Rinviata a causa della pandemia, la PRIMA ASSOLUTA de L’ARMATA BRANCALEONE ha aperto la stagione 2021/2022 (già presentati tutti gli spettacoli fino a maggio) della Fondazione Teatro Metastasio di Prato (produttore dello spettacolo insieme a ERT). A firmare la trasposizione per palcoscenico della celeberrima sceneggiatura scritta da Mario Monicelli insieme ad Agenore Incrocci e Furio Scarpelli, è stato Roberto Latini, che ha immaginato le vicende di Brancaleone da Norcia e della sua allegra brigata in un contesto a-spaziale ed a-temporale. Solo l’inconfondibile registro linguistico ci proietta comunque indietro in un passato caricaturale quanto immaginario nel quale la nutrita compagine attoriale si è destreggiata con maestria.
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Armata Brancaleone: fedele all’originale di Monicelli
Il saccheggio d’apertura, il rinvenimento della pergamena che designa il nuovo padrone di Aurocastro, l’incontro con il cavaliere Brancaleone da Norcia e il suo surreale duello in groppa alla sua “mala bestia” fino all’incontro-scontro con Teofilatto, colpevole poi di aver deflorato la bella Matelda. Quindi la compagnia del santone diretta in Terra Santa, la richiesta di riscatto presso la corte bizantina della famiglia di Teofilatto con rocambolesca fuga finale e la morte del vecchio tesoriere “giudìo” Abacuc fino all’arrivo alle pendici di Aurocastro dove si chiude il viaggio. Non manca proprio nulla nella trasposizione teatrale che Roberto Latini ha firmato mantenendo il titolo originale del film di Monicelli del 1966. Si legga bene, infatti, che non si tratta di una riduzione o di uno stravolgimento come spesso ci è capitato di vedere nella drammaturgia contemporanea, laddove ci si nasconde pavidamente dietro un grande titolo per richiamare pubblico in sala. Non c’è spazio per lo scimmiottamento nella messa in scena cui abbiamo assistito. Pur non mancando riferimenti cinematografici altri (Abacuc che gioca con la sua grande sfera bianca strizza l’occhiolino al Chaplin grande dittatore col suo mappamondo), la deferenza e il rispetto con cui Latini ha approcciato il testo originario rendono lo spettacolo un mezzo più che un fine.
Roberto Latini forgia una nuova chiave interpretativa
Non percepiamo l’intento di rincorrere l’obiettivo tanto (troppo) spesso conseguito di simulare sul palcoscenico atmosfere ed ambientazioni. C’è piuttosto il tentativo di forgiare una nuova chiave che possa riaprire la porta su una potenza ancora travolgente dopo 45 anni. Sono cambiati gli attori ma si ha l’impressione che quei corpi in scena si facciano umili portatori del testo originale con la loro abilità interpretativa. Nessun elemento scenografico può minimamente ricondurci alle ambientazioni bucoliche e donchisciottamente cavalleresche della pellicola né tantomeno compaiono, neanche evocati, campi coltivati o mura medievali. La fa da padrona una grande trave a sezione quadrata, mossa dall’alto tramite corde, che interagisce con gli attori, a tratti paragonabili agli operai immortalati in pausa sospesi tra i grattacieli della Grande Mela. Con essa dialogano poi i cubi roteanti della festa di nozze di Matelda e soprattutto il pallone/palloncino di Abacuc, una sorta di coperta di Linus sempre in scena con lui.
L’Armata Brancaleone di Latini: un cast in equilibrio
Il cast selezionato è di primo livello e raramente abbiamo trovato un equilibrio così omogeneo durante tutta la rappresentazione. Un’orchestrazione che vede Latini nel ruolo di direttore discreto ma determinante, pienamente a suo agio nell’onirismo di fondo che pervade l’intera messa in scena. Anche per questo gli va riconosciuto un nuovo merito: aver affrontato un mostro sacro della cinematografia giocando in un campo a lui familiare dove le regole sono ben conosciute e il rischio di falli è ridotto. L’operazione non manca comunque di ambizione, considerando che non esiste un romanzo d’ispirazione e che la sceneggiatura è totalmente originale, seppur con riferimenti importanti ad opere precedenti.
Consapevolezza senza arroganza sembra essere pertanto l’ingrediente chiave che il cuoco-regista Latini, con i suoi inservienti-attori in scena, ha cucinato e proposto al pubblico. Su uno sfondo bianco corrugato che ricorda il suolo lunare e un contesto fatto soprattutto di luci color pastello variabili dal rosso al giallo passando per verde e bianco, le vicissitudini dei protagonisti si sono sviluppate adottando soluzioni drammaturgiche e registiche che nel complesso ci hanno convinto. Molto efficaci gli interventi di Claudia Marsicano con le sue esilaranti sintesi delle scene del film così come abbiamo apprezzato Ciro Masella e la sua abilità nel destreggiarsi tra i ruoli di Pecoro, Taccone e Mangoldo. Poetico e a tratti lirico invece, come nell’originale, il ruolo di Abacuc interpretato da Savino Paparella, molto empatico con la sua palla che presto diviene palloncino per sgonfiarsi alla sua dipartita, una sorta di climax al negativo in una sceneggiatura perennemente sopra le righe (e si legga come un pregio in questo caso). Come nella pellicola Aurocastro appare fin da subito una chimera, quasi un Eden funzionale a dare un senso alla vita dei protagonisti, a vario titolo sventurati e scapestrati, nella trasposizione di Latini tutto si svolge in un mondo interplanetario sospeso e a guidare l’Armata è Elena Bucci nei panni di un Brancaleone femmina in abiti da Star Trek, così come tutti gli altri attori in scena. Con questa scelta il regista sembra surclassare lo spirito monicelliano laddove, a parità di sprovvedutezza, la corporeità della Bucci appare meno credibile di quella di Gassman per cui il contrasto tra i due aspetti risulta meno stridente ma comunque efficace. Rilevanti e molto convincenti, capaci di interagire con gli altri personaggi sempre costruttivamente, anche Marco Vergani, Marco Sgrosso e Francesco Pennacchia, rispettivamente nei panni di Teofilatto, del monaco Zenone e della “mala bestia” Aquilante. Non semplici personaggi ma coprotagonisti chiave che non mancano di strapparci un sorriso nemmeno in questa versione teatrale. In conclusione lo stesso Latini, funambolo in abiti da gentleman ottocentesco sulla trave sospesa, trova la chiusa con un tocco che ci lascia stupefatti e che ammiriamo soprattutto per la forma poetica, come nei vecchi film d’animazione dove la scritta The end campeggiava sull’ultima pagina di un antico tomo rilegato in pelle.
Armata Brancaleone: un viaggio interplanetario
Nel complesso riteniamo che l’operazione Armata Brancaleone sia riuscita, soprattutto per il merito di aver dimostrato ancora una volta che la potenza del testo originale è prorompente e che la forma teatrale non svilisce minimamente l’effetto, ritenuto inarrivabile, della pellicola. Quando usciamo dal teatro (che, per inciso, ha per ora apprezzabilmente mantenuto l’allestimento con i tavolini) la vera domanda che ci resta è sulle ragioni di un’operazione che, per quanto generalmente convincente, non aggiunge abbastanza in proporzione al lavoro, sicuramente faticoso e approfondito, che nasconde dietro di sé. Convinti che i classici non debbano restare solo in una bacheca a prendere polvere e che sia bene rileggerli con gli occhi della modernità, crediamo che questo allestimento abbia superato una barriera finora mai affrontata da nessuno così. Ne prendiamo atto e ringraziamo regista e compagnia per un lavoro portato avanti con deferenza e filologica attenzione.
L’ARMATA BRANCALEONE
adattamento teatrale di Roberto Latini
da un’opera di Mario Monicelli, Agenore Incrocci, Furio Scarpelli
regia Roberto Latini
musica e suoni Gianluca Misiti
scena Luca Baldini
costumi Chiara Lanzillotta
luci Max Mugnai
assistente alla regia Giorgia Cacciabue e Alessandro Porcu
con Elena Bucci, Roberto Latini, Claudia Marsicano, Ciro Masella, Savino Paparella, Francesco Pennacchia, Marco Sgrosso, Marco Vergani
produzione Teatro Metastasio di Prato, ERT – Teatro Nazionale
con il sostegno di Publiacqua
foto di scena Ivan D’Alì
Teatro Metastasio, Prato
giovedì 21 ottobre 2021