In scena al Politeama di Poggibonsi uno spettacolo gioiello, un meccanismo meraviglioso e terribile sostenuto da una drammaturgia geniale e da performer di preparazione eccezionale: i Sotterraneo con L’ANGELO DELLA STORIA, Premio Ubu 2022 per miglior spettacolo meritatissimo. Lo spettacolo splendente è applaudito con entusiasmo dal pubblico numeroso che riempie il teatro, e l’affollarsi di giovani è certo consolante ed è una prova della scelta coraggiosa che il teatro ha compiuto, con ottimi risultati.
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L’ANGELO DELLA STORIA : LA DRAMMATURGIA MOLTEPLICE

“E’ giunto il momento di individuare nuovi modi di raccontare storie che vadano oltre i principi consueti. Queste storie, non più relegate a un sussurro nella notte, potrebbero essere allo stesso tempo vere e immaginarie. Come spiegare altrimenti il fatto che qualcosa viva nel pandemonio che abbiamo scatenato?” Questa considerazione di Anna Tsing (Il fungo alla fine del mondo) funziona perfettamente come una delle chiavi di lettura del lavoro polisemico che i Sotterraneo mettono in vita sul palco. È un lavoro sulla seduzione, e sul pericolo, di creare storie. Gli uomini, i Sapiens, questo fanno: si ritrovano ancora oggi a creare e a somministrarsi storie, dal tempo delle caverne in cui il racconto dell’assalto di una tigre dai denti a sciabola venne elaborato, passò di labbra in labbra, venne agito in caverne su cui il fondale di mani dipinte sulle pareti non era solo fisso, stabile, ma ondeggiava nella danza del fuoco come ogni arte vibrante di intenzione, come ogni equivoco, come la storia, come la nostra umana specificità. Da quel nodo archetipico l’eccezionale drammaturgia di Daniele Villa si sdipana in una corda a nodi, sviluppando molteplici racconti misteriosamente rifrangenti l’uno nell’altro, talvolta, o puntinati in un arazzo di storie che – sì, siamo proprio noi. Una parete di microstorie, attimi della vita di figure famose – il suicidio di Mishima, l’uccisione di Ippaso, la teoria di nascite e di lutti di Eleonora di Castiglia – oppure istanti importanti nell’esistenza di ignoti – il terrapiattista che tenta il lancio su un razzo di confezione casalinga, il sovietico che deve risolvere il dilemma della reazione ad un presunto attacco atomico alla sua nazione – un arazzo di piccole storie sospese, un polittico. In alcune non è difficile scorgere una specie di morale, un riflesso: la danza selvaggia che sconvolge Strasburgo coinvolgendo centinaia di persone è, dichiaratamente, una reazione “all’anno di merda” che la città aveva vissuto: il tumore sviluppato da John Wayne, dai figli e da tutta la troupe dopo aver girato “uno dei peggiori film della storia” molto vicino al luogo dove venivano intrapresi i test nucleari denuncia chiaramente l’insensatezza dell’adesione ottimistica alle scelte politiche USA. Ma in realtà le storie non formano UNA storia. Sono molteplici e multiformi. Sono gabbie all’interno delle quali scegliamo di permanere, come il soldato giapponese che non riesce a credere che la guerra sia finita e rimane nella jungla per trent’anni, annullando tutte le tracce che la realtà gli mette sotto gli occhi. Sono trappole fascinose, che ci portano ad arenarci, come la capobranco delle balene che guida in trappola l’intero gruppo, incapace di astrarsi dalla storia della sua mente. Sono ganci anche crudeli, costellate come sono da sangue e morte, da disgraziati esiti e da costanti mancanze. Tuttavia non sono eliminabili. Come l’angelo della storia di Walter Benjamin, che può volare in avanti ma può solo guardare indietro, non possiamo mai fare a meno del nostro passato. Ci determina. Ci muoviamo nell’eterno trascinando una scia di disordine e di lutto, di insensatezza e di scelte, giuste o sbagliate, spesso sbagliate. Tutti i cellulari del pubblico suoneranno insieme proprio in questo elemento della tavola sinottica di storie agite in scena: così suonò il telefono dell’ambasciata americana, senza risposta: e Benjamin si uccise, perché la storia nella sua mente lo avvisava che mai, mai avrebbe ricevuto i documenti validi per l’espatrio – che, nella realtà, “quella che si vede”, come la chiamava Montale, arrivarono puntuali il giorno dopo la sua morte.
L’ANGELO DELLA STORIA: IL CANONE ESTETICO DI SOTTERRANEO
Sottostante ad una drammaturgia chirurgicamente precisa ed evocativa come poche, l’estetica del gruppo in scena è incisiva e personale. Certo la ricerca di questi attori non guarda al passato, ma si tende verso una forma e un canone maturo, originale e freschissimo. La preparazione tecnica non cede mai, in nessun istante: sia che ci vengano offerti siparietti danzati o che venga mimato il suono del pianoforte, sia che l’intero gruppo canti pezzi pop famosissimi oppure riempia il palco vuoto (solo sormontato da una striscia digitale che ci dice in che anno siamo) con una splendida balena gonfiabile o con il paracadute giallo che, teso dal ventilatore a vista, diventa le ali dell’angelo che ci guarda con occhi sbarrati mentre vola via, nel vento alto della storia. Nessuna concezione retorica, un ritmo documentaristico, estremamente pulito, e all’interno di questo, spazio alle sfumature recitative, da fisicità estrema a grazia a ironia, a comporre un lavoro di gruppo polifonico ed efficace come pochi altri.

L’ANGELO DELLA STORIA: E LA STORIA SIAMO NOI
E perturbante. Perché non consolatorio. Perché nel racconto, ecco, ci siamo tutti. E come la vittima del colpo di pistola esploso dal marito ubriaco commenta “la prossima volta però sparo io”, e muore, le onde della storia non sono permeabili, mai. Siamo tutti nella gabbia della storia, senza rimedio. È certamente castigo, è forse misericordia, se declinata con la lucida grazia crudele, con la fantasmatica gemmazione che Sotterraneo qui ha saputo creare.
Visto al Teatro Politeama di Poggibonsi il 12 Ottobre 2023
L’ANGELO DELLA STORIA
concept e regia Sotterraneo
in scena Sara Bonaventura, Claudio Cirri, Lorenza Guerrini, Daniele Pennati, Giulio Santolini
drammaturgia Daniele Villa
luci Marco Santambrogio
costumi Ettore Lombardi
produzione Sotterraneo