Lo scorso 25 gennaio, la compagnia leccese Teatro Koreja ha portato in scena, all’ITC Teatro di San Lazzaro, LA RAGIONE DEL TERRORE, testo di Michele Santeramo e regia di Salvatore Tramacere. Lo spettacolo, che vede in scena Michele Cipriani e Maria Rosaria Ponzetta, si ispira a un fatto di cronaca realmente accaduto nel Sud Italia del Dopoguerra, per giungere a interrogarsi sulle cause che spingono l’essere umano nella spirale dell’odio e della violenza, quando ogni altra alternativa sembra sottrarsi alla ragione.
In scena, un uomo e una donna. Lui, che si rivolge direttamente allo spettatore, rompendo il meccanismo della finzione, è lì per raccontarci la sua storia: una storia di terrore, fame, miseria e soprusi, che lo ha condotto a sua volta fino al baratro della violenza, una storia che proprio non vorrebbe ricordare. Invece la donna, sua silente compagna di scena, non può dimenticare e con il peso del suo silenzio lo costringe, sera dopo sera, a mettere a nudo dolore e vergogna, a ricordare e raccontare.
I personaggi si muovono in un’ambientazione che è, in apparenza, quella di una qualunque stanza domestica degli anni del dopoguerra, modesta e un po’ spoglia: un vecchio tavolo di legno al centro, una tovaglia in pizzo che ricorda i centrini delle case dei nostri nonni, sedia e poltrona per sedersi, alcune finestre, un mobiletto accanto al muro e qualche genere alimentare. Eppure, è un ambiente che di familiare ha ben poco. Sembra, piuttosto, la casa di un incubo o di un film dell’orrore: il ricorso a un pavimento verticale deforma la prospettiva, rendendola irregolare come in un quadro di Escher, e l’uso delle luci è lugubre e irrealistico, proprio come potrebbe esserlo in un sogno.
L’irregolarità della scatola scenica è in totale armonia con il testo e il senso profondo della pièce, che vuole mettere al centro non le conseguenze di odio e violenza, ma le cause e la loro complessità. Scenicamente, questo è magistralmente rappresentato dall’irregolarità prospettica, che sembra ripiegarsi su se stessa senza un inizio e una fine certi, proprio come la storia dell’uomo, in cerca di una redenzione impossibile attraverso il doloroso svisceramento della spirale di azioni subite e compiute. Un’irregolarità che rimanda, anche, alla difficoltà di leggere analiticamente e comprendere i fenomeni di violenza, camaleontici e spiraliformi. Persino l’uso delle luci concorre alla medesima ricerca: per esempio, grazie ai contrasti di luce, l’ombra di lui cresce fino a fagocitare lo spazio e riempire interamente la scena, proprio come il Male che si alimenta di se stesso, lievita fino a riempire l’animo umano e trabocca nella violenza agita. Cresce per, poi, rimpicciolirsi, defilarsi, quasi spaventata da se stessa, cercando di nascondersi per smettere di raccontare. Ma, così facendo, lascia di nuovo spazio al dialogo con la figura di lei, che lo richiama al dovere di continuare.
L’attrito tra le due volontà contrapposte, la dialettica tra parola e silenzio, è il meccanismo drammaturgico sotteso alla pièce. Non solo perché manda concretamente avanti la narrazione (lui le chiede spesso se può interrompersi e, al silenzio di lei, prosegue), ma anche perché si riallaccia idealmente alle vicende che hanno ispirato lo spettacolo. Infatti, Salvatore Tramacene racconta che, nel momento della stesura del testo, non sia stato concesso di fare esplicito riferimento ai fatti storici reali per via del “diritto all’oblio”, ovvero a garantire, nei casi di cronaca giudiziaria, la non diffusione di notizie di natura lesiva o offensiva dell’altrui reputazione. Da una parte, nella reticenza del personaggio a raccontare riecheggia proprio questa volontà dell’oblio, della distanza dalle colpe del passato. Dall’altra, il silenzio della donna che impone con prepotenza che si vada avanti, che la storia sia detta: è forse l’urlo silenzioso di chi, vittima, invoca una voce che possa dire il suo orrore? O è anche il moto della coscienza del carnefice, che vorrebbe dimenticare ma non può e cerca, nella ripetizione del racconto, un meccanismo di espiazione della colpa che passa per la comprensione analitica degli eventi, perché possano non ripetersi? “A questo serve il teatro”, recita il personaggio, “a rifare il passato, a capirlo meglio, e a scegliersi le giornate che devono venire. A fare luce. Se non serve a questo, non serve a niente.”
Proprio questo fa la pièce: laddove dell’odio e delle azioni cosiddette malvagie siamo stati abituati guardare alle conseguenze, per giudicarle, qui si scandagliano le ragioni profonde per comprenderle, si pongono domande, piuttosto che dare risposte. Lo spettacolo ci invita a riflettere sulle cause del terrore per confrontarci con esse e con i concetti di Bene, Male e di Giustizia con un occhio critico, perché non commettiamo l’errore di sentirci superiori e pensare con troppa facilità che violenza e terrore appartengano solo ad altri, ai “malvagi di cuore”. “Io ho una casa. L’ho fatta io. Io e lei ci viviamo dentro. Tutto il resto, prendetelo voi”, è il monito finale dello spettacolo, che ci ricorda come ombra e oscurità interiore possano toccare il cuore di tutti: soltanto avendo il coraggio di guardarle e riconoscerle come tali possiamo armarci delle luci della ragione, dell’analisi e della riflessione, per cercare di evitare che certe storie si ripetano.
Info:
LA RAGIONE DEL TERRORE
uno spettacolo di Koreja
testo di Michele Santeramo
regia di Salvatore Tramacere
con Michele Cipriani e Maria Rosaria Ponzetta
assistente alla regia Giulia Falzea
scene e luci Bruno Soriato
sonorizzazione Giorgio Distante
realizzazione scene Mario Daniele
organizzazione e tournée Laura Scorrano, Georgia Tramacere
ITC Teatro di San Lazzaro
Sabato 25 gennaio 2020
Inizio spettacolo: ore 21:00
Aperitivo con il critico: ore 19:30