LE BRACI @ Teatro Piccolo Eliseo: una parabola di rancori e rimpianti

In scena al teatro Piccolo Eliseo dal 23 gennaio al 9 febbraio LE BRACI tratto dal celebre romanzo di Sandor Márai, scrittore e giornalista ungherese naturalizzato statunitense. Tutta la produzione di Márai stata riscoperta in modo tardivo, ripubblicata in francese, inglese, tedesco e italiano, ed è ora considerata parte dei capolavori della letteratura del ventesimo secolo. L'opera “Le braci” infatti, fu pubblicata nel 1943 ma apparsa in Italia solo nel 1998 e non ha mai smesso di incontrare il favore di migliaia di lettori, divenendo un classico della letteratura mitteleuropea, emblema di un mondo perduto.

Numerose le riproposizioni teatrali in giro per il mondo, persino operistiche. Il testo di per sé nella sua struttura potrebbe mostrarsi favorevole a un simile lavoro di adattamento, ma in realtà chi lo ha letto con attenzione capirà la difficoltà di questa operazione essendo quello di Márai oltre che uno stile asciutto e raffinato, anche   adorno di  descrizioni minuziose e digressioni interiori che non è facile rendere al di fuori della carta stampata.
Mettere in scena un testo così dialogico è operazione complessa. Fulvio Calise in questo caso lo riduce con accuratezza ad una pièce di sessanta minuti, restando fedele al testo e all'eleganza sintattica dell'autore, ritagliandone i passaggi più preziosi e rappresentativi, non indugiando sui preamboli e introducendo quasi immediatamente l'incontro fatidico tra i due protagonisti.

Konrad (Stefano Jotti) sapeva che un giorno sarebbe tornato a Vienna, e il generale Henrik (Renato Carpentieri) sapeva che un giorno sarebbe giunto quel momento. Solo questa consapevolezza  ha mantenuto in vita entrambi per anni.
Márai nel suo testo riserva parole molto profonde e si dilunga non poco per descrivere il loro legame di un tempo. In questo caso lo si afferra man mano che il colloquio prende forma e che le dinamiche iniziano a dipanarsi.
La scena è ferma, scarna, quasi a sottolineare un mondo ormai spento. Sono i ricordi a farla da padrone, in una stanza in cui non si entra più da quarant'anni. Nel castello dell'aristocratico generale Henrik tutto è rimasto come prima. La pièce ha inizio proprio con l’ingresso perentorio di Henrik in quella stanza. E' tempo di riesumare le tre poltrone, sulle quali i due amici solevano trascorrere le loro giornate insieme, liberandole dai vecchi lenzuoli che le ricoprivano, quei giorni in cui l' amicizia e l'amore sembravano sacri, intaccabili. La scenografia è essenziale: una piccola scrivania in un lato, il caminetto sulla parete e le tre poltrone poste a triangolo, quel triangolo maledetto che ha avvelenato le loro vite.

Sullo sfondo il crollo dell’Impero Austro-Ungarico durante il quale si è consumata la fine di un’intera classe politica, economica e militare. Il testo di Márai osserva quel periodo dalla prospettiva di una forte amicizia, due mondi che si scontrano, l' aristocrazia e l’incalzante classe borghese. Da una parte Henrik, le eleganti dimore e le battute di caccia, dall'altra Konrad, la modestia di una vita semplice e l'amore per la musica. Henrik afferma di essersi sempre adattato allo stato di inferiorità sociale dell’amico, offrendogli al contempo la possibilità di condividere con lui le sue disponibilità, ma oltre a queste finisce per condividere, suo malgrado, anche l'amore di una donna ormai scomparsa, la cui presenza non ha mai spesso di imperare su di loro.

L'azione rende il senso di ineluttabilità. Ci troviamo di fronte a un incontro inesorabile tra due sopravvissuti al loro tempo e tenacemente rimasti vivi, resistendo stoicamente in una bolla d’attesa. Renato Carpentieri è un caposaldo del teatro italiano e anche il cinema tardivamente riconosce la sua grandezza nel 2018 attribuendogli un David di Donatello per l' interpretazione nel film “La tenerezza” di Gianni Amelio. Il suo generale Henrik parla e si muove con  fredda lucidità attraverso la quale striscia una rabbia mai sopita. Il Konrad di Jotti appare un uomo piegato dall'amarezza, contrito e affaticato.

“Le braci” è un teatro di parola in cui la regia di Laura Angiulli, misurata e pertinente, viene ottimizzata dal disegno luci ben configurato di  Stefano Accetta che esalta i momenti più salienti.
E' Henrik per lo più a parlare, l'amico lo ascolta e cerca di raccontare le sue verità, ma nulla svela, nemmeno quando il generale giunge a formulare la fatidica domanda che  da quarant'anni gli rimbomba nel cuore.
La stanza diventa una gabbia entro la quale si annusano e si scrutano come due leoni, per poi riprendere posto sulle loro vecchie poltrone. Henrik lancia il suo attacco, Konrad  incassa ma non cede.
Ora davanti al fuoco simbolico del caminetto, nel quale in un atto estremo Henrik brucia il diario della sua amata, l’animo umano troverà pace solo quando la brace diventerà cenere.
Non ci saranno vincitori né vinti in questa parabola del rancore e dei rimpianti, e la fine porterà solo alla consapevolezza che “la verità” ormai non  ha più alcun senso.

info: 

LE BRACI

di Sándor Márai

Con Renato Carpentieri e Stefano Jotti

Adattamento: Fulvio Calise

Regia: Laura Angiulli

Aiuto regia: Serena Sansoni

 

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