LA REGINA DELLE TENEBRE@Significante2020: il giorno in cui calಠil sipario.

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Arriviamo allo spettacolo dopo aver appreso da poche ore del nuovo Dpcm che, come sappiamo,  bloccherà tra le altre,  le attività di cinema e teatri. Tra gli spettatori e gli addetti ai lavori l’emozione e la commozione sono palpabili ma silenziose. 

Andrea Congia, direttore artistico della rassegna, rompe il silenzio interpretando, fuori dallo spazio scenico, un sentimento comune che ci parla di un finale “amaro nel cuore e ferito in bocca.” Ma se è vero che tutte le conclusioni portano inevitabilmente a dei bilanci è altrettanto vero che il loro è solo un arrivederci, che scaccia le nostalgie e i rimpianti facendosi promessa di azione futura. Il sottotitolo della rassegna UMBRAS ( Ombre ) si presta a descrivere i nostri tempi, continua Congia, rappresentando allo stesso tempo un’esortazione, un invito a trasformare le difficoltà: “come ombre che hanno bisogno di essere lavate dalla luce della libertà, del raziocinio e della conoscenza. Fine.

Le luci della sala si spengono e si fa di nuovo buio e ombra. Senza fretta Andrea Congia sale sul palco e si accomoda la chitarra sulle gambe mentre si volta verso il fondo della sala e comincia ad intonare un suono leggero che richiama la pioggia, dei passi. Da quel tintinnio e dal buio della sala incede a passo lento Manuela Ragusa, con il suo abito nero e lungo e con le maniche di pizzo antico. Una mascherina chirurgica a coprirle mezzo volto. Procede tra le sedie degli spettatori, correttamente distanziate, schiva ed elegante. Ad illuminarla solo il diadema sulla testa che incornicia uno chignon. È Maria Magda, la Regina delle Tenebre,  protagonista della storia che sta per cominciare. 

Giunta sul palco, con un gesto largo delle braccia, sfila la mascherina dal volto e la fa volare via come una liberazione, come un pensiero. Sorride e avanza sulla scena illuminata da una luce fioca e arredata unicamente dalla pioggia della chitarra che si interrompe, per un momento,  come ad assaporare il gesto appena concluso e desiderato. Una sospensione che invita a riflettere, a ben sperare. Il suono, dunque, riprende deciso a decretare  l’inizio della parola scenica.

Il racconto è ben scandito dalla voce possente e dai movimenti dell’attrice che sottolinea pensieri e parole utilizzando una loop station. Sono ripetizioni distorte e funzionali che amplificano la descrizione di un sentimento di tristezza, all’apparenza immotivato, respinto e giudicato e quindi chiamato pazzia. Manuela Ragusa però sa trasformare, trascende le categorie di spazio e tempo e ci restituisce una dimensione umana attuale, moderna, viva. Non è pazzia ma inquietudine. 

La protagonista della storia è sola contro il tempo -battuto in loop-  e la vanità di un mondo che non aspetta, non la comprende e non vuole accoglierla. I suoni acuti e morbidi della chitarra le fanno compagnia, sorreggendo l’affanno fino alla trasformazione finale che si colora di rosso e di un canto potentissimo. 

Manuela Ragusa interpreta in maniera straordinaria questa donna, questa condizione e il suo superamento finale.

Le ombre sono sparite, rimane la contemplazione di un’esistenza purificata dal fuoco della consapevolezza e dell’arte. 

La platea risponde con un lungo, lunghissimo applauso. 

Rinascere dall'inquietudine significare creare, continuare a credere che dietro le ombre c'è sempre una luce. Basta cercare. Basta, a volte, lasciarsi ispirare. 

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