Il 3 e il 4 luglio ospite del Teatro Nuovo, nell’ambito del Napoli Teatro Festival, Ascanio Celestini mette in scena Laika un’opera tragicomica, una critica sociale feroce che fa pensare e riflettere: una perla di questa stagione teatrale italiana.
Il narratore principale è un ‘povero Cristo’, finto cieco (profeta o matto farneticante, chi può dirlo) che beve sambuca di cattiva qualità tutto il giorno, vive con il suo amico fidato Pietro e gli racconta la giornata trascorsa in un bar insieme a dei clienti abituali. In scena Pietro è Gianluca Casadei il fisarmonicista, che durante lo spettacolo suona ma la voce di Pietro è quella fanciullesca e chiara di Alba Rohrwacher, una voce fuori campo registrata. A sua volta, ai clienti del bar, il finto cieco narra ciò che accade nel parcheggio del supermercato che si trova proprio lì vicino parlando di vari personaggi, che abitano quel luogo di periferia: da qui partono una serie di racconti e di trame. ‘Un racconto fatto di racconti’ una sorta di Decamerone cinico dei giorni nostri, che mette in risalto i paradossi e le contraddizioni del nostro tempo e lo fa usando il linguaggio della fiaba della tradizione orale, con i suoi ritornelli e le sue ripetizioni (linguaggio caro all’autore).
I personaggi Celestiniani non potevano che essere quelli che la società considera ultimi, i disadattati, gli emarginati: un barbone africano alcolizzato, una vecchia, una prostituta, una donna con la “testa impicciata” che poi si scopre avere l’Alzheimer e un gruppo di facchini africani in sciopero contro le disumane condizioni di lavoro a cui sono sottoposti. Celestini si fa rappresentante delle ‘voci fuori dal coro’.
La scena è composta da un siparietto rosso e casse di plastica di quelle che si usano per mettere le bottiglie d’acqua, un’immagine che rimanda alla fatica fisica dei facchini ma che in parte rievoca anche l’immagine di un bar di periferia. L’atmosfera è intima ed è resa tale anche grazie all’aiuto delle luci.
La narrazione di Celestini è un flusso che travolge lo spettatore, e a tratti diventa nevrotica in sintonia con la follia quotidiana che obbliga questi personaggi alla sopravvivenza. Il magnetismo dell’attore sulla scena è coinvolgente e accentuato da una gestualità ridotta al minimo che contribuisce a ipnotizzare lo spettatore. L’effetto incalzante della narrazione è rafforzato invece dalla musica della fisarmonica che aumenta il ritmo della scena e porta lo spettatore ad un climax emotivo: momenti di pura poesia. In altri momenti invece l’atmosfera cambia: l’ilarità è condivisa ma poi inevitabilmente quel riso si trasforma in grottesco per poi diventare amaro. Come quando parla delle condizioni lavorative dei magazzinieri, perlopiù africani, sfruttati e obbligati ad ore di straordinario di cui non vedranno mai lo stipendio. Celestini, come da consuetudine, non va a indorare la pillola è franco di cerimonie e schietto, e questo lo si evince anche dal linguaggio utilizzato: gli africani sono “negri”, il barbone “piscia vicino al muro” e la prostituta è una “mignotta”.
Lo spettatore viene catturato dal flusso di parole e vaga insieme al narratore tra le tante digressioni e divagazioni. Infatti il pubblico napoletano, attento e partecipe durante tutta la narrazione, accoglierà con applausi scroscianti la fine della messa in scena.
L’autore/narratore con questo spettacolo, opera in maniera brillante ed efficace un abbassamento del divino e un innalzamento dell’umano, quasi come se fossero inversamente proporzionali: il Dio che troviamo in Laika oltre a essere messo in dubbio, è un dio permaloso e punitivo e non dà il suo contributo per evitare le cose terribili che avvengono nella vita di tutti i giorni (per questo Stephen Hawking è invalido, spiega sarcastico e cinico il protagonista, perché prova a spiegare scientificamente l’inesistenza di Dio).
Il Dio di Laika non agisce, guarda solamente: il vero miracolo lo possono fare solo gli uomini e infatti in Laika il miracolo avviene per davvero ed è un “evento straordinario” compiuto da tre uomini, senza l’aiuto di nessun Dio. La vecchia, la donna impicciata e il finto cieco infatti trovano il coraggio di scendere per difendere il barbone dalle botte da parte della polizia durante lo sgombero del picchetto dei facchini scioperanti. Questo finale però non è rassicurante e non serve a rasserenare il pubblico,anzi. Lo spettatore se ne torna a casa con tante domande, pensieroso e riflessivo come è giusto che sia di fronte ad un’opera di un artista eccezionale, tra i maggiori intellettuali italiani della nostra epoca.
UNO SPETTACOLO DI/A PERFORMANCE BY ASCANIO CELESTINI
CON/WITH ASCANIO CELESTINI
E/AND GIANLUCA CASADEI
FISARMONICA/ ACCORDION VOCE FUORI CAMPO/VOICE OFF ALBA ROHRWACHER
PRODUZIONE/PRODUCTION FABBRICA SRL
IN COPRODUZIONE CON/IN CO-PRODUCTION WITH ROMAEUROPA FESTIVAL 2015, TEATRO STABILE DELL’UMBRIA
date/dates 3, 4 luglio/july h 23.00
luogo/venue teatro nuovo
durata/running time 1h 30min
lingua/language italiano/italian
paese/country italia/italy
in regione/in campania
5, 6 luglio/july h 21.30 castello di gesualdo (av)
Con questa nuova narrazione Ascanio Celestini ci racconta la vita di un improbabile Gesù che «vive chiuso in un appartamento di qualche periferia. Dalla sua finestra si vede il parcheggio di un supermercato e il barbone che di giorno chiede l’elemosina e di notte dorme tra i cartoni. Con Cristo c’è Pietro che passa gran parte del tempo fuori di casa ad operare concretamente nel mondo: fa la spesa, compra pezzi di ricambio per riparare lo scaldabagno, si arrangia a fare piccoli lavori saltuari per guadagnare qualcosa. Questa volta Cristo non si è incarnato per redimere l’umanità. Non sappiamo se si tratta davvero del figlio di Dio o di uno schizofrenico che crede di esserlo, ma se il creatore si incarnasse per redimere gli uomini condividendo la loro umanità (e dunque anche il dolore), questa incarnazione moderna non potrebbe non includere anche le paure e i dubbi del tempo presente».
Questo Cristo contemporaneo non vuole che entri nessun altro, all’interno del suo appartamento ma è interessato a ciò che accade fuori: «il mondo in mille metri quadrati di asfalto osservati da un paradiso-monolocale pochi metri al di sopra». In questo nuovo lavoro, Celestini è partito dalla consapevolezza che con la crisi delle ideologie – nate dall’illuminismo e concretizzatesi soprattutto nel ‘900 – anche le religioni (in quanto visioni totalizzanti e dunque ideologiche) hanno subito un contraccolpo. «A distanza di un paio di millenni – leggiamo nelle note – ci troviamo ora a rivivere le incertezze del cristianesimo delle origini, frutto dell’ebraismo e seme dell’islam. Vorrei che queste incertezze passassero in maniera obbligatoriamente grottesca e ironica nel personaggio che porterò in scena: un povero Cristo che può agire nel mondo solo come essere umano tra gli esseri umani. Uno che sente la responsabilità, ma anche il peso di essere solo sul cuore della terra: vuoi vedere che la trinità è una balla e alla fine salterà fuori che Dio sono soltanto io?».
With this new narrative Ascanio Celestini tells us about the life of an improbable Jesus who «lives shut up in his apartment in the outskirts of the city. From his window he can see a supermarket parking lot, and a tramp who begs for money during the day and sleeps in a makeshift cardboard hut at night. Christ is also accompanied by Peter who spends most of his time out and about in contact with the world: he shops, buys spare parts for the water boiler, and does odd-jobs to earn money. This Christ has not become flesh to redeem Mankind. Indeed, we are not even certain that he is the Son of God, or some schizophrenic who believes he is. If the Creator were to become flesh to redeem Mankind and to live and suffer its existence, shouldn’t this modern incarnation also experience the fears and doubts of the present day».