Al Teatro Trastevere è andato in scena dal 9 all’11 marzo, all’interno della rassegna “Women in music”, LADY HOLIDAY MISSISSIPPI DRUNK, di Alessandra Caputo, per la regia di Simone Fraschetti e Alessandra Caputo, interpretato da Valentina Conti.
Si tratta di un omaggio a Billie Holiday, la donna e la cantante, la cui voce aspra e sofferta è rimasta impressa in modo indelebile nella storia della musica jazz. Ed è proprio del jazz, che la protagonista si dichiara più volte schiava, mimando anche le mani incastrate in un paio di manette immaginarie, mentre è accompagnata dal basso di Rodolfo Valentino Puccio.
L’arredamento è piuttosto essenziale: una sedia, un tavolino, un water di paglia con il cartello “White only” e delle valigie gettate in un angolo costituiscono l’ambiente nel quale, sinuosamente, si muove Billie Holiday-Valentina Conti. Il monologo è formato da un insieme di frammenti, di frasi sconnesse che, nel loro insieme, restituiscono un quadro multisfaccettato della biografia dell’artista. Lady Day e la negritudine, l’alcol, i ricordi d’infanzia, il fango del Mississippi, l’amore, il dolore, le grida, il jazz: tutto questo è evocato nel passionale soliloquio dell’attrice, che alterna al parlato anche alcuni momenti cantati. Frequenti sono i riferimenti al testo del commovente brano Strange fruit, tra le più note canzoni di denuncia contro il razzismo nei confronti dei neri negli Stati Uniti.
L’aspetto estetico assume una grande rilevanza, quasi una preponderanza, nello svolgimento dello spettacolo: i costumi, le luci, la gestualità e la pioggia di fiori bianchi lanciati dalla custodia del basso, simboleggianti al tempo stesso purezza e sensualità, sono di grande impatto visivo. I fiori, continuamente maneggiati, accarezzati, fatti scivolare, usati per coprire gli occhi, rimandano anche al testo della ballata di Adriano Marenco «di tanto cantare mi è rimasta in gola la spina di un fiore ficcata là dove il Mississippi diventa mare», in cui si esprime la sofferenza della donna e di tutta la popolazione di schiavi neri cresciuta lungo il corso del fiume Mississippi e nella Cotton Belt americana, culla della musica blues.
Durante le ultime scene della rappresentazione l’atmosfera si fa assai cupa. Con un cappio al collo e due candele accese in mano, la protagonista, senza più il bel vestito con paillettes nere, ma coperta solo dalla vernice del body painting, quindi “nuda” nella sua essenza di donna, pronuncia le sue ultime battute, prima di spegnere le fiamme e piombare nel buio e nel silenzio. Il testo è scritto in una forma interessante e inconsueta, tuttavia si ha a volte l’impressione che la recitazione non riesca a comunicare del tutto il pathos di cui è pregno. Lo spettacolo risulta comunque nel complesso piuttosto gradevole grazie anche a una regia originale e accurata.
Tratto dal testo di Alessandra Caputo pubblicato per la collana teatrale Scena Muta, con una ballata di Adriano Marenco
Regia Alessandra Caputo e Simone Fraschetti
Produzione Patas Arriba Teatro
Interpretato da Valentina Conti
Musiche scelte ed eseguite da Rodolfo Valentino Puccio. Foto di Pamela Adinolfi