LA SCORTECATA @ Teatro di Rifredi. La favola cruda della bellezza

Al Teatro di Rifredi in scena l’atteso LA SCORTECATA adattamento di “Lo cunto de li cunti” di Giambattista Basile, testo e regia di Emma Dante con Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola

a cura di Sandra Balsimelli e Michele D’Ambrosio

Ci accoglie in sala un pesante buio, che ci immerge in un tempo che non passa mai. All’alzarsi delle luci due seggiutelle accolgono i corpi anziani di due figure che non sappiamo riconoscere se uomini o donne, scorgiamo solo che sono vecchi. “Siamo rattrappite e grinzose” ci dice una delle due mentre, insieme alla sorella, svolge l’attività di levigazione del dito indice, mediante bocca e lingua in un movimento sincopato e continuo: bisogna piacere al re! Si deve dare un appiglio all’uomo che si è innamorato della voce di una vecchia. Come si può fare se non tramite una piccola parte del nostro corpo che sia meno aggrenzita rispetto al resto? Emma Dante ci racconta la favola de LA SCORTECATA, tratta dal Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile in un modo davvero pulito e conciso. Tutto il racconto è lasciato ai corpi degli attori Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola. Pochissimi gli elementi in scena: bastano gli attori che evocano davanti ai nostri occhi una storia fatta della potente presenza dei corpi usati sapientemente con una partitura di gesti esatti e ossessive ripetizioni, tali da rendere superfluo ogni altro travestimento, come spesso ricorre nella regia di Emma Dante. In loro vediamo le due vecchie sorelle, il re ingannato, la bella fanciulla trasformata dalla fata, a cui basta una parrucca color fuoco e un abito lungo per apparirci vera, reale, pur sapendo quanto spinta sia la finzione. La magia del teatro si fa coreografia misurata e si sposa all’uso delle voci capaci di evocare, complice l’insuperabile musicalità del dialetto partenopeo, tirato alle sue estreme possibilità fino ad un espressivo grammelot, un mondo immaginario di creature surreali eppure così vicine a noi.

In scena pochissimi oggetti: un castello in miniatura, un porta a terra che, opportunamente sollevata modifica a piacimento gli spazi, poco, pochissimo altro. D’Onofrio e Maringola riescono a trasportare con maestria, delicatezza e piccole cose il pubblico stesso allo stato della vecchiaia. A giovani e meno giovani fanno vivere il rimpianto per una vita passata. Gli attori riescono a farci entrare in mimesi con quanto stanno rappresentando: ci siamo sentiti anche noi rifiorire nei pensieri del re.

Efficace anche la scelta di musiche napoletane rilette in chiave ritmica contemporanea, svelano con impietosa ironia la simulazione grottesca a cui assistiamo, ma ottengono anche l’effetto di avvicinarci al senso della storia rappresentata che, come tutti i miti, contiene un nodo di verità sempreverde, che non cessa di ispirare e muovere. La lingua napoletana utilizzata da inizio a fine, ci fa entrare in confidenza con le due sorelle e ci strappa anche molte risate per modi di dire molti dei quali legati allo stadio della terza età, ai cui la lingua italiana non avrebbe mai saputo rendere degno onore.

Il tempo passato, il cinismo dell’età, la bruttezza generata dall’incalzare degli anni sono temi toccati con delicatezza in questo spettacolo magistrale e fortissimi i rimandi agli antichi miti classici dell’amore, alla fugacità e velocità con cui lo viviamo, ai pochi attimi e istanti che bastano, ai tanti travestimenti che abbiamo nella vita, come Zeus che prende mille forme e corpi per amare, per piacere e per far innamorare.

Nella Scortecata a farlo è una vecchia decrepita, che ormai non riesce neanche più a sedersi per l’artrosi alle ossa! “Se il sole potesse prendere allora qualche scorciatoia” dice l’anziana donna e tira fuori dal baule della vita, un altro elemento nella scarna scenografia, tutto ciò che serve per tornare ad essere bella e giovane. Rusinella però non accetta questa illusione, non accetta il travestimento e l’inganno per apparire e sembrare: dopo una vita passata così decide infatti di farsi una nuova pelle.

Qual è il significato nascosto della tragica narrazione delle due vecchie che si fingono giovani per ottenere il consenso e l’amore del re? Forse la stessa tragicomica consapevolezza che l’Amore non è che un sogno notturno di mezza estate, capace di alterare la percezione delle cose per un istante, ma destinato a svanire alle prime luci dell’alba? Forse che nell’amato o nell’amata non si ama che un riflesso dei nostri stessi desideri, e che pur di essere accolti nello sguardo dell’altro saremmo pronti a tutto, a cambiare pelle, a negare tutto di noi pur di essere come altri chiedono? I miti si intrecciano e acquistano greve spessore nell’ambientazione popolare della storia di Basile, dove anche una lista di insulti in napoletano diventa occasione di una danza esilarante e irriverente. La favola di Amore e Psiche in cui la bellezza divina si cela dietro l’oscurità di segreti amplessi amorosi, squarciata dalla luce della curiosità femminile, si rovescia in un incontro torbido e grottesco tra un re e una vecchia, spacciatasi per giovane e riconosciuta poi, con orrore, al mattino per se stessa, corpo cadente e deforme.

Emma Dante ci rimanda una lettura cruda del racconto e della morale, di scolare memoria, del racconto di Basile. Anche la scelta di due uomini per rappresentare la femminilità è stata oltre che il ricalco del modello teatrale napoletano, anche pretesto per eliminare le polarità sessuali.

Il tempo è il silenzioso co-protagonista, serrato e chirurgico nello sviluppo drammaturgico, ma lento e inesorabile nella narrazione delle due protagoniste che iniziano e chiudono il loro racconto in maniera circolare, invocando un’accelerazione per spezzare l’attesa logorante di una fine. Da qui il tragico epilogo: “non ne posso più di essere vecchia” sussurra la sorella, spezzata dallo struggimento di aver rivissuto, anche solo nella fantasia, la freschezza dell’amore e della gioventù. Ed ecco la folle richiesta: essere scorticata, perché da sotto la pelle vecchia esca la pelle nuova, e come un serpente lasciare a terra la pelle raggrinzita dal passato e risvegliarsi a nuova vita, rinascere, avere un’altra possibilità.

Info:
LA SCORTECATA
liberamente tratto da “Lo cunto de li cunti” di Giambattista Basile
testo e regia Emma Dante
con Salvatore D’Onofrio, Carmine Maringola
elementi scenici e costumi Emma Dante | luci Cristian Zucaro
produzione Festival di Spoleto 60, Teatro Biondo di Palermo
in collaborazione con Atto Unico | Compagnia Sud Costa Occidentale

Teatro di Rifredi
22 marzo 2018

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