Dal 24 al 29 aprile @OFF/OFF Theatre va in scena “L’AMORE PER LE COSE ASSENTI” scritto e diretto da Luciano Melchionna. Una temibile necroscopia dei rapporti di coppia, dell’amore e di tutti i sentimenti che girano attorno ad esso.
Prendendo posto in platea all’OFF/OFF Theatre veniamo accolti da una figura al centro del proscenio, una bambola vivente a gamba aperte, con un abito bianco ed una maschera di plastica trasparente sul viso. Uno ad uno gli spettatori ironizzano sull’inquietudine di quella presenza immobile, seppur viva, illuminata dal basso che la rende ancora più tetra.
La bambola infine si anima e intona la canzone “happy birthday” che va via via trasformandosi in una disturbante cantilena, mentre fa ondeggiare un coltello nell’aria che alla fine affonda in una torta. Inizia un affascinante prologo. È il compleanno di Giulia, sposata in seconde nozze con Matteo, che le organizza una festa dove nessuno viene invitato. La spiegazione è semplice: Matteo decide di lasciare Giulia proprio quella sera. In questo contesto festoso poco ortodosso Matteo e Giulia si lanciano in quel copione drammatico che è la separazione amorosa. Non si limiteranno solo a questo, perché affonderanno duri colpi l’un l’altra e perfino contro se stessi, in uno scenario grottesco e a tratti umoristico in cui l’amore viene defraudato dall’innamoramento e, una volta messo a nudo, eviscerato come un animale da macello.
La drammaturgia si svela uno dei lavori meglio riusciti dell’autore. Un’indagine approfondita di ciò che è l’amore e dei suoi segreti più cupi, che viene proposta come dialogo fra due sposi che affrontano la fine di questo sentimento, dove Matteo è colui che abbandona e Giulia l’abbandonata.
Nelle serrate conversazioni fra i due, nei portentosi monologhi, c’è un’intensa conoscenza del percorso di coppia, della trasformazione che avviene fra l’estasi dell’innamoramento e l’asfissiante agonia a cui porta la quotidianità. L’intimità e la riservatezza sono cancellate dal palcoscenico per fare posto alla verità che appartiene a tutti noi.
La magia del sentimento viene offuscata dalla crudele ammissione della realtà a colpi di rinfacciamenti, confessioni e disincanto.
Lo spettatore ride e si agita perché chiunque abbia mai amato ha segretamente vissuto quello che i due protagonisti mettono in scena. Senza censure e senza indoramenti di pillola, assistiamo alla durezza dell’abbandono, alla fine di ogni cosa, al dover riprogettare la solitudine e le proprie abitudini. Dirsi “ti amo” diventa un opalescente frase, messa in ombra dalla lucentezza della sincerità, dove la società richiede il contegno, castrando e sterilizzando la natura umana più vera. E se Matteo è spietato nella sua virilità, nel suo bisogno di cambiamento, Giulia lo è altrettanto con se stessa e con le aspettative riposte nell’amore, distruggendo un mito su cui grandi artisti hanno tessuto opere immortali.
La regia ha l’alta qualità che Melchionna sa regalare da anni. Nessun avvenimento in scena, neppure il più piccolo, è lasciato al caso. Il grande controllo di ogni centimetro di palcoscenico è palpabile nella sua perfetta macchinazione.
I gesti, anche i più impercettibili, trovano il proprio posto nella storia e nella recitazione. Ogni trovata ha mille richiami e significati: le maschere con bastoncino usate dai protagonisti nell’antefatto, le mani che spogliano, i candelabri, ogni oggetto di scena, tutto ha una storia che racconta senza dire, ma semplicemente mostrandosi. Le luci sono soggetti vivi, creano le ombre là dove lo spettatore non immaginerebbe e a sorpresa amplificano l’emozione attraverso l’occhio. Giandomenico Cupaiuolo è un interprete di grande eleganza e statura che coinvolge e seduce con il suo fascino. Interpreta “l’uomo” in tutte le sue sfaccettature, sia nell’egoismo che nell’arroganza, come nella fragilità e nella sensibilità. La voce è forte e dirompente, suda e non si risparmia. Lavora sul palco con maestria, apportando una tenace carnalità al personaggio. Valeria Panepinto è una degna compagna di scena, gioca bene le sue carte e sfodera un talento ammirevole. La sua recitazione passa attraverso i movimenti del corpo così ipnotici da incantare. Diventa selvaggia, una furia in preda alla disperazione e subito dopo diventa mansueta, arrendevole. Per nulla artefatta, distaccata dal classicismo teatrale, accende di vita Giulia con grande femminilità. E infine l’eclettica violinista H.E.R. che recita in modo straordinario l’angelo del prologo e dell’epilogo e che, durante la messa in scena, è la silenziosa protagonista non vista da Matteo e Giulia, incarnazione dell’amore fra i due, quale burattinaia delle loro prese di posizione, dell’allontanamento e dell’avvicinamento.
La scena incastona la drammaticità degli eventi con un’ambientazione gotica davvero originale: un enorme cuore che occupa tutta la centralità del palco, sospeso dall'alto in una rete da pescatore, come un cefalopode che estratto dal mare perde la sua vitalità e armonia, afflosciandosi in un ammasso molle.
Uno spettacolo ammirevole, un teatro off di grande levatura, ottimamente riuscito e in grado di meravigliare attraverso la sua spietatezza. Un’orchestra affascinante, un puzzle i cui pezzi vanno a combaciare perfettamente. Pochi spettacoli si avvicinano così spudoratamente alla realtà del sentimento “motore della vita”, ancor più pericoloso dell’odio, di cui è l’altra faccia della medaglia. Luciano Melchionna non parla con voce di cuore infranto, ma ci rende partecipi del realismo che si cela dietro il sentimentalismo, senza demonizzare l’amore in sé, quanto piuttosto le convenzioni sociali strutturate attorno ad esso nel corso dei secoli. Spogliato da tutti gli orpelli, distrutti tutti i suoi decori, dell’amore non resta che la struttura più autentica, quella più terribile perché è il lato dell’amore che tendiamo a lasciare inascoltato perfino a noi stessi. Nella sua opera non c’è posto per le ipocrisie. Il testo è pura poetica senza poesia. La scelta delle parole viene subordinata all’esigenza dell’autore di renderci partecipi della verità dietro ogni rapporto. Schiaffeggia lo spettatore grazie al suo realismo, all’avvicendarsi dei rapporti, allo sventramento dei finali da fiaba. Siamo tutti Matteo e Giulia, così rappresentativi dei nostri sconvolgimenti emotivi, da poter affermare che è stato messo uno specchio fra palcoscenico e platea. Perché l’amore è tutt’altro che facile, tutt’altro che divino: è drasticamente umano ed erratico, che si accende e si consuma come un fuoco lasciato abbandonato e noi, spesso, continuiamo a vivere sulle sue ceneri.
Info:
di Luciano Melchionna
con Giandomenico Cupaiuolo e Valeria Panepinto
e con la partecipazione di H.E.R.
scene Roberto Crea
musiche originali Stag
costumi Milla
assistente alla regia Sara Esposito
regia Luciano Melchionna
produzione Ente Teatro Cronaca VesuvioTeatro