LITTLE BOY @ Teatro Cantiere Florida: la colpa di uno, nessuno, duecentomila vittime

Debutta al Teatro Cantiere Florida, inaugurando la stagione di prosa, l’ultimo spettacolo del Teatro dell’Elce LITTLE BOY – Corrispondenza tra il filosofo Günther Anders e Claude Eatherly, maggiore della Air Force americana, il pilota che ha dato il via alla bomba di Hiroshima. Repliche dal 3 all’8 dicembre per la rassegna Teatro Solare di Fiesole.

a cura di Chiara Guarducci e Alice Capozza

Una mela rossa, quella che campeggia sulla locandina dello spettacolo, ci viene offerta all’ingresso: veleno per Biancaneve, tentazione di Eva, rimedio salutista, si trasforma in ciondolo incantatore, atomo e ordigno distruttivo, umanità da centrifugare, colpa da disintegrare. Little boy come la bomba atomica, little boy come il pilota che la sganciò su Hiroshima, che resta chiuso in un cerchio: box per bebè, cella di manicomio, abitacolo dell’aereo. L’infanzia è evocata fin dall’inizio con una ambigua atmosfera sospesa da fiaba, sia nella mela e le sue molteplici funzioni significative, sia nel gioco del dibattito epistolare tra Claude Eatherly, il pilota e Gunther Anders, il filosofo, quasi sempre affiancato dalla moglie: tre personaggi, interpretati da attori con gran capacità fisica e trasformativa, Erik Haglund, Stefano Parigi, Monica Santoro diretti da Marco di Costanzo. In LITTLE BOY l’infanzia è un paradosso, ormai completamente tradita, mostra la totale irresponsabilità a cui ci hanno educato.

Di responsabilità morale dell’intera umanità si tratta, di colpa incolpevole di cui la tecnicizzazione dell’esistenza ci ha dato il peso: come rotelle di una macchina, siamo destinati a compiere azioni di cui non abbiamo più il senso delle conseguenze. Cliccare un tasto, mettere un like, spingere un bottone, scrivere un commento, dare il via alla bomba, sono azioni di cui non conosciamo le conseguenze perché non le vediamo: cambiamo pagina, invertiamo la rotta, proseguiamo incoscienti delle nostre azioni. Così l’atto singolo del pilota si innesta in un meccanismo di comandi che funziona alla perfezione, determinando la morte di duecentomila esseri umani. Claude Eatherly è un perfetto simbolo del futuro, la cui azione ha messo di fronte l’umanità all’impossibilità di concepire la responsabilità personale nel quadro generale e collettivo dell’accaduto. Ma un granello inceppa la macchina: il soldato della Air Force non regge, non accetta la manovra di occultamento che il mondo cerca di attuare. Dolore e pentimento restano necessariamente inadeguati per una colpa troppo grave.

Il soggetto di questo lavoro è una scelta audace e raffinata. Le lettere vengono vissute e animate dagli attori, con reazioni umane di accoglienza o avversione. Le parole cariche delle emozioni sottostanti muovono i corpi, e la mole di concetti che ci travolge è vibrante della regia piena di invenzioni spesso ironiche: destinazione riuscita. Sulla scena cumuli di libri, metafora di pensieri e avanzi di città, libri che verranno spostati continuamente dagli attori per diventare cella, letto, manicomio, strada di parole, formazione e disfatta di tentativi, gabbia di sapere, ospedale da cui non poter uscire. I libri sono come monumenti, le cui parole volano in scena cariche della propria forza di senso. Ci portiamo a casa una girandola di domande. Anche il centro dell’epistolario e dello spettacolo in fondo è una domanda. Come uscire dalla piccola misura della propria individualità e dalle istanze di sopravvivenza personale per una causa più grande e necessaria: la salvezza del genere umano. Niente di più attuale, data la passività totale in cui viviamo, con inerte obbedienza, il deteriorarsi della società. Passività giustificata dalla delega a istituzioni morali e politiche, che hanno tradito il proprio ruolo di guida. La frammentazione delle competenze ci assolve (dividi et impera), come nel caso di Hiroshima: se si tratta di scienza non può riguardarci, e cosa potrebbe mai fare l’esecutore di un ordine? Nel sentirsi in colpa dimostra la sua sanità mentale e un importante residuo etico. Se oggi possiamo essere distrutti in blocco come umanità è assurdo credere alla competenza della catastrofe è ridicola e spaventosa la possibilità del clero dell’apocalisse, dobbiamo opporci perché ognuno di noi appartiene all’umanità minacciata, ma la prospettiva di specie sembra rimossa. È necessaria una nuova morale contemporanea, aggiornata all’apocalittica forma di caducità dell’umanità intera ad opera dell’uomo stesso. È il filosofo Gunter Anders a scriverlo nei Comandamenti dell’Era Atomica, testo recitato in scena dalla moglie come una lezione, mentre fa a pezzi una mela, la getta nel frullatore, la centrifuga per farne salutare succo da far bere al malato Claude.

Il filosofo immerge il pilota nel vivo della contraddizione e lo guida in una serie di orrori postumi: lei è condannato a passare per malato piuttosto che colpevole. Il patto in cui Gunther coinvolge Claude è vivere per salvare l’umanità. Abbracciare la causa necessaria della Pace per salvaguardare la conservazione della specie umana. Creare una rivoluzione: il vostro No More Hiroshima è anche il nostro No More Hiroshima. E ogni soluzione risulta impossibile. Far sospendere agli scienziati il lavoro sulle armi atomiche? Inutile: ce ne saranno altri disposti a farlo.

Esser riconosciuto egli stesso come vittima diventa presto una barzelletta, un’opportunità mediatica hollywoodiana, di facile masticazione e azzeramento. E da questo punto aumentano le scene di esilarante bellezza e provocazione. Un Claude tentato dal successo che ballando con occhiali da sole rende la parodia del successo stesso, il filosofo ne caldeggia l’autobiografia perché la sua esperienza tragica non venga manipolata. L’azione di Claude di saltare sui libri messi via via dagli altri, rappresenta la stesura accidentata del suo testo e assistiamo a un gioco acrobatico surreale e poetico. Veniamo trascinati dentro uno scambio dialettico sempre più serrato, acceso e drammatico. I tentativi falliscono, il protratto internamento di Claude è l’evidenza della decisione dei piani alti di farlo tacere e nascondere con lui lo scandalo. Il cerchio intorno al pilota si stringe.

È un delirio a due? Tentare di impedire la totale autodistruzione è solo un delirio? Cosa può ognuno di noi o come sopportare di non poter niente? Salvare le donne e gli uomini in mare, manifestare per il clima, scioperare contro una multinazionale, chiedere giustizia per Cucchi, Regeni e quanti altri, marciare per la Pace, credere che un mondo migliore è possibile, tutto questo è da matti? No. Non possiamo permettere che il pensiero del fallimento certo ci riduca atomi isolati, impotenti, irresponsabili, disinteressati a ciò che ci circonda. Sarebbe stupido e colpevole. Questa rinnovata e originale attenzione sulle domande che L’ultima vittima di Hiroshima ci pone, realizzata dal Teatro dell’Elce con toni immaginifici e tutt’altro che retorici, è una proposta straordinaria: una folta e vivace riflessione sulla relazione tra individuo e specie, tra uomo e macchina, tra responsabilità e battaglia, e soprattutto un focus sull’inquietante dimenticanza, prima che possa realmente accadere il nulla unico.

Info:LITTLE BOY
Corrispondenza tra il filosofo Günther Anders e Claude Eatherly, il pilota di Hiroshima
Adattamento e regia Marco Di Costanzo
con Erik Haglund, Stefano Parigi, Monica Santoro
suono Andrea Pistolesi
scene e luci Beatrice Ficalbi
costumi Laura Dondoli
organizzazione Carolina Pezzini
produzione Teatro dell’Elce
residenze artistiche FLOW – Teatro Cantiere Florida, Fondazione Fabbrica Europa – PARC Performing Arts Research Centre, Le Murate Progetti Arte Contemporanea, AttoDue, Archètipo Associazione Culturale con il sostegno di Regione Toscana, Fondazione CR Firenze, Armunia – residenze artistiche Castiglioncello

Teatro Cantiere Florida
8 novembre 2019
Prima Assoluta

Vedi le recensioni di Gufetto Firenze delle produzioni del Teatro dell’Elce: Appunti di un pazzo, Il NemicoCinquanta

image_pdfSCARICA QUESTO ARTICOLO IN FORMATO PDF