarticciollo, Villa Torlonia e molti altri. Il suo impegno (dal 2002) sulla riscoperta delle opere di Ennio Flaiano territoriale nel quartiere Montesacro ha portato il Municipio, nel 2002, a intitolare all'autore l'a Biblioteca Comunale di Via Monte Ruggero e ad affiggere una targa commemorativa presso l'abitazione di Flaiano in via Montecristo. Ha collaborato e collabora con la Biblioteca Cantonale di Lugano, Fondo Flaiano. Per la TV ha partecipato come attore a due spot televisivi (TIM e Banco AmbroVeneto) e diverse fiction (l'ultima “Che dio ci aiuti”;, RAI, 2016).