Le donne gelose@Piccolo Teatro Studio Melato Milano

Scritta e rappresentata nel 1752 da Carlo Goldoni (Venezia 1707 – Parigi 1793) che attraverso ironiche stilettate, ancorché melanconiche, stigmatizza con garbo elegante i difetti di una società assetata di denaro e povera di valori – quadro perenne del ripetersi nei secoli di vizi e virtù eterni con sfaccettature simili e radice della fortuna intramontabile del commediografo veneziano – Le donne gelose (in prima nazionale al Piccolo Teatro Studio Melato di Milano fino al 22 novembre 2015) segna il passaggio dalla maschera all’attore (tra i fondamenti della riforma goldoniana che tanto ha fatto per ammodernare la commedia) e rappresenta un affascinante viaggio in una Venezia in crisi e dai toni mesti velati di sottile ironia.

Giorgio Sangati (Abano Terme/PD, 1981), giovane regista, allievo della Scuola del Piccolo Teatro e assistente del compianto Luca Ronconi che già lo aveva designato come collaboratore per questa pièce “venezianissima” – la prima scritta completamente in un dialetto piacevolissimo e comprensibile grazie anche ai sopratitoli in italiano utili per qualsiasi dubbio linguistico – ha raccolto il luminoso testimone del Maestro mettendo in scena con sagace abilità uno spettacolo particolarmente curato nella recitazione di un gruppo di attori molto validi e affiatati grazie ai quali si è pian piano risucchiati in una Venezia invernale dall’atmosfera languidamente plumbea durante un Carnevale: evento antico (nato nel 1162 e istituzionalizzato nel ‘500, nel ‘700 diviene totalizzante e per la durata finisce con il favorire il rilassamento e il degrado dei costumi; sospeso con la caduta della Serenissima nel 1797, è ripreso nel 1979) da sempre molto sentito nella città lagunare invasa in tale periodo da bautte (tipico travestimento carnevalesco).

Goldoni dipinge una società adagiata nel ricordo dei fasti di un passato glorioso per le straordinarie imprese marinare e i relativi proficui commerci nel Mediterraneo interrotti bruscamente dal mancato adeguamento delle navi alle necessità della navigazione atlantica conseguente alla ricerca di una nuova via verso le favolose Indie (visto che la vecchia è bloccata nella parte terrestre dall’Impero Ottomano) e connotata dal vizio del gioco proprio di tutte le classi sociali come aveva ben evidenziato alcuni lustri fa la prima esposizione sul ‘gioco’ tenutasi presso la sede invernale del Casinò sul Canal Grande.

Nel ‘700 trionfano le carte, il gioco d’azzardo e il lotto. Tutti giocano: i meno abbienti sotto le colonne di Piazza San Marco e i ricchi nei ridotti e nei casini creati ad hoc generando un abito mentale con conseguenze disparate tra cui possibili equivoci come nella nostra pièce. Mogli sempliciotte, povere di spirito, pettegole, meschine, credulone, invidiose e gelose, spiando il vicinato, prendono fischi per fiaschi salvo poi dimenticare in un amen maldicenze, maltrattamenti e sospetti rancorosi di fronte a pingui vincite dei loro legittimi ‘schiavisti’.

Malvezzi femminili che caratterizzano anche le giovani della nostra commedia incapaci di manifestare una benché minima volontà di emancipazione per cui diventa ancora più ampia la forbice tra la generale posizione di sudditanza femminile, esacerbata da soprusi violenti da parte dei consorti, e la vedova che mira a un’autonomia fondata sul denaro, tesaurizzato con puntigliosa micragnosità, strumento per eccellenza ieri e oggi per godere del rispetto e del plauso sociale.

Una società – in questo caso circoscritta a un unico sestiere o meglio a vicini di casa, chiusa, retriva, reazionaria e legata a false convenzioni sociali – di mercanti e bottegai non sempre così abili nel gestire i propri affari tanto da confidare in miracolose vincite e di un’unica maschera Arlecchino che sta perdendo pian piano la propria identità come icasticamente rappresentato dal trascolorare delle vivaci nuance dell’abito e raccontata con mano tanto leggera e incisiva da non stancare il pubblico che anzi vi s’immedesima e vi si ‘mescola’ attratto anche dai bellissimi abiti antitetici all’essenzialità della scenografia: una pièce che si può rivedere più volte scoprendone le numerose sfaccettature.

image_pdfSCARICA QUESTO ARTICOLO IN FORMATO PDF