Il 20 Giugno presso Villa delle Ginestre a Torre del Greco, Napoli, è andato in scena l' emozionante esordio dello spettacolo scritto e diretto da Mirko Di Martino, prodotto da Il Demiurgo e da Il teatro dell'osso in collaborazione con Teatro TRAM e Classico Contemporaneo.
L'ultimo giorno di primavera, l'ora del crepuscolo e l'odore polveroso del terriccio inducono lo spettatore che raggiunge Villa delle ginestre ad accogliere lo spettacolo che sta per avere inizio: qui Leopardi soggiornò e compose le Operette morali, dieci delle quali sono state scelte per la trasposizione teatrale che percorre il delicato sentiero che affronta il desiderio di felicità di ogni vivente, il dolore, la morte, il rapporto dell'uomo con gli altri uomini e con l'universo.
L'attenzione del pubblico, dopo aver vagato dal Golfo di Napoli al Vesuvio, è catturata dallo spazio antistante il portico di architettura neoclassica che fa da quinta alla scena: lo sguardo inciampa quindi su una poltrona barocca consunta e un tavolo di fortuna. Varcando una porta, superano le colonne doriche Nello Provenzano e Antonio D'Avino, in abiti lisi e stropicciati: l'uno, coperti gli occhi da una benda, è accompagnato ad accomodarsi sulla poltrona dall'altro che si occupa di sistemare una valigia in terra.
Inizia così la rappresentazione della scommessa di Prometeo in cui il titano si rende conto, suo malgrado, della cattiveria propria della natura umana. E se gli uomini sulla terra sparissero? La natura sarebbe indifferente, come spiegano il Folletto e lo Gnomo, e data l'impossibilità di raggiungere la felicità, che viene argomentata nel Dialogo di Malambruno e Farfarello, perché cercare la vanità di una “pura vita” libera da ogni azione o passione forte e impegnativa, come evidenziano un fisico e un metafisico? Le mummie dello scienziato Ruysch riacquistano la parola per breve tempo e rivelano che il sonno è l'ombra della morte, per quanto difficile possa essere paragonare morte e vita, vita da svolgere in maniera appartata e lontana da ogni desiderio secondo l'islandese che dialoga con la Natura, nemica degli uomini a cui lei stessa ha dato vita, o vita da occupare viaggiando, come affermano Cristoforo Colombo e Pietro Gutierrez, nell'incessante ricerca del diverso e del nuovo. Il nuovo che sarà sempre uguale al vecchio malgrado le speranze che il venditore di almanacchi cerca di infondere al passaggere, e che sarà anche sempre inesorabilmente infelice, contrariamente alle teorie antropocentriche di quel tempo, come dice Tristano. La conclusione è affidata al Cantico del gallo silvestre che a ogni alba ricorda a tutti i viventi l'infelicità del vivere che si rinnova ogni mattina e la distruzione verso cui l'umanità tende.
Come l'animale gigantesco è sospeso tra cielo e terra, lo stesso sembra accadere alla scena naturale che fa da sfondo alla rappresentazione: i colori del tramonto accompagnano il susseguirsi dei dialoghi che i due attori di volta in volta inscenano dosando i toni della voce, enfatizzando le espressioni, caricando i movimenti utilizzando semplici oggetti di scena: una racchetta da pin pong, un cappello, una teiera, salendo sul tavolo e scendendone. Visivamente scandisce il progresso dello spettacolo il tramonto che rosseggia sempre più e uditivamente l'impiego di tracce audio, inserite dalla vigile aiuto regia Angela Rosa D'Auria, che permettono ai due attori di prepararsi per i personaggi che di volta in volta interpretano. Mirko Di Martino, come regista ma ancora più come drammaturgo, mostra la sua sensibilità e la sua discrezione nell'avvicinarsi ai testi filosofici che trattano la felicità e l'infelicità umana con una voce moderna e sincera, conservandone l'ironia e il tono riflessivo. I due attori indossano dei camici e della cenere viene versata sul capo di uno di loro per mostrarci figurativamente la chiusa dell'ultima operetta: verrà un tempo in cui l'universo e la stessa natura saranno spenti.