PRIMA ASSOLUTA per l’ultima fatica registica di Giovanni Ortoleva, autore insieme a Riccardo Favaro di LANCILLOTTO E GINEVRA al Teatro Fabbrichino di Prato (produzione Teatro Metastasio). Sul palco Leda Kreider ed Edoardo Sorgente hanno trasposto l’epica storia d’amore tra la regina ed il cavaliere in una messa in scena crepuscolare ed intimista nella quale non c’è spazio per l’amor cortese che cede il passo al tormento, all’introspezione, al dolore di un sentimento che, più di ogni altro, sa essere crudele.
A cura di Leonardo Favilli e Susanna Pietrosanti
LANCILLOTTO E GINEVRA: dall’amor cortese al caos

Non sono bastati quasi mille anni per rischiarare le ombre su una delle più epiche storie d’amore della letteratura mondiale. E nella messa in scena diretta da Giovanni Ortoleva ci sono tutte, lì, bene in evidenza, con le luci di taglio o centrali dall’alto a creare zone oscure misteriose che si scambiano, si muovono, sembrano prendere vita come fantasmi insieme agli attori. Allo stesso modo sono spettrali gusci vuoti i pezzi di armatura che dall’ammasso al centro si disperdono nello spazio. Perché la forza del gruppo e della solidarietà cavalleresca della Tavola Rotonda si è smembrata e i cavalieri diventano un ostacolo fisico, e per l’innamorato Lancillotto e per gli attori, che in scena districano i loro percorsi annodandoli agli schinieri e agli elmi. E così un amore che chiederebbe solo di essere vissuto per il sentimento profondo che lega i protagonisti trova insormontabili difficoltà che quegli spettri vuoti amplificano, come fanno con la voce degli artisti a tratti risonante nello spazio perlopiù vuoto.
LANCILLOTTO E GINEVRA squarciano il velo di mistificazione
Dalla dispersione dell’armatura si diparte un’operazione di demistificazione della splendente menzogna che tutta la teoria cortese aveva progettato per nascondere la verità: l’amore cavalleresco non è una celestiale, inoffensiva e nobilitante poetica della lode, è un disastro, in senso etimologico, una caduta di stelle cosmica, che induce al peccato amando una donna spesse volte moglie di un altro (un amico, o, come in questo caso, il proprio signore feudale), amandola non platonicamente ma con scottante passione, soddisfare la quale diventa un imperativo irrinunciabile che farà tremare il mondo e lo disperderà alle radici. Il risultato è il caos nel quale i protagonisti si trovano immersi e per i quali non c’è giudizio se non quello delle convenzioni e del proprio ego. L’ordine lo riporta solamente il loro essere in due, da soli con il loro tormento ma lontani del mondo esterno, nel momento in cui davanti ai loro microfoni ad asta, gli attori si fronteggiano, vicini nel corpo e nello spirito ma separati da un’invisibile muraglia.
La drammaturgia di Favaro e Ortoleva: alle radici del sentimento

Così come l’armatura anche la quiete velocemente si disperde non appena l’ira di Artù e dei cavalieri rimastigli fedeli si scatena sulla regina fedifraga e soprattutto sul cavaliere, entrambi traditori per i quali non può esserci indulgenza. Ginevra implora l’amato di portarla “dove quello che deve accadere non accade mai” ma Lancillotto è rimasto privo d’identità, “nudo come un verme” perché l’amore ha devastato tutto, ha riportato tutto ai minimi termini, al termine di un percorso che non è impresa eroica ma via crucis costellata di prove terribili. Un percorso che non è né espiazione né formazione ma presa di coscienza che quello che deve accadere, accade, sempre. Servirebbe vivere in un altro spazio, in un altro tempo, in una dimensione che neanche Ortoleva e Favaro scelgono di creare per i protagonisti, preferendo un’altra strada verso un altro obiettivo: scavare nelle radici del sentimento per dimostrare che l’epos cantato nel ciclo bretone è chanson post-moderna, già fuori da un tempo e da uno spazio, senza che i suoi protagonisti, però, possano realizzarlo. Confinati sul finale in un angolo nel quale non ci sono più impedimenti fisici bensì prigionieri dell’ineffabile, non hanno oramai via di fuga.
LANCILLOTTO E GINEVRA: il montaggio allusivo del testo
Il testo, straordinario, sottopone a montaggio allusivo e frastagliato i testi classici della tradizione: Chrétien de Troyes, di cui si segue la fabula, in primo luogo. Utilizzando un linguaggio contemporaneo, di adamantina chiarezza e incisivo come un coltello, oppure, spesso per Lancillotto, le lasse, capaci di conferire ai monologhi un doppio battito: a destra, con la rima baciata, che rintocca come il destino, a sinistra con una serie di anafore incatenanti. “Dormi, dormi”, ripete Lancillotto alla regina, componendo una ninna nanna magica che forse allontanerà la realtà impastata di sangue e dolore, e si regge appunto sull’anafora insistita e sulle coblas capfinidas di tradizione provenzale, in cui l’ultima parola del verso diventa la prima del verso successivo, tenendo per mano il testo lirico altrettanto strettamente di quanto facciano gli occhi, le dita, gli sguardi dei due amanti tesi l’uno verso l’altra. Ma anche il V dell’Inferno è presente, e non solo perché lo spettacolo inizia facendo rintoccare il nome di Galeotto, schiocco di dita dantesco, e neppure perché ci viene concesso di vedere, vissuto sulla scena, il momento in cui il ‘disiato riso’ di Ginevra viene baciato dalle labbra febbrili dell’innamorato, ma perché il colore ‘sanguigno’ dello spettacolo allude profondamente al clima del canto di Paolo e Francesca.
La trama recitativa di LANCILLOTTO E GINEVRA
Leda Kreider ed Edoardo Sorgente, in abiti moderni, scuri come lo spazio scenico, appaiono a loro agio nelle parole e nello spazio dove si muovono con disinvoltura quasi felina, sfiorando le armature. La recitazione, a tratti nervosamente concitata, sembra colorare con tonalità calde lo scenario mestamente plumbeo laddove le voci si scambiano, si intrecciano, inviluppandosi a creare una trama che, seppur colorata, si mantiene monocromatica nel crepuscolarismo disarmante e dominante. “Ti amo come un lupo, come un taglio nel vetro”, scrive Margaret Mazzantini nel suo Non ti muovere, storia di una passione altrettanto lacerante e tragica di quella archetipica del mito. Lancillotto ha amato chi non doveva amare, ucciso chi non doveva uccidere, distrutto l’illusione circolare di una Camelot fatata per un amore irregolare e distruttivo: un lupo, appunto. Un taglio nel vetro del quale, infine, restano cocci aguzzi, dispersi come armature vuote.
Visto il 12 novembre 2022
LANCILLOTTO E GINEVRA
di Riccardo Favaro e Giovanni Ortoleva
regia di Giovanni Ortoleva
musiche di Pietro Guarracino
luci Massimo Galardini
con Leda Kreider e Edoardo Sorgente produzione Teatro Metastasio di Prato
con il supporto di Centro di Residenza della Toscana (Armunia – CapoTrave / Kilowatt), KanterStrasse, Residenza Artistica Olinda / TeatroLaCucina