Tra gli emblemi della riforma teatrale operata da Carlo Goldoni (Venezia 1707 – Parigi 1793), ‘La locandiera’ trova (al Teatro Carcano di Milano fino al 22 gennaio 2017) una diversa chiave interpretativa nel regista Andrea Chiodi (Varese 1979) – allievo di Piera degli Esposti, laureatosi con una tesi sulla tragedia greca e impegnato in numerosi progetti – che richiamandosi alle ‘poupette’ (antenate delle attuali bambole) con cui il commediografo veneziano giocava da bambino (come Goldoni specifica nei ‘Mémoires’ evidenziando l’ispirazione da queste fornitagli a mettere per iscritto in forma dettagliata i testi superando il canovaccio) le porta sul palco.
In una scenografia scarna ed essenziale su un lungo tavolo polivalente (da gioco e da pranzo) sono poste bambole biancovestite, tante quante i sette personaggi previsti che, invece, sono interpretati solo da cinque attori i quali si presentano in scena con costumi tutti uguali che ricordano quello della scherma. Quasi che ciascuno si appresti a intraprendere la sfida della recitazione non nella locanda di Mirandolina in una Firenze vivace e attiva con una vecchia classe sociale di un ‘700 pomposo e magniloquente in crisi e una nuova che si afferma per la sua operosità, ma in un luogo della mente connotato da un assoluto candore e da un’acromia livellante.
Nell’incipit e durante lo spettacolo ciascuno degli attori-manichini liberatosi delle maschere si accosta al proprio appendiabiti e indossati parrucca e costume – liberamente tratti dal ‘700 – diviene personaggio: può succedere che un’attrice si trasformi in un protagonista maschile e che si possa ‘uscire di scena’ anche ponendosi sotto il tavolo con il risultato di una certa povertà di movimento che invece connota le commedie goldoniane.
Resta la trama di Goldoni con Mirandolina perno della storia, donna intorno a cui ruotano personaggi che, pur nella loro simpatica diversità, soddisfano la sua vanità femminile con lodi, moine e a volte regali: perché no, la locandiera è una persona pratica che si schernisce solo per convenzione sociale, ma è rapidissima nell’incamerare i vari ‘omaggi’… Brava Mariangela Granelli nel renderne le varie sfumature tenendo conto che il regista Andrea Chiodi ne fa un Don Giovanni al femminile come sottolineato da cenni alle più famose arie dell’omonima opera di Mozart. Difficile pensare che Goldoni non abbia piuttosto visto in tale figura l’espressione di una femminilità civettuola, ma ricca di buon senso e di razionalità come dimostrerà non solo nel finale.
Al di là delle diversità interpretative comunque interessanti, il lavoro – prodotto da Proxima Res – è ben curato secondo un’ottica che si può anche non condividere sempre, ma cui non si possono negare originalità e una simpatica piacevolezza arricchita dalla lettura delle note che Goldoni ha posto a inizio opera per fornire chiarimenti su personaggi ed eventi.