Il Teatro Ghione ha da sempre ospitato spettacoli di spessore e anche questa volta non smentisce la nomea, anzi la difende con un classico:LE NOTTI BIANCHE di Fedor Dostoevskij con Giorgio Marchesi e Camilla Diana e l'attenta regia di un figlio d'arte: Francesco Giuffrè.
Una luce conica bagna come un getto lento il protagonista già sul palco. Emerge plastico dal buio pesto della scena, e appena dopo fanno comparsa e sfondo i compagni fittizi del visionario scrittore solitario. Fantasmi della mente. E' una San Pietroburgo fredda e umida, notturna: il nostro coraggioso poeta si perde e si ritrova per le vie della bella città russa antagonista di Mosca.
Intanto il brusio è scemato e insieme le luci del giorno. I suoi amici sono ombre mozzate sospese o meglio appese, nell'idea registica di Giuffrè, tra la fantasia e la realtà. Quando lui passeggia come un ragno intrappola tutti dentro la sua portentosa ragnatela, parla con tutti e con nessuno, brinda col vino e col niente. Ma quando si sveglia e torna alla realtà sente il rumore assordante del silenzio. Quel riverbero di pensieri gli scuote anche l'anima. Giù sino alle viscere. E' pervaso dalla solitudine. Schiacciato dalla tristezza. La sua vita è una storia senza storia. Sogna di passare le belle giornate di primavera in dacia, fuori città; ma non ha amici. E' solo in compagnia della sua solitudine: l'unica cosa vera che possiede.
E' avviluppato dentro un loop che Giuffrè realizza magistralmente con la replica della prima scena. Il concetto è palesato: non ci sono dubbi. Il disagio dal sorriso amaro, il suo sapore, è già sulla bocca dello spettatore che inizia a provare quel senso scomodo di compassione per il protagonista della storia che intanto saltella e sorride tra i vicoli della sua vita senza vita. Irrompe in scena, bella come il sole a mezzanotte, Nasten 'Ka, qui per noi, Camilla Diana. La sua luce acceca il mite sognatore, che si innamora sul colpo. Non capisce. Non sa. Finora aveva solo amato le sue idee. L'amore l'aveva, dunque, “idealizzato”.
La questione, qui, è più seria, anzi reale. Non è, lo scrittore, davanti ad un'idea eterea, ma c'è carne rosa, profumo di giarrettiere, ossa pungenti, mani affusolate, occhi profondi più delle notti russe. C'è un mondo che ne vale mille di quelli sinora disegnati sul piccolo taccuino. Le idee che colleziona evaporano su richiesta del capriccioso favoliere. La realtà invece permane, si radica, saltella e ammicca. Adesso il dubbio fresco è se uscire dal limbo, dalla stazione. Nodo tra vita e timore stesso di vivere per davvero. Sopraggiunge l'atroce dubbio d'aver buttato la vita, almeno sino a quel punto. Sino a quelle notti bianche. Allora fruga tra la cenere per cercare il coraggio. Anche lei ha una paura speculare per intensità ma d'amalgama opposta. Sono come davanti uno specchio appunto: immagini riflesse e al contrario.
Nasten 'Ka è ancorata alla realtà da un cordone ombelicale di metallo e con la nonna… ed ha paura di innamorarsi e sognare. Li accomuna l'ansia d'aprirsi genuinamente a chi arriva e si presenta: bussa alla porta della vita. Si diranno, stringendosi le mani, che felicità è versare il cuore di uno nel cuore dell'altra. Un travaso di passioni che non può rimanere solo proprietà di quelle notti…
Tra le righe del gigante della letteratura russa troviamo tracce dell'eredità importante recapitata sino ad un giovane Cechov quando parla di Rubli e dacie (case di campagna) fuori città. Troviamo un Pirandello, quando ci parla delle sue maschere che l'essere umano indossa per sembrare d'aspetto migliore o quanto meno diverso. Quello che, dunque, urge all'abbisogna. C'è Russia. C'è passione. C'è verità in questo classico intramontabile che ci pare attuale più che mai se pensiamo a quanti si chiudono in solitarie esistenze preferendole al contatto epidermico. Esistenze alienate in anfratti bui di città, bui come i vicoli dove vaga il nostro ignaro personaggio della pièce.
Le luci sono giuste. Calde. C'è verità e calore, specie quando si alza una nebbiolina che resiste per parecchio tempo, accompagna la scena e ripropone verosimilmente il rigido clima pietroburghese. Ci sono oggetti calati dall'alto. Piovono ombrelli ma c'è anche pioggia fatta d'acqua vera che ci fa venire voglia di stringere sul collo il colletto della giacca. Le musiche sono tratte dal repertorio classico e propongono echi lontani al servizio della pièce che abbiamo visto. Siamo nell'Ottocento. I costumi sono tagliati sulla storia e contribuiscono alla credibilità della messinscena.
Giorgio Marchesi e Camilla Diana sono un'ottima coppia artistica. Ci regalano la verità che la storia merita e di cui ha bisogno. Avremmo voluto assistere ad un maggiore piglio di Marchesi: uno scrittore imprigionato per così tanta vita nella sua bolla di visioni e disegni, deve mostrare segni evidenti di dissennatezza quando gli si presenta innanzi tanta grazia e senza preavviso. Tenta di salire, inizia un crescendo di tensione ma rimane a mezz'aria. Arrampicato. Ma ci viene il dubbio che forse Marchesi, attore d'esperienza, ha seguito professionalmente il disegno lucido del giovane e talentuoso Giuffrè, che a sua volta ha assorbita la scuola del padre e di De Filippo: Teatro di misura, dove non c'è esasperazione, si parla, non si urla. Carlo Giuffrè, racconta sul palco il figlio Francesco, è scomparso da qualche mese e nello stesso giorno di Eduardo: il primo novembre. Aveva 365 possibilità di indovinare e ha indovinato: è morto nello stesso giorno di quell'autore tanto amato che ha portato in scena per tutta una vita.
Lei, Camilla Diana, si muove disinvolta come una danzatrice e probabilmente lo è. Non la conosciamo a fondo; ci piace e proprio perché ci piace non digeriamo alcuni errori di dizione che se corretti, renderebbero perfetta la perfomance. C'è abbondanza di poesia in questa commedia. Da vedere.
Info:
da martedi 12 a domenica 17 febbraio 2019
LE NOTTI BIANCHE di Fëdor Dostoevskij
con Giorgio Marchesi, Camilla Diana
adattamento e regia Francesco Giuffrè